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KAKUMA. FISHING IN THE DESERT (regia di Laura Sicignano)

Questa recensione fa parte di Cordelia, febbraio 2023

Foto Federico Pitto

Kakuma è il più grande campo profughi del mondo nato nel 1992 per accogliere oltre 20mila bambini (lost boys) che fuggivano nel 1987 dalla guerra civile nel Sudan meridionale. Tornata da questo viaggio, a giugno 2022, la regista Laura Sicignano ha sentito l’esigenza di raccontarlo con l’intento civile di «dare il mio piccolo contributo per aiutare anche una sola persona». Così nasce Kakuma. Fishing in the Desert prodotto dal Teatro Nazionale di Genova e presentato in prima nazionale alla Sala Mercato. Sulla scena realizzata con materiali di riuso, riempita di sedie, tavoli e sostegni, ci sono l’attrice Irene Serini, in camicia, maglietta, pantaloni e scarpe, e la danzatrice Susannah Iheme, scalza, con culotte e top, «un’entità senza possibilità di parola, al quale è permesso di esprimersi solo attraverso il corpo», in una danza fluida, tribale e terrigna, a tratti sostenuta da Serini. “L’occidentale” siede sulla poltrona e «discute del futuro di Kakuma», la danzatrice, che incarna l’Africa tout court, siede invece sulla sediolina dei bambini e distruggerà in segno di rivolta la scena, metaforicamente il sistema di aiuti umanitari. Amplificata da una compassionevole interpretazione, la distanza tra «noi» e «loro», «Africa + 400% e resto del mondo + 10%», «inferno» e «paradiso», è totalizzante, univoca, mai messa in discussione. La drammaturgia è infatti dichiaratamente eurocentrica: il corpo bianco dotato di parola descrive al pubblico la realtà del campo attraverso l’esperienza, e le fragilità, degli operatori dell’UNHCR, tutti bianchi, i cui volti compaiono nei monitor. L’unica voce indigena, è quella di Fabien, rappresentante l’1% di rifugiati, con lui il «miracolo» della salvezza occidentale è avvenuto, sarà ricollocato in Canada. Pur credendo nell’onestà poetico registica di Sicignano, nell’«utopia» del sottotitolo di “pescare nel deserto”, non possiamo non interrogare questo sguardo, anacronistico rispetto alla letteratura inclusiva e postcolonial, alla dialettica ibrida, mutuale e polisemantica. (Lucia Medri)

Visto a Sala Mercato, Teatro Nazionale di Genova: testo e regia Laura Sicignano; con Irene Serini e Susannah Iheme; scene e costumi Guido Fiorato; coreografia Ilenia Romano; musiche Uhuru Republic Raffaele Rebaudengo Filo Q; luci/ suono/ video Luca Serra; direttrice di scena Francesca Mazzarello; produzione Teatro Nazionale di Genova. Foto Paula Casado Aguirregabiria

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Lucia Medri
Lucia Medri
Laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale, sceglie di dedicarsi alla scrittura critica partecipando a workshop e seminari presso la Fondazione Romaeuropa. Dal 2013 è redattrice presso la testata online Teatro e Critica e approfondisce parallelamente la sua formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi). Negli ultimi anni si specializza in web editing prendendo parte a master e stage dedicati al Social Media Management presso aziende operanti nel settore culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018 riceve il Premio Garrone «al critico più sensibile nel leggere il teatro che muta».

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