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Dominio Pubblico tra arte e politica, parla la direzione artistica

Dominio Pubblico: intervista ai direttori artistici Tiziano panici e Luca Ricci

 

Un momento di Dominio Pubblico Officine - foto Manuela Giusto
Un momento di Dominio Pubblico Officine – foto Manuela Giusto

La prima stagione teatrale nata dalla collaborazione tra Teatro dell’Orologio, diretto da Fabio Morgan, Teatro Argot, diretto da Tiziano Panici e Francesco Frangipane, insieme a Luca Ricci di Kilowatt Festival è giunta al termine. Abbiamo incontrato due dei quattro responsabili della direzione artistica di questo progetto unico nel panorama teatrale romano, Panici e Ricci, per tirare le somme dopo il primo giro di boa.

È terminata da poco la prima stagione di Dominio Pubblico, siete in grado di fare un bilancio?

Tiziano Panici Stiamo cercando di tracciarlo in questi ultimi mesi. Rispetto alla natura e struttura del progetto siamo molto soddisfatti: parliamo di un struttura molto particolare che vedeva la programmazione di 30 spettacoli tra gli spazi di Argot e Orologio, con la direzione mia, di Francesco Frangipane, di Fabio Morgan per l’Orologio e di Luca Ricci come direzione esterna, cosa che ci ha permesso anche di smarcarci dalla sola programmazione romana – con un occhio in più per la danza di cui Argot e Orologio si sono occupati sempre poco. Inoltre la presenza di Luca è stata determinante per la progettazione e lo sviluppo della promozione. Oltre alla presenza della Casa dello Spettatore, che ci segue da anni, l’intuizione di Luca per il progetto Under 25 è stata uno degli sviluppi più importanti della stagione, uno di quelli in grado di attirare di più l’attenzione istituzionale e di un pubblico universitario fatto non solo di studenti di discipline teatrali.

fracassi malosti corsia degli incurabili
Federica Fracassi in Corsia degli incurabili – foto Manuela Giusto

Gli spettacoli inoltre hanno avuto un’ottima adesione di pubblico sia per l’Argot, che probabilmente aveva già una propria porzione di spettatori, ma anche per l’Orologio, per far conoscere la nuova gestione. Una parte dei progetti richiamava una linea precisa del contemporaneo, con una scuola e una struttura riconoscibile anche nei nomi e dunque anche facilmente spendibile per il pubblico, un’altra parte della stagione invece riguardava dieci compagnie selezionate dal bando dello scorso anno, Ne(x)twork, organizzato da Orologio e Kilowatt Festival. Parliamo in questo caso di compagnie emergenti, conosciute tra gli operatori ma sconosciute alla maggior parte del pubblico romano, che hanno avuto un’ottima visibilità nel contenitore rappresentato da Dominio Pubblico. Non tutte chiaramente hanno avuto la forza di affermarsi e questo ci ha portato a riflettere sul prossimo anno per quello che riguarda la struttura di promozione e comunicazione.

Quanti spettatori avete avuto?

Luca Ricci 124 serate, 65 compagnie, 77 appuntamenti (contando anche le rassegna All In e Officine), è tantissimo. Abbiamo avuto tra i nove e i diecimila spettatori.

Dominio Pubblico ha avuto una visibilità e un’attenzione (sia dal pubblico che dai media) che probabilmente Argot e Orologio negli anni precedenti non hanno avuto, ma soprattutto ha tracciato una nuova strada: è esportabile il modello Dominio Pubblico?

T. P. Secondo me sì, come è accaduto negli anni passati con il nostro progetto di formazione Argotmentando o con quello dei Visionari di Kilowatt; quando un’idea funziona poi viene ripresa da altre associazioni, strutture o festival e questo è un buon segnale. Anche il modello Under25 ha avuto risonanze in altre regioni e contesti d’Italia. Dobbiamo poi ricordarci che il modello della direzione artistica condivisa rientra in un pensiero di messa in rete e di sviluppo collettivo di una progettualità che possa rispondere al blocco economico e politico che in questo momento stiamo vivendo. Il miglior esempio di questo modello in Dominio è stata la progettazione di Dominio Pubblico Officine insieme all’Associazione Teatrale tra i Comuni del Lazio (Atcl), un vero e proprio progetto produttivo per le compagnie vincitrici.

Sacchi di Sabbia in Don Giovanni - foto Manuela Giusto
Sacchi di Sabbia in Don Giovanni – foto Manuela Giusto

Torniamo al lavoro svolto coi giovani, in Dominio Pubblico c’è stato più di un progetto dedicato a spettatori e artisti emergenti, qual è il risultato? Quali fermenti sono nati?

L. R. Grazie alla scommessa che abbiamo fatto su di loro, si è creata intorno al progetto una fortissima energia che poi si è riverberata anche nella percezione degli artisti, negli incontri domenicali tra gli artisti e i giovani spettatori del gruppo Under 25. Io credo che la parola chiave sia “responsabilità”: nel momento in cui assegni alle persone un livello di responsabilità, loro te lo restituiscono in energia. E questa era la scommessa del progetto e che secondo me ha dato dei risultati significativi. Infatti il prossimo anno questo progetto lo lanceremo su tutta la regione Lazio: avremo 15 compagnie su Roma che costituiranno l’ossatura di Dominio Pubblico, saranno due settimane al mese e non come quest’anno tutte le settimane, ma quello che accadrà di nuovo è che questi spettacoli faranno una data in ciascuno dei quattro capoluoghi di provincia del Lazio (Frosinone, Latina, Rieti, Viterbo) e i nostri ragazzi Under25 svolgeranno un’azione di tutoraggio con altri gruppi che si formeranno in altre città. È un progetto che stiamo sviluppando con l’Atcl ed entreremo in contatto con le associazioni del territorio, le Officine, creando ogni volta progetti specifici che in ogni città facciano qualcosa di diverso, che siano festival estivi, azioni legate alle arti visive, ma sempre con la caratteristica di chiedere ai cittadini di queste città non solo di vedere gli spettacoli ma di coinvolgere nuovi gruppi in progetti cittadini, creando così anche bacini possibili di nuove professionalità.

