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Jatahy ispirandosi a Dogville, per parlare di accoglienza

Recensione. All’interno della rassegna del festival internazionale Presente indicativo: per Giorgio Strehler (paesaggi teatrali), al Teatro Piccolo di Milano viene presentato Entre chien et loup, spettacolo di Christiane Jatahy ispirato al film Dogville di Lars Von Trier e adattato attraverso un format che vuole riattivare le inveterate problematiche insite nelle dinamiche sociali.

Foto Magali Dougados

«Iscritto in un “teatro della storia nella storia e per la storia”, l’uomo in prima persona: che è nella storia, che è fatto dalla storia, che la subisce la storia, ma nello stesso tempo la fa la storia, la sua e quella degli altri, la modifica, la porta avanti o cerca di arrestarla o arretrarla. L’uomo che pensa e agisce sempre politicamente, ma che vive anche “umanamente”, lui così come è, lui solo, come domanda continua alla vita». Queste parole di Giorgio Strehler, trovate in Avanti! il 30 aprile 1975, sono quelle riportate all’inizio dell’opuscolo del festival internazionale tenutosi a maggio al Teatro Piccolo di Milano Presente indicativo: per Giorgio Strehler (paesaggi teatrali), di cui abbiamo già cominciato a parlare. E forse è la chiusa di questo estratto a lasciarci qualche riflessione in più sulla rassegna di spettacoli che hanno il compito di creare sì un dialogo di apertura con Paesi altri e storie altre, ma anche di ricamare un dibattito che più che nutrirsi di risposte si alimenta di continue domande. Senza fornire conclusioni predeterminate o compiute, è qui che il teatro si rivela autenticamente politico, perché in grado di indagare le faglie dei discorsi sulla storia, di “agirli” e intervenire su di essi, rivisitarli, interrogarli, riabitarli. Negli incontri-scontri narrativi, nei vuoti che vogliono essere riempiti o semplicemente mostrati attraverso una nuova luce, il festival del Piccolo riesce ad andare oltre gli orizzonti imposti, discuterli e modularli, per calarsi con slancio vitale nella magmatica e transeunte dimensione della realtà contemporanea.

Foto Magali Dougados

Di questo teatro politico che vuole rivisitare i meccanismi che governano la storia si occupa la vincitrice del Leone d’oro alla Biennale Teatro 2022, Christiane Jatahy, autrice, drammaturga e regista brasiliana. Servendosi delle contaminazioni tra teatro e cinema, Jatahy rappresenta le direzioni di una narrazione che può assumere molteplici punti di vista e, dunque, attraversare diversi media. Il suo lavoro ruota attorno a questo integrato gioco scenico: le riprese video hanno così il compito di implementare il racconto, di far vedere al di là del rappresentato, al di là del rappresentabile, per creare un cortocircuito di elementi in grado di “esporre” da una parte la psicologia dei personaggi e dall’altra le relazioni sociali che instaurano. Questo complesso meccanismo di riprese, talvolta sfasate, che intreccia fatti registrati in un tempo precedente, proiettati sullo schermo di fondo, e gli stessi fatti performati e registrati in diretta come in un documentario, si inserisce nella mise en abyme della trama drammaturgica di Entre chien et loup, (direzione video Julio Parente e Charlélie Chauvel) affinché ciò che possa essere visualizzato nelle sue articolate sfumature sia la dinamica dell’accoglienza dell’Altro all’interno di una società precostituita e preordinata.

Foto Magali Dougados

La tematica non è nuova e il riferimento a Dogville, film del 2003 di Lars von Trier, è esplicito, anche se Jatahy opera delle personali correzioni, sia cambiando il finale sia scegliendo talvolta di spostare in scene diverse dal film i momenti di maggior pathos e tragicità. Tuttavia, ciò che cattura l’attenzione è la modalità con la quale la regista utilizza i suoi strumenti per questo reenactment dell’originale, sovrapponendoli e lasciando che essi agiscano quasi in autonomia, per una storia il cui destino è di ripetersi uguale a sé stessa. Vedremo quindi Tom iniziare a instaurare un dialogo con noi, mentre ancora si sente brusio in platea. Ci spiegherà il suo progetto di studio e il tentativo di mettere in pratica un esperimento che metta in evidenza le premesse e le conseguenze dell’accettazione di un estraneo all’interno di un gruppo. Tra i sedili del pubblico si alzerà una figura femminile che prenderà parte all’esperimento del laboratorio. Sarà Graça, una rifugiata dell’America Latina. Vedremo le dinamiche della piccola ma efficiente comunità, costruita su di un precario equilibrio di ruoli e di gerarchie, le cui reazioni sono prima di stizzita e malfidata esclusione, poi di curioso avvicinamento, infine di fedele integrazione.

