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HomeMedia partnershipMacarena Recuerda Shepherd. La scena è una macchina dello sguardo.

Macarena Recuerda Shepherd. La scena è una macchina dello sguardo.

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Intervista a Macarena Recuerda Sheperd, artista spagnola che lavora con installazioni e performance, presente a Pergine Festival col suo ultimo lavoro sul confine fra realtà e finzione, The watching machine. Materiali creati in Media Partnership.

Iniziamo dal nome. Cosa c’è dietro il tuo pseudonimo?

Macarena Recuerda Shepherd era un eteronimo durante i primi anni del progetto artistico. Durante quel periodo non ho fatto interviste faccia a faccia o conferenze stampa. La mia ricerca ruotava, come oggi, sul concetto di finzione, ma allora si concentrava specificamente sulla costruzione delle identità. Questa è la storia della mia vita e Greenwich art show sono documentari di finzione che mettono in evidenza la costruzione dell’identità.

Watching machine gioca sul confine fra realtà e rappresentazione. Come? Cosa succede su quel confine?

Per me The Watching Machine mostra, in modo molto semplice (la semplicità mi ha sempre interessato, potrei dire che è la mia firma), l’essenza del teatro. La complessa percezione delle doppie realtà. L’attore e il personaggio, realtà e finzione, le convenzioni del guardare. L’illusionismo ci mette il gioco della rappresentazione proprio sotto il naso, ma per me funziona solo se mostriamo il trucco. È molto importante tenere insieme entrambi i margini: realtà e finzione.

La metafora delle ombre come regno dell’illusione ha un background filosofico profondamente radicato. Cosa significa per te l’ombra? Ha un valore politico, filosofico, sessuale?

Per molto tempo le ombre sono state utilizzate nell’arte in maniera strumentale, a servizio della rappresentazione visiva, ma non avevano vita propria, svolgendo varie funzioni cognitive ed estetiche su dipinti, stampe e fotografie. Ma l’ombra, come entità a sé stante, può anche essere un’opera d’arte. Mi interessa l’ombra come rappresentazione, dunque lavorare con le ombre come immaginario, facendo riferimento alla dicotomia tra oggetto e ombra e in particolare, in questo progetto, tra corpo e ombra, movimento e azione, realtà e finzione. Si può distruggere la normale aspettativa che l’ombra sia la diagnosi della forma di un oggetto; al contrario, l’ombra smette di essere secondaria all’oggetto per diventare l’oggetto stesso. I miei riferimenti durante il processo sono stati artisti come Tim Noble & Sue Webster, Lotte Reinger, Werner Nekes, Marianne Traub, Lisa von Trekow e Julia von Randow, e alcune letture di autori come Platone, Walter Benjamin, John Berger, Deleuze…

Come hai lavorato intorno ad una materia così sfuggente? Come hai elaborato la compresenza di diversi media?

Forse la parte più complessa del processo aveva a che fare con la drammaturgia. Nella prima parte della ricerca ho lavorato da sola, realizzando piccole installazioni a casa mia e poi in sala prove. Mi era chiaro che la performance sarebbe stata un susseguirsi di installazioni che avrei messo in scena dal vivo – in questo momento mi considero un’artista visiva che lavora sul palcoscenico. Pensare che l’illusione sia una delusione concordata con lo spettatore mi ha aiutato a costruire questo gioco reiterato di inganni. Trovare questa drammaturgia ludica dell’illusione è il cuore del lavoro. Dopo una fase di lavoro individuale, poi, la squadra mi ha accompagnato: Ana da Graça, Miriam Ubanet e Jorge Dutor sono stati i co-creatori della piece.

Cosa rappresenta per te la connessione con il pubblico? Quali strategie mettete in campo per affermarlo?

TWM è un esercizio sullo sguardo. Propongo un gioco allo spettatore e lui è responsabile che il pezzo si completi attraverso il suo giocare – complice, dunque. Mostrare il dispositivo, il trucco, ha anche a che fare con la necessità che lo spettatore sia in grado di vedere entrambe le prospettive e di poter scegliere dove collocarsi. Ciò si attiva con il suo sguardo ma anche con i suoi pensieri, ovvero attraverso domande del tipo: “cosa si vuole che lo spettatore veda?” oppure “perché ci mostra entrambe le cose, l’oggetto e la sua ombra, la realtà e l’illusione”?

Redazione

The watching machine, 15 luglio 2022, Pergine Festival. Clicca qui per info e prenotazioni

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Andrea Zangari
Andrea Zangari
Architetto, laureato presso lo IUAV di Venezia, specializzato in restauro. Ha scritto su riviste di settore approfondendo il tema degli spazi della memoria, e della riconversione di edifici religiosi dismessi in Europa. Si avvicina al teatro attraverso laboratori di recitazione, muovendosi poi verso la scrittura critica con la frequentazione dei laboratori condotti da Andrea Pocosgnich e Francesca Pierri presso il festival Castellinaria prima e Short Theatre poi, nel 2018. Ha collaborato con Scene Contemporanee, ed attualmente scrive anche su Paneacquaculture. Inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica a fine 2019, osservando la realtà teatrale fra Emilia e Romagna.

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