Dunque in questo senso la collaborazione con l’Atcl sarà anche una messa a regime della fucina rappresentata dal progetto Under25

L. R. Esatto, questo è il tentativo per il prossimo anno.

Marco Sgrosso (Belle Bandiere) in Ella - foto Favretto Reporter
Marco Sgrosso (Belle Bandiere) in Ella – foto Favretto Reporter

Dal punto di vista artistico a me sembra che Dominio Pubblico sia riuscito a rappresentare un eterogeneo panorama teatrale del contemporaneo, manterrete questa visione o cercherete di posizionare lo sguardo verso territori più circoscritti?

L. R. Continueremo a muoverci su una linea che cerca di attraversare una pluralità di linguaggi, non abbiamo voglia di fare di Dominio Pubblico un progetto di genere. Vogliamo che sia un luogo di spettacoli belli: certo ci saranno dei debutti, ma non è di spettacoli nuovissimi che siamo in cerca.

T.P. Il recupero di esperienze e spettacoli importanti per noi è sempre stato un punto centrale, basti pensare alle Belle Bandiere che sono tornati a Roma con due monologhi dopo un’assenza quasi decennale

L. R. Sì, stesso discorso per Giancarlo Cauteruccio, Sacchi Sabbia, Vincenzo Pirrotta che con questo lavoro non era mai stato a Roma, Federica Fracassi… Da un certo punto di vista è quasi sconcertante che artisti del genere abbiamo dovuto programmarli noi; è il segno di una crisi forte. Tutto sommato Dominio Pubblico è anche la dimostrazione del fallimento delle politiche culturali di questa città.

Quali sono stati i rapporti con le istituzioni cittadine e regionali? Hanno riconosciuto il lavoro e il successo di Dominio Pubblico?

T. P. Questa è una domanda che entra molto nel merito di tutta la gestione difficoltosa di quest’anno, cosa che vale per tutto il panorama teatrale romano: sono le associazioni, gli spazi e i festival che stanno pagando il prezzo della crisi. Ed è inutile aprire l’ennesima polemica, sicuramente però il progetto di Dominio Pubblico ha alzato la testa, e dunque il tiro. Lo ha fatto anche cercando di intercettare l’interesse delle istituzioni, il problema di Roma è che rimane ingessata in un sistema politico clientelare, lo era soprattutto quando aveva soldi da spendere, ora la politica tende una mano ai progetti virtuosi ma continuando a guardarli da fuori. Ad oggi Comune e Regione non ci hanno dato risposte positive.

L. R. Questo progetto eredita e interseca la storia di due luoghi, uno (l’Argot) che aveva già ridefinito una propria identità e un altro (l’Orologio) che un’identità non ce l’aveva, la nostra missione era anche dare un’identità a questi due luoghi e questo obiettivo mi sembra raggiunto. Rispetto alla sostenibilità del progetto, a voler essere positivi, dico che ci vuole tempo. Di fatto quest’edizione è stata quasi totalmente autofinanziata; per essere chiari la realtà che ci ha sostenuto è stata Atcl, alla quale si è aggiunta una piccola base economica di Zètema per il progetto Under25. Né Regione né Comune hanno messo nulla per Dominio Pubblico. Fino ad arrivare al paradosso che stiamo vivendo questi giorni con il bando comunale relativo ai “Festival di particolare interesse per la città”: noi abbiamo presentato un progetto che prevedeva la storicità di Argot Off alla quale si aggiungeva l’innovazione di Dominio Pubblico Officine, siamo in graduatoria, ma il progetto nonostante sia finanziabile è stato escluso (è capitato anche ad altri due festival) perché la rassegna si è già svolta, dal 9 al 12 giugno. Peccato che nel bando non ci fosse scritto niente del genere: tra gli obblighi c’era quello di realizzare il festival nel 2014. Per questo annunciamo con chiarezza che faremo ricorso: è scandaloso che un Comune che non è stato in grado di dare delle risposte in tempi ragionevoli poi escluda esperienze che ritiene di qualità solo perché si sono già svolte. Dunque sappiamo che ci vuole del tempo però accanto a questo non si può negare che Dominio Pubblico sia un progetto che eredita delle storie e che allo stesso tempo butta il cuore oltre l’ostacolo fin dal primo giro, non siamo partiti con un’idea piccola e quattro titoli per vedere se poi sarebbero arrivati due soldi, abbiamo fatto una cosa molto grande, abbiamo parlato di 124 serate. Probabilmente è stato l’evento dedicato ai linguaggi del contemporaneo più forte che ci sia stato in questi tempi a Roma, ed è sconcertante che la politica non se ne sia minimamente accorta.

Andrea Pocosgnich
Twitter @andreapox

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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