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Focus Sicilia: Garibaldi Aperto, il teatro dei “briganti”

foto di Simone Nebbia

Deja vu. È quella sensazione che coglie quando si ripresentano situazioni già vissute, o credute tali in quel momento in cui ri-accadono. Ho pensato molto a come avrei trovato il Teatro Garibaldi Aperto da ormai parecchi mesi, una volta tornato a Palermo. Prima di raggiungere il prato disperso e rado di Piazza Magione ho camminato le strade affastellate con lo stesso spirito di chi non ricorda il percorso, ma a ogni angolo ricorda in che direzione andare. Alla stessa maniera m’è apparso, una volta entrato, questo teatro sottratto in aprile al degrado cui l’avevano destinato le amministrazioni di troppi anni e occupato da un gruppo di artisti che ha fin qui evitato di esserne responsabile. Del degrado, non del teatro. Perché invece lo spazio è proprio come lo ricordavo – deja vu – con tutto al suo posto e nulla di rotto o soltanto rovinato dall’incuria. Hanno tenuto tutto come si doveva, in ordine, con il lavoro e l’organizzazione. Ma a un patto: che l’ordine di fuori non diventasse ordine di dentro, lasciando invece sfogo alla creatività, unico modo di fare teatro in un teatro. Ecco allora in questi mesi i tanti progetti artistici, anche di contaminazione fra le varie arti, che hanno attraversato lo spazio abitandolo pure nei suoi luoghi meno usuali, facendo in modo che tutto diventasse un teatro-palco.

foto di Simone Nebbia

La sera dello spettacolo, nella buca di platea senza poltrone, tutti siedono a terra, ma nel mezzo hanno lasciato una linea a far da corridoio: compongono dunque una platea senza sedie, anche qui, fanno un teatro di un teatro mai finito. Perché l’anima ci resta dentro e fuori torna, se ci sai misurare la tua. Primo di una rassegna dall’emblematico nome di Identità bastarde, che permetterà di portare a Palermo spettacoli che non avrebbero potuto andare in scena, questo Buttitta Dreaming è un omaggio al poeta siciliano Ignazio Buttitta, diretto da Giuseppe Massa con Luigi Di Gangi, Simona Malato e Margherita Ortolani, e con le musiche dal vivo de Le Formiche. Tecnicamente un recital musicato, il racconto bellico di Massa si fa carico di una parola ricercatamente arcaica, affondando la sua visione (pur mitigata dalla pratica scenica ancora troppo legata all’happening) nelle idee di Buttitta e cercandone un risalto in altre arti: due attrici, una in abito bianco e una in rosso, legano due monologhi fatti delle sue parole, la musica rock fornisce loro un cortocircuito forse non ancora fluido, che comprendo meglio quando un collega di maggiore esperienza territoriale, buon conoscitore della poesia di Buttitta, mi svela quanto essa sia scarna, scavata, fatta di parole che sono «pietre» e che forse avranno bisogno, da qui al debutto, di essere lavorate per ottenere una resa scenica con meno elementi e di certo più asciutta e fruibile.

foto di Simone Nebbia

E poi una novità, di cui discutere: questo lavoro, programmato nelle stagioni teatrali nazionali, risulta “prodotto” dal TGA. Alla domanda su cosa significhi una produzione per uno spazio occupato, la risposta svela qualche segno di un nuovo sistema, al vaglio in questo periodo, e rimanda a quel che si potrebbe chiamare “tentato lavoro”: il teatro offre agli artisti un comparto tecnico e risorse umane che poi saranno ripagate dalle date già vendute e quindi saranno in tournée. Si rifletta, dunque, l’opportunità.

Lo spettacolo si articola dentro e fuori il non-palco del Garibaldi, disperso nelle ali di una platea improvvisata, arrampicato fino ai palchetti neanche abbozzati: fa cioè vivere segmenti di questo luogo che vita non avrebbero avuto. È questa, a fondamento di ogni discorso politico, la missione degli artisti in questo teatro: amano la definizione di «briganti» perché la loro illegalità, il loro sentirsi bastardi figli di nessuno non riconosce ai padri legali alcuna appartenenza. La legalità vorrebbe chiuso questo spazio, l’illegalità lo riapre, ma si tratta di illegalità d’animo rispondente ai bisogni di una comunità, la stessa che si è opposta con vigore al tentativo di sgombero tramite il taglio delle utenze.

Una comunità, dunque, a stretto contatto con i “liberatori” di questo spazio segretato dall’uso burocratico della crescita sociale. Durante la serata, nel corridoio di platea, un gruppo di bambini del quartiere si mettono in mezzo, quasi disturbano. A guardarli viene in mente se potranno dire, un giorno, di essere cresciuti in un teatro, un teatro col nome di Garibaldi. Magari loro ci riusciranno a vedere questa Italia unita per davvero. Quando poi tutto finisce, fuori gli spettatori a far baldoria nei bar della Kalsa, dentro c’è chi smonta il palcoscenico perché a quell’ora di notte un’altra compagnia dovrà mettere in prova lo spettacolo del giorno successivo. Passando li guardo delineare movimenti, puntare luci, osservare a vicenda che tutto sia come deve: eccolo un’altra volta, mi dico, un teatro che attende di diventare quel che è già per sua essenza. Appunto, un teatro.

Simone Nebbia

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