Foto Masiar Pasquali

Ma l’accoglienza non è mai finalizzata al suo reale compimento. Alla prima notizia insidiosa, ecco crollare il palco di un sistema relazionale fragile frutto di un’accettazione irrisolta, che nasconde mutismi e prevaricazioni, falsi sorrisi e opportunismo e che giunge al proprio acme con la violenza esplosa di reiterati abusi. Il teatro si rivela essere, così, il luogo di più narrazioni: ritroviamo le stesse pareti invisibili ma concretamente tangibili nel loro rumore di Dogville, le statuine feticcio ottenute con lo sforzo per l’integrazione, poi fatte in frantumi per espiare una colpa, i momenti conviviali e quelli di pura solitudine. È la storia di Grace di Dogville, di Graça di Entre chien et loup, dei milioni di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Le continue interruzioni del racconto, gli appelli al pubblico, lo sguardo svuotato della protagonista chiamano in causa la platea, non più semplice e distaccata spettatrice ma complice indiscussa e silente. Complice perché testimone a cui nulla può più rimanere celato.

Il palco è abitato dagli arredi, oggetti di vita quotidiana, in una scenografia (curata con la collaborazione artistica di Thomas Walgrave) che è riflesso di ognuno dei personaggi. Inoltre, l’uso principale del francese nella messa in scena viene chiuso e messo in discussione dalla lingua portoghese nell’epilogo. Un modo, questo, che più che risultare didascalico vuole interrogare la visione eurocentrica e sfaldarne le frontiere, dando un territorio preciso a questa storia potenzialmente “anonima”: un’identità culturale che è prima di tutto personale, per muovere una denuncia all’attuale situazione politica del Brasile, paese natio della regista.

Foto Masiar Pasquali

Attraverso lo strumento linguistico e quello visuale, quindi, Jatahy proietta la sua realtà in un esperimento di finzione che si riferisce ad un altro esperimento di finzione, per cui a partire dalle medesime premesse possano ripetersi e mostrarsi gli stessi conflitti tra individui, la ricerca intrinsecamente umana di convivialità e il conseguente fallimento di ideali. È così che cominciamo a chiederci se la storia potrà mai andare diversamente. Procedendo per contrasti e paradossi, tra le note di un piano come momento di incontro e lo stupro su di un letto come spazio dello scontro, Entre chien et loup dimostra come ogni cosa o gesto abbia nel mondo reale un prezzo da pagare, dal quale non ci si può sottrarre. Negando il finale tragico del film, la regista brasiliana restituisce così una dimensione sospesa nelle domande, nella riflessione. L’oppressiva violenza sociale e l’orchestrato gioco sui suoi confini rimangono, pertanto, le costanti dell’intero spettacolo, rispettate dall’ambiguità dell’interpretazione attoriale. La stessa ambiguità che mostrano i docili e fedeli “cani” quando improvvisamente si trasformano, rivelandosi lussuriosi e famelici “lupi”.

Andrea Gardenghi

 

Piccolo Teatro, Milano – maggio 2022

ENTRE CHIEN ET LOUP
ispirato al film Dogville di Lars Von Trier
scenografie, regia e adattamento Christiane Jatahy
collaborazione artistica, scenografia e luci Thomas Walgrave
direzione alla fotografia Paulo Camacho
musiche Vitor Araujo
costumi Anna Van Brée
manager del suono Jean Keraudren
direzione video Julio Parente e Charlélie Chauvel
collaborazione e coordinamento Henrique Mariano
con Véronique Alain, Julia Bernat, Élodie Bordas, Paulo Camacho, Azelyne Cartigny, Philippe Duclos, Vincent Fontannaz, Viviane Pavillon, Matthieu Sampeur, Valerio Scamuffa
produzione Comédie de Genève
coproduzione Odéon-Théâtre de l’Europe-Paris, Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, Théâtre national de Bretagne-Rennes, Maillon Théâtre de Strasbourg-Scène européenne

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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