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I fantasmi del Valle. Raccontare un processo di formazione e creazione

Il racconto di uno dei workshop di alta formazione del Teatro di Roma: da marzo a giugno 2022, dal Teatro India fino alla restituzione spettacolare al Valle. Oltre a fornire un apporto teorico e storico, il critico può contribuire a testimoniare il processo attraverso il ruolo di primo spettatore interno. 

In foto le attrici e gli attori partecipanti al workshop

«Qui cosa dovresti sentire?» chiede Antonietta, «una generica nostalgia…» risponde Daniel. «Ma noi la generica nostalgia non possiamo recitarla, abbiamo bisogno di precisione». Antonietta Bello e Roberto Scarpetti si muovono con energia, vigore e attenzione scrupolosa tra la platea di sedie, con gli occhi verso i palchetti. Siamo al Teatro Valle, dunque in una sorta di dorato privilegio in cui il teatro settecentesco ci esclude dalla vita esterna. Questo workshop, voluto dal Teatro di Roma (come uno dei suoi percorsi di alta formazione), è iniziato diversi mesi fa: il mondo era già cambiato, per l’ennesima volta, drasticamente e con violenza: Antonietta e Roberto mi chiamano, selezionano, tra centinaia di richieste, un drappello di attrici e attori a cui aprire gli spazi di India e Valle, mi chiedono di pensare a un momento teorico, di introduzione e di provare a essere uno sguardo critico e laterale. Il progetto prende le mosse dai Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, nella coda di un centenario festeggiato proprio il 9 maggio del 2021, cento anni da quando al Valle di fronte a un pubblico fortunato, indiavolato e partigiano come nelle curve di uno stadio, cambiava per sempre il teatro e la sua Storia.

Prima di entrare nello storico spazio però, a marzo, ci chiudiamo a India per guardare al cuore della filosofia creativa di Pirandello: studiamo i passaggi, i racconti dai quali lentamente, ma già con evidenza, tutto nasceva e prendeva forma. La sfida del percorso dunque appare chiara da subito: creare dei personaggi, piccole storie in cui possa palpitare la vita, prima come consesso di anime e poi come mondi incarnati nei corpi degli attori e delle attrici. Perché un personaggio, nato dalla fantasia dell’autore, può essere vivo quanto lo siamo noi, se non di più. I partecipanti devono tirar fuori desideri di scrittura che diventeranno tentativi di creazione drammaturgica.
Le fasi di stesura sono diverse e numerose: ogni autore consegna il proprio scritto ad altre voci, esercizio tremendo per chi sente la creazione come un possesso. Bisogna lasciare