Harrower con Good With People. La finzione della vita. Qui-es-tu? Tu-me-tues. Recensioni
Tra le molteplici offerte teatrali, sul Taccuino Critico si appuntano segni di sguardi diversi che rispondono a un’unica necessità: osservare, testimoniare, dar conto dell’espressione pura, del piccolo e grande teatro…
GOOD WITH PEOPLE
di David Harrower
traduzione di Natalia di Giammarco
con Vanessa Scalera e Tiziano Panici
regia Tiziano Panici
progetto visivo Andrea Giansanti
musiche originali Marco Scattolini
costumi ed elementi di scena Marta Genovese
disegno luci Giuseppe Filipponio
con il contributo artistico di Alice Spisa e Francesco Frangipane
Sradicando le opere di ingegno dal proprio contesto originale si rischia sempre di trovarsi in un vuoto di comprensione che ne ammorbidisce colpevolmente l’urgenza. È il caso di Good With People, breve atto unico firmato dal celebre drammaturgo scozzese David Harrower che l’Edinburgh Festival 2012 aveva affiancato in un «double bill» (serata con due spettacoli) a The Letter of Last Resort di David Grieg. Con ogni probabilità questo accoppiamento rendeva giustizia a entrambe le energie messe in campo e la stessa operazione avrebbe potuto avvicinare alla materia anche un pubblico come quello italiano, del tutto estraneo alle questioni del nucleare in Gran Bretagna e del suo impiego nelle azioni militari. Invece la rassegna Trend 2013 lasciava tutto il compito a una versione italiana del primo (ad opera un po’ frettolosa di Natalia di Giammarco), consegnata nelle mani di Tiziano Panici, anche in scena con un’ottima Vanessa Scalera. Il giovane infermiere Evan torna dal Pakistan per presenziare alle rinnovate nozze dei genitori nel paesino di origine e trovare (senza reale sorpresa) al banco della reception dell’hotel la attraente Helen, moglie repressa e madre di un suo vecchio compagno di bravate. L’aria da bullo – non stemperata dalla vocazione al volontariato e che anzi riporta alla luce della memoria imprecisati atti di nonnismo ai danni del figlio di Helen – si scioglie con misteriosa fretta in un gioco erotico fatto solo di allusioni e non detti. Bisogna rendere ai due attori, molto affiatati e diligenti, il merito di averle tentate tutte per dare ai quaranta minuti scarsi di battute un ritmo fresco e non prevedibile e alla regia lo sforzo – forse non del tutto convinto – di donare una dimensione visiva e compositiva gelida come le coste di Scozia ma viva (scena fissa fatta da intelaiature, illuminate da fili di videoproiezioni bianco su nero, che danno qua e là movimento anche al fondale). Giocando con materie non dissimili e sempre aderente al crudele schema drammaturgico del botta e risposta, Harrower aveva fatto di meglio con A Slow Air o Blackbird. Di questo testo senza mordente ci resta poco più di una traccia, un invito a percorrere una strada che sembra però chiudersi presto in un dedalo di vicoli ciechi.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
Fino al 18 maggio 2014 al Teatro Argot Studio di Roma
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LA FINZIONE DELLA VITA
(TV, SEX & FAMILY)
di Giovanni Antonucci
con Francesco Branchetti, Isabella Giannone, Laura Garofoli, Simone Lambertini
regia di Francesco Branchetti
musiche di Pino Cangialosi
scene e costumi di Cristiano Paliotto
