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Il gioco e le sue regole. Il Sogno di Chiodi

Dopo La bisbetica domata, Andrea Chiodi torna a Shakespeare con Il sogno di una notte di mezza estate, prodotto ancora una volta dal LAC di Lugano. Visto al Biondo di Palermo.

Foto Studio Pagi

Con il suo ultimo Sogno di una notte di mezza estate, al quale abbiamo assistito a Palermo all’inizio di novembre, Andrea Chiodi si conferma raffinato interprete del testo shakespeariano. Il lavoro, prodotto dal LAC di Lugano al pari della precedente Bisbetica domata, ha coinvolto parte delle professionalità già presenti nell’altra regia: Tindaro Granata, prima nei panni di Caterina e qui in veste di coach, ma anche Angela Dematté, ancora responsabile di traduzione e adattamento. In questo Sogno, Chiodi ricerca una limpida eleganza: i differenti e variabili motivi che si intrecciano nel dramma, trovano qui soluzione pulita ed essenziale. Si vuole ricreare l’atmosfera del gioco, ma di un gioco molto serio, se è capace di «indagare la natura dell’uomo».

Natura dell’uomo e natura sono indistinguibili. Chiodi entra nella duplicità rinascimentale e tardo-gotico di questa coincidenza, declinandola in un idillio in cui la metamorfosi è sottoposta a consapevole misura. Nella scena di Guido Buganza, la foresta in cui si svolgono gli amori dei personaggi è un pavimento erboso, sul quale si proiettano le luci, gelide al neon, ideate da Pierfranco Sofia. Se in questo luogo si svolge il ciclo delle continue rinascite consentite dall’unione tra gli esseri, un’oscurità indefinita opprime tuttavia il verde. Le giostre che poggiano sul prato sono scure, vagamente industriali, e sembrano recuperate da un parco di periferia. Sul gioco, ancora in procinto di essere iniziato, incombe fin da subito un vago senso di morte: una nenia infantile, intonata da Emilia Tiburzi, fata bambina in veste da notte, prepara gli eventi in un momento di attesa oscura ma allettante.

Foto Studio Pagi

Le azioni successive sono piene di sicura energia. Teseo (Igor Horvat), duca di Atene, e Ippolita (Anahì Traversi), regina delle Amazzoni, entrano in scena nel pieno dei preparativi per il loro matrimonio. Hanno modi asciutti, volitivi, vestono austeri abiti neri. Horvat, già presente nella Bisbetica domata, si avvale di un eloquio saldo, e dipana i discorsi definendoli con razionale e certa evidenza. La scelta di far interpretare agli stessi attori Oberon e Titania (affine a quella che fu già di Brook nel ‘70, ad esempio) enfatizza il carattere simultaneo e opposto che la dimensione degli uomini intrattiene con quella del sogno: nei panni dei sovrani delle fate, Horvat e Anahì hanno atteggiamenti più sensuali, languidi, enfatizzati da abiti chiari e vaporosi. Il mondo delle cose e il mondo delle parvenze, ai quali il dramma concede il miracolo di coesistere nello stesso mondo, sulla stessa scena, sono nel Sogno un’unica entità spaziale indistinguibile. In questo senso la regia ricorre a soluzioni sceniche semplici, ma di effetto: un’ampia apertura all’estremità destra della scena, una cortina di frange sul fondo. Attraverso questi varchi i corpi dei personaggi scorrono continuamente, ponendosi tra la città con le sue immotivate leggi, e le più festanti esigenze di natura, governo della fiaba onirica.

Foto Studio Pagi

Chiodi vuole enfatizzare del Sogno quanto può essere romanzo di formazione, rito di passaggio che induce i neofiti alla gioiosa accettazione delle passioni nella vita adulta. Sulla scena, i protagonisti della transizione sono interpretati dagli allievi del Piccolo, alcuni dei quali, al momento del debutto, erano alla loro prima prova professionale. Largo spazio è lasciato al gruppo dei quattro giovani dagli amori incostanti, interpretati da Giulia Heathfield di Renzi, Caterina Filograno, Sebastian Luque Herrera, Alberto Marcello. La loro presenza sul palco è dinamica, movimento incessante, costante ritrovarsi e perdersi, prendersi e allontanarsi. A volte, soprattutto per le attrici, l’interpretazione si risolve più in un tentativo di naturalezza, e non sempre riesce a sciogliersi nella ricercata vitalità. Tuttavia, il ritmo delle evoluzioni è fresco e sostenuto. Sicuramente esilarante la performance degli artigiani impegnati nelle prove della tragedia di Piramo e Tisbe: nel momento in cui si allestisce lo spettacolo alla corte di Teseo e Ippolita, vengono raggiunti momenti di brillante comicità. Il pubblico è più che coinvolto: il Bottom di Alfonso de Vreese strappa un applauso ai presenti. Convincenti anche il Puck di Beatrice Verzotti e la Fata di Tiburzi, il cui dialogo guida il dramma con energia priva di cadute; in particolare la prima si muove sulla scena con notevole padronanza fisica.

Foto Studio Pagi

Il Sogno di Chiodi è un’allegoria garbata, stilizzata con un acume che, come si diceva, è anzitutto possesso dell’esatta misura: tra moto e stasi, tra riso e riflessione, tra irrazionale e razionale, tra ombra e luce. Sulla scena minimale di Buganza, sulla quale si stagliano i bei costumi di Ilaria Ariemme, questa regia si colloca nel giusto mezzo con equilibrio, forse costringendo appena l’imprevedibile in un più compunto ideale classicistico, quasi settecentesco. Un delicato Bildungsroman, questo di Chiodi, vicino più al Flauto magico che alla commedia shakespeariana: bella prova di intelligenza estetica, interessata più alla felice soluzione e meno agli interrogativi; di Shakespeare, Chiodi ha, consapevolmente, tenuto l’idillio classicista e tagliato via la più inquietante fiaba gotica. Un gioco, senz’altro. Ma le sue regole sono chiarissime.

Tiziana Bonsignore

Visto al Teatro Biondo, Palermo – Novembre 2022

SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE
di William Shakespeare
traduzione e adattamento Angela Dematté
regia Andrea Chiodi
con (in ordine alfabetico) Giuseppe Aceto, Alfonso De Vreese, Giulia Heathfield Di Renzi, Caterina Filograno, Igor Horvat, Jonathan Lazzini, Sebastian Luque Herrera, Alberto Marcello, Marco Mavaracchio, Cristiano Moioli, Alberto Pirazzini, Emilia Tiburzi, Anahì Traversi, Beatrice Verzotti
scene Guido Buganza
costumi Ilaria Ariemme
musiche Zeno Gabaglio
disegno luci Pierfranco Sofia
coaching Tindaro Granata
assistente alla regia Walter Rizzuto
produzione LAC Lugano Arte e Cultura | in coproduzione con CTB – Centro Teatrale Bresciano / Centro D’arte Contemporanea Teatro Carcano / Fondazione Atlantide – Teatro Stabile di Verona


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