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Salvarsi nel teatro. Il Cyrano di Cirillo

Il Teatro Biondo di Palermo ha ospitato il Cyrano de Bergerac per la regia di Arturo Cirillo, che ha anche vestito i panni del protagonista. Recensione.

Foto Tommaso Le Pera

Dal 1897, anno della sua prima rappresentazione, il Cyrano de Bergerac di Rostand è stato oggetto di molte, differenti rivisitazioni. La recente regia di Arturo Cirillo, ora in tournée e vista al Teatro Biondo di Palermo, prende le mosse da un ricordo autobiografico: la visione del Cyrano di Modugno e Pazzaglia, con il cantante nei panni del protagonista, al Politeama di Napoli alla fine degli anni Settanta. Come questo, anche il dramma di Cirillo è uno spettacolo musicale, ma non ha molto in comune con il precedente: «Non è ovviamente la riproposizione di quel musical», dice il regista, per poi precisare quanto piuttosto si tratti di: «Un teatro canzone, un modo originale per raccontare la famosa e triste vicenda d’amore tra Cyrano, Rossana e Cristiano, attraverso non solo le parole ma anche le note».

Foto Achille Le Pera

La famosa, triste vicenda, è in breve questa: Cyrano, cadetto e poeta, ama la cugina Rossana, ma non è ricambiato a causa del proprio ingombrante naso. Rossana, da parte sua, è innamorata di Cristiano de Neuvillette, bello d’aspetto ma oratore poco facondo, al quale Cyrano offre i propri versi per impressionare la donna. Nella regia di Cirillo, il caso di Cyrano depone i toni da romanza per indossare lustrini e paillettes. È un divertissement elegante e delizioso, questo spettacolino da rivista nel quale un Cyrano in frac e cilindro anima mondi fantastici. Mondi nei quali coesistono storie diverse: per il regista il dramma di Rostand è la base di una contaminazione legata all’iconica protuberanza del protagonista. Così, come per magia, lo spadaccino diviene Pinocchio; Rossana (Valentina Picello) si trasforma in Fata Turchina; il fido Raguenau (Rosario Giglio) è un Grillo Parlante. Non si tratta di un escamotage isolato e fine a se stesso. Ricorrendo a varie citazioni – tra Dante, Ariosto e Cervantes – Cirillo esalta la meta-letterarietà insita nel testo, la quale era stata denunciata da un critico del tempo, Jules Lemaître, come manchevole debito nei confronti di una vetusta tradizione. In questo allestimento tale debito viene invece amplificato nella creazione di un’immagine brillante, pulsante di continui rimandi.

Foto Tommaso Le Pera

Il dispositivo del teatro nel teatro, che Rostand ereditava da una lunga consuetudine, nella regia di Cirillo ha assunto le sembianze di numeri da rivista consecutivi, accennati a ritmo di elegante charleston le musiche, originali o rielaborate dallo spettacolo con Modugno, sono di Federico Odling, ma non mancano, tra gli altri, tributi ad Édith Piaf. È dunque un teatrino nel teatro questo, e davvero ricorda quello delle marionette di Mangiafuoco, ma prodotto dalle parti di Broadway. Davanti, intorno al sipario argenteo calato dall’alto al centro del palco, gli oggetti di scena (il balcone di Rossana, le trincee della guerra di Arras) si rivelano al pubblico quali amovibili fantocci di cartapesta e cartone. L’intero allestimento è un gioco teatrale e letterario, ma non svela tutti i suoi trucchi: al proprio interno il testo (in una traduzione limpidissima) si scioglie fluido e sonoro come per misterioso incanto.

Foto Tommaso Lepera

In perfetto equilibrio tra dramma e spettacolo, il Cyrano di Cirillo non declama, ma danza la parola in punta di fioretto. Sotto le luci cangianti di Paolo Manti, tra le stoffe variopinte dei costumi di Gianluca Falaschi, Cyrano si muove da poeta visionario, non tanto da «uomo di spada ed eroe della retorica», come forse era stato nel caso di Modugno e sicuramente in quello di Gigi Proietti nel 1985. Il suo duello con il conte De Guiche (un tronfio Francesco Petruzzelli) è più una singolar tenzone agita a colpi di rima; non è opera di oratoria, ma di magia il sentimento al quale, grazie ai suoi versi, cede la disneyiana Rossana di Valentina Picello; e anche la bellezza di Cristiano (un appassionato Giacomo Vigentini) è un fatto troppo concreto per poter competere con le possibilità affabulatorie del rivale.

Foto Achille Le Pera

La scena di Dario Gessati è dunque la ribalta di un cabaret gradevole e tuttavia malinconico, in cui il sorriso si stempera nell’inevitabile empatia per le sorti del protagonista. Più mago che spadaccino, l’interprete sferza versi mentre attraversa leggero il palco, e quasi si direbbe che ciò accada in un’atmosfera lunare, priva di gravità. Ma la sua è una leggerezza calviniana, affatto superficiale, e oltretutto perseguita a costo del sacrificio e della perdita. Complice anche l’interpolazione con la fiaba di Pinocchio, la vicenda di Cyrano qui assume i toni di un bildungroman tardivo e insensato, la cui morale si accanisce su un uomo già maturo, colpevole per il solo fatto di possedere una fisionomia poco canonica. Non la storia di un freak, come accade nel recente film diretto da Joe Wright, ma il simbolo di un amore non ricambiato: su questo amore Cirillo plana dall’alto, regalando al pubblico la vicenda di un uomo «salvato dal teatro, ora che il teatro ha più che mai bisogno di essere salvato».

Tiziana Bonsignore

Teatro Biondo, Palermo – Gennaio 2023

CYRANO DE BERGERAC
da Edmond Rostand
adattamento e regia Arturo Cirillo
con Arturo Cirillo, Valentina Picello, Giacomo Vigentini, Francesco Petruzzelli, Rosario Giglio, Giulia Trippetta, Rosario Giglio
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Paolo Manti
musica originale e rielaborazioni Federico Odling
costumista collaboratrice Nika Campisi
assistente alla regia Mario Scandale
assistente alle scene Eleonora Ticca
produzione MARCHE TEATRO / Teatro di Napoli – Teatro Nazionale / Teatro Nazionale di Genova / Emilia Romagna Teatro – ERT Teatro Nazionale

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