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Un orizzonte più vasto

ultimo capitolo di Epica, Etica e Pop – manovre di uscita dalla post-modernità tra letteratura e teatro. di Graziano Graziani

Tornando a quel teatro che sta facendo ricorso al ciclo e all’epica, esso pur immergendosi nelle acque agitate del Pop si porta in dote questa complessa e inesauribile riflessione dell’arte teatrale sulla finzionalità. L’essere obsoleto del medium teatrale, rispetto ad una post-modernità fatta di ipermedia digitali, fa sì che il posticcio della costruzione mediale della realtà sia in teatro sempre presente ed esplicito: gli attori (e dietro di loro i registi) devono costantemente interrogarsi su cosa dia loro il diritto di stare in scena, ovvero su cosa consenta loro di essere credibili di fronte a chi li sta a guardare. Non possono richiamarsi a un patto comunicativo che gioca sull’immedesimazione per così dire “immersiva” (come nel cinema, ad esempio, o nella letteratura), perché lo spettatore non è da solo davanti all’opera teatrale: ne è invece egli stesso una parte, perché senza lo spettatore il teatro non può fisicamente avvenire. Il grado zero del teatro è sempre e comunque l’incontro (anche fisico) tra esseri umani, tra spettatore e attore, e se c’è immedesimazione essa deve necessariamente passare per le dinamiche dell’incontro e del dialogo, del mettersi in relazione. Si tratta di un dato pratico che ha però un valore semantico preciso. Un aspetto del teatro che fa il palio a quanto afferma il regista Massimiliano Civica a proposito dell’autoralità in teatro: «Il regista e gli attori diventano un multinarratore che racconta al pubblico e si determina qualcosa che travalica la comprensione del singolo per dar luogo a un terzo. Chi l’autore di uno spettacolo teatrale? Secondo me nessuno: a teatro è sempre un terzo magico che parla ed è costituito dalla relazione1». Se a questo ragionamento aggiungiamo il terzo vertice del triangolo che dà vita a uno spettacolo, e cioè il pubblico e la sua percezione, possiamo immaginare il teatro come qualcosa che si manifesta in un luogo ipotetico che è l’intersezione dove tutti questi soggetti si incontrano. Se vogliamo, da questo punto di vista, il teatro è un’arte decisamente più concettuale di tante altre arti.

La scelta del ricorso all’epica e al ciclo, allora, non essendo alla base del patto comunicativo del teatrante con lo spettatore, non rischia di invischiarsi in un meccanismo retorico del quale si tenta uno smontaggio costante – almeno in un certo tipo di teatro. L’epica si delinea quindi come il tentativo di invenzione di una linea narrativa complessa e stratifica, che tuttavia non giustifica di per sé l’operazione teatrale, semplicemente perché è “di grande respiro” o “ben fatta”, come una serie tv, ma perché inventa una forma nuova dal potenziale “rivoluzionario” nel senso espresso da Spregelburd.

Ciò vuol dire che nel teatro il ricorso all’epica è un fatto positivo e non lo è nella letteratura? Ovviamente non si può porre la questione in modo manicheo. Come ho già affermato le opere, siano esse di teatro che di letteratura, si possono giudicare solo per ciò che valgono e non per l’adesione ad una teoria piuttosto che ad un’altra – e per fortuna. Credo però che il ricorso all’epica non possa delinearsi come fatto virtuoso in sé – “etico” nell’accezione proposta prima – se non affronta il suo stretto legame con un alto dei vertici del triangolo della post-modernità: il Pop.

Che poi l’epica possa essere considerata il nostro pass per la fuga dalla post-modernità è tutto da verificare. Non può allontanarsi dall’Iper senza negare se stessa, e difficilmente rinuncerà al Pop perché è la carta che gioca per avvincere lo spettatore/lettore. Nella sua negazione del Post, tuttavia, disegna un orizzonte più vasto verso cui guadare che già permette di respirare meglio, di annusare un’aria meno viziata. E non è cosa da poco.

1 Massimiliano Civica intervistato da Attilio Scarpellini, in «Sogno nella notte dell’estate» di William Shakespeare nella traduzione di Massimiliano Civica, a cura di Attilio Scarpellini, Editoria&Spettacolo 2010.

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Leggi anche CONTRO IL POP (Prima lettera critica), la risposta di Attilio Scarpellini

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