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Un tram che si chiama desiderio: il teatro in soggettiva di Antonio Latella

Vinicio Marchioni e Laura Marinoni – foto di Brunella Giolivo

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Per due settimane grazie ad Antonio Latella e alla sua formidabile compagnia il Teatro Argentina di Roma è per una volta teatro d’Europa, palcoscenico coraggioso in grado di stringere tra i pugni un classico della letteratura teatrale per spremerne fuori quel succo essenziale con cui ogni spettatore dovrebbe nutrirsi.
Il regista ormai diviso tra Germania e Italia scegliendo Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams – produzione Ert e Stabile di Catania – pesca dal mazzo una delle carte più rischiose. Sceglie un classico che si porta dietro cumuli di riverberi, come fantasmi nella mente dello spettatore si agitano l’interpretazione di Marlon Brando, la versione  cinematografica di Kazan e il mito dell’Actors Studio di Strasberg, senza dimenticarci dei palcoscenici nostrani calcati da interpreti del calibro di Marcello Mastroianni. Per affrancarsi da quei munumenti Latella depura il lavoro di qualsiasi classicismo stilistico, e lo fa a tutti i livelli: dalla scena, all’utilizzo delle luci, fino al trattamento del materiale drammaturgico.
Della battuta di Blanche “io non voglio il realismo” Latella ne fa un punto di partenza, una dichiarazione di poetica potentissima se portata alle estreme conseguenze, tale da far precipitare l’unica realtà in questo caso possibile, quella dei sentimenti e delle azioni.
Sul palco del Teatro Argentina una strana simbiosi unisce l’arredamento minimale alla tecnologia, spuntano proiettori e altoparlanti dappertutto: su un  tavolo circolare in proscenio un grande occhio di bue – che purtroppo ostacola in parte la visione agli spettatori di platea più laterali – verrà manovrato dagli e sugli attori in modo ravvicinato; in quello che dovrebbe essere il frigo è sistemata una lampada stroboscopica, sulla destra un letto corredato da neon,  sulla sinistra una vasca cela una macchina per le bolle, sul fondo una porta; tutto è in legno, ogni pezzo è completo del solo scheletro, ma è mobile. In questo palcoscenico illuminante e sonoro  si muovono gli attori storici della compagnia di Latella, più uno straniero: Vinicio Marchioni, conosciuto per esser stato il Freddo della serie tv Romanzo criminale.

Vinicio Marchioni – foto di Brunella Giolivo Vinicio

Scena a parte, che volutamente risulta essere ingombrante – quasi a creare non solo uno sfasamento della percezione del pubblico e un disturbo per i continui puntamenti luce ad altezza platea (tanto che uno spettatore grida la sua indignazione), ma anche una serie di ostacoli in cui far muovere gli attori – è soprattutto sulla scrittura e sull’adattamento che si misura il valore dello spettacolo e del regista. Il guizzo è infatti tutto nella figura del dottore, che nel testo appare solo alla fine e che qui invece apre lo spettacolo con un prologo e segue tutta la messinscena diventando una sorta di coscienza collettiva a metà strada tra lo psicologo vero e proprio – del quale la scena tiene traccia con una poltrona in pelle e un abat-jour – e un deus ex machina registico. Rosario Tedesco racconta il dramma pronunciando le didascalie, rimane sempre sul proscenio destro vicino a Blanche, è il suo angelo custode, ma anche colui che la sprona a fermarsi per prendere le pause in un gioco sottilmente metateatrale.
Che gli attori di Latella fossero straordinari ce n’eravamo accorti in altre occasioni, dunque non è una sorpresa Laura Marinoni capace di vivere il dramma della follia di Blanche quasi tutto interiorizzato, guardando nel vuoto mentre dietro lei esplodono rumori, lampeggiano le strobo e si alzano i volumi delle chitarre elettriche. Come non è una sorpresa la Stella di Elisabetta Valgoi, vittima delle violenze di Stanley, non vorrebbe vedere la sorella andar via nonostante il suo passato, nella vasca da bagno la sua gravidanza è un pancione dal quale fuoriescono coriandoli colorati. Più sorprendente invece l’interpretazione di Vinicio Marchioni: un Kowalski dal forte accento dell’est, straniero come l’attore nel gruppo, il confronto con Brando è cancellato in partenza nel migliore dei modi: la parodia. Marchioni durante lo spettacolo si cambia due o tre volte la t-shirt con la stessa stampa del mito hollywoodiano. Spinge l’acceleratore sulla rabbia del giovane polacco, estremizzandone i tratti negativi, ne viene fuori un personaggio totalmente indigesto e brutale.