Verrebbe da chiedersi se certi teatri abbiano una direzione artistica e se qualcuno abbia, all’interno di questo luoghi, l’accortezza di vedere qualche prova prima di ospitare tentativi sull’orlo pericoloso dell’amatorialità. Eppure al Teatro Belli, avevamo visto un bellissimo testo di Daniele Falleri proprio qualche settimana fa. Comunque se proprio avete necessità di assistere a uno spettacolo pieno di retorica e banalità sul mondo “cattivissimo” della televisione potete andare allo spazio trasteverino e ascoltare quattro attori capaci di dispensare (chi più chi meno) stonature, mossette e cliché per più di un’ora e mezza. Il testo di Giovanni Antonucci (apprezzato storico del teatro) gira a vuoto facendo l’occhiolino alle tematiche pirandelliane, si perde in dialoghi sul classico tema del paese che affonda e tenta in tutti i modi di puntare il dito contro la morale corrotta di chi ha venduto l’anima al diavolo, la tv appunto, e lo fa a colpi di frasi fatte. L’autore si concentra sulla storia di un depresso produttore televisivo che tradisce la moglie con una giovane attrice, ma al centro della riflessione vi è l’ incapacità di cambiare vita, di lasciare la finzione quotidiana per seguire le aspirazioni autentiche. La finzione della vita diretto da Francesco Branchetti, anche protagonista – con la smorfia sempre presente sul volto, i toni in falsetto e le movenze da ubriaco – è in scena fino all’11 maggio, andateci solo se avete l’aspirazione di capire come non dovrebbe essere scritta e recitata una drammaturgia contemporanea.
Andrea Pocosgnich
Twitter @andreapox
Fino all’11 maggio 2014 al Teatro Belli di Roma
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QUI-ES-TU? TU-ME-TUES
idea, dramaturgy & direction Giuseppe L. Bonifati
performers Alberto Martinez Guinaldo
partnership Aesop Studio / Biennale di Venezia Teatro – Laboratorio Int.le delle Arti Sceniche (IT)
Godsbanen / Nordisk Teaterlaboratorium (Danimarca) / Art Quarter Budapest (HU) / Sarajevo Winter Festival (Bosnia E.)
produzione DOO | Divano Occidentale Orientale (performing arts group)
Delle avventure del «gruppo di arti performative» DOO – Divano Occidentale Orientale tra Europa e Sud America arriva spesso notizia qui in redazione. Cofondata nel 2010 da Giuseppe L. Bonifati, la premiata compagnia è ora condotta da quest’ultimo con Fabio Pappacena e Alberto M. Guinaldo. Il suo focus, che torna nel riferimento all’omonimo poema di Goethe, è, testualmente: «come tradurre sul palco l’inconscio e l’ignoto». Nel breve atto teatrale dal titolo Qui-es-tu? Tu-me-tues presentato al Teatro Tor Bella Monaca davanti a una platea purtroppo non proprio nutrita, si sente un po’ la mancanza di quello che, mi spiega poi Bonifati che firma idea drammaturgia e regia, dovrebbe essere un «secondo step». Cleo è il nome assegnato a questo primo passo e anche del pesce rosso in boccia che “agisce” sul palco, reso vivo da una voce off (quella, dal vivo, dello stesso regista). Il corpo in scena è invece quello di Guinaldo, simpatico, disinvolto e forte di una presenza solida; per metà della performance si illumina da solo con una lampada a led tascabile, coinvolgendo la platea in una irresistibile scena di isteria, tormentato dalla voce invisibile che lo obbliga a una irritante caccia al tesoro. Il pesce che si manifesta è il suo fratello perduto; la voce cessa e il dialogo prosegue, muto, attraverso la pagina elettronica proiettata sul fondale. L’invito a ricordare porterà l’attore dentro malinconie e micro-esplosioni di violenza repressa, sulle quali insiste come buon agente di tensione il “personaggio” del pesce, che per un attimo pare morto poi torna a guizzare nel suo piccolo mare, sempre sotto la minaccia di qualche imminente carneficina. Le idee visive sono interessanti, il ritmo di corpi e mezzi scenici del tutto a proprio agio, ma occorre un’evoluzione che completi il “passo a due” di questo dittico in potenza.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
Visto in maggio 2014 al Teatro Tor Bella Monaca di Roma
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