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IGRA (Kor’sia)

Questa recensione fa parte di Cordelia di marzo 24

«Non esistono poesie finite, solo poesie abbandonate». Paul Valery annota così, a proposito della natura della poesia, e del limite. A questo assunto si ispira il pensiero coreografico di Mattia Russo e Antonio De Rosa: sulla scena si compone un’idea di passato come entità avviluppante, che orienta le forme e la nozione di bellezza. Igra, in russo, significa «gioco» e rinvia a Jeux di Nijinskji, un balletto in un solo atto, su un poème dansé di Debussy, che avrebbe dovuto essere «un’apologia plastica dell’uomo del 1913». L’azione – la ricerca di una pallina da tennis perduta in un parco – si svolge in un’atmosfera crepuscolare che, alla comparsa di due fanciulle, sfuma nel jeux amoureux. Russo e De Rosa elaborano e moltiplicano l’onirismo in una sequenza di quadri, ne riprendono il tratto stilizzato e ginnico, immergendolo in un ambiente soffuso, scandito dalle geometrie del campo da tennis (sedute in plastica, rete che taglia il palco), in un paesaggio sonoro che, alla sinfonia, coniuga una psichedelia leggera, pochi bassi e rintocchi, suoni d’ambiente che sono già “archivio” (le celebri urla di Maria Sharapova, applausi, il suono elastico dei rimbalzi) e da un costante cinguettio lontano. C’è una qualità opalescente, nella visione (velata da una membrana in proscenio) e nel suono, alla quale si oppone il prodigio nitido dei corpi, la perfezione atletica e struggente del movimento, portato ai propri vertici, di precisione tecnica o di estaticità tribale. È proprio alla superficie estatica e muta, al mistero dell’apollineo (più profondo e sapienziale di quello del dionisiaco) che, infine, la partitura rinviene. Il lirismo di Eros appare senza dirompere, cristallizzato in un perimetro, esaminabile attraverso il lessico della zoologia: una voce fuori campo riconduce le gestualità degli interpreti – fluidissime, combinatorie – al sexual behaviour delle scimmie bonobo. La «nobile semplicità e quieta grandezza» neoclassica sorveglia il confine, totemica, in forma di scultura marmorea. L’enigma eterno, comune a ogni epoca, è quello dell’imitazione come trascendenza. (Ilaria Rossini)

Visto al Teatro Morlacchi, Crediti: direzione  Mattia Russo e Antonio De Rosa; coreografia Mattia Russo e Antonio De Rosa in collaborazione con gli interpreti; interpretazione Edoardo Brovardi, Benoît Couchot, Angela Demattè, Antonio de Rosa, Helena Olmedo Duynslaeger, Giulia Russo e Alberto Terribile; ambiente sonoro Da Rocha; assistenti alla drammaturgia e consulenza artistica Agnès López-Río e Gaia Clotilde Chernetich coproduzione Condeduque Contemporary Culture Center; con il supporto di Ministry of Education, Culture and Sports – Government of Spain, Community of Madrid, Madrid City Council, Espai La Granja Valencia, Romaeuropa Festival, Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), Istituto Italiano di Cultura de Madrid, con il sostegno di Acción Cultural Española (AC/E).

Cordelia, marzo 2024

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Ilaria Rossini
Ilaria Rossini
Ilaria Rossini ha studiato ‘Letteratura italiana e linguistica’ all’Università degli Studi di Perugia e conseguito il titolo di dottore di ricerca in ‘Comunicazione della letteratura e della tradizione culturale italiana nel mondo’ all’Università per Stranieri di Perugia, con una tesi dedicata alla ricezione di Boccaccio nel Rinascimento francese. È giornalista pubblicista e scrive sulle pagine del Messaggero, occupandosi soprattutto di teatro e di musica classica. Lavora come ufficio stampa e nell’organizzazione di eventi culturali, cura una rubrica di recensioni letterarie sul magazine Umbria Noise e suoi testi sono apparsi in pubblicazioni scientifiche e non. Dal gennaio 2017 scrive sulle pagine di Teatro e Critica.

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