Tutto ruota intorno a Blanche e per lo spettatore è una soggettiva esperienziale nella quale i personaggi sono ai limiti di un immaginario estremo. L’effetto sul pubblico è disturbante e non lascia spazio a immedesimazioni o fughe, pochi i momenti di buio in sala; uscito dalla platea durante l’intervallo i commenti ricordano quelli de Le nuvole: “Certo se la ricerca è arrivata a questo, a forza di ricercare cosa rimane?”, “Quest’anno era andata troppo bene, lo sapevo che prima o poi avremmo preso la fregatura”, “Io preferisco le messinscene classiche, non queste cose moderne”, “Non lo capisco, non riesco a stargli dietro, poi tutte quelle luci, i rumori…” Ma in pochi lasciano la sala in anticipo, tutti parlano o discutono animatamente, insomma una scarica elettrica che ha colpito i nervi più scoperti.

Andrea Pocosgnich

visto alla prima del 28 febbraio
in scena fino al 11 marzo 2012
Teatro Argentina [cartellone 2011/2012] Roma

Un tram che si chiama desiderio
di Tennessee Williams
traduzione Masolino D’Amico
regia Antonio Latella
con Laura Marinoni, Vinicio Marchioni
Elisabetta Valgoi, Giuseppe Lanino
Annibale Pavone, Rosario Tedesco
scene Annelisa Zaccheria
costumi Fabio Sonnino
luci Robert John Resteghini

suono Franco Visioli
assistente alla regia Brunella Giolivo
foto di scena Brunella Giolivo
Un tram che si chiama desiderio viene presentato per gentile concessione della University of the South, Sewanee, Tennessee

produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatro Stabile di Catania

orari spettacolo
martedì, mercoledì e venerdì ore 21.00
giovedì e domenica ore 17.00
sabato ore 19.00
lunedì riposo
durata 3 ore

Date in calendario per la tournée di Un tram chiamato desiderio

Imola, Teatro Ebe Stignani | 13>18 marzo 2012
Rimini, Teatro Novelli | 20>22 marzo 2012
Urbino, Teatro Sanzio | 23 marzo 2012
Iesi, Teatro Pergolesi | 24, 25 marzo 2012
Taranto, Teatro Orfeo | 27, 28 marzo 2012
Pavia, Teatro Fraschini | 30 marzo, 1 aprile 2012
Asti, Teatro Alfieri | 2 aprile 2012
Grosseto, Teatro Moderno | 4 aprile 2012
Catania, Teatro Ambasciatori | 10>22 aprile 2012

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

4 COMMENTS

  1. Spettacolo stupendo. Certo non per tutti. Chi conosceva già Latella non sarà rimasto deluso. Il suo teatro è sempre innovativo e suggestivo. E mai banale. Poi gli attori sono sempre fantastici. Che cercare di più da uno rappresentazione teatrale? Chi non ama il vero teatro vada a guardarsi le commediole capitanate dalle veline o dagli attorucoli-da-fiction di turno.

  2. Ieri sera sono entrata nella ingegnosa follia che aleggiava in teatro. Una follia magistralmente orchestrata e interpretata con il risultato di un’armonica messa in scena. La scenografia fatta di oggetti uniformati dallo stesso legno, freddi e funzionali nel contempo. La luce era irruente e ti metteva sul palcoscenico. La musica era sconvolgente e coinvolgente. Gli attori sublimati dalla folle carica dell’interpretazione del testo. Sono state tre ore molto piacevoli. Grazie e complimenti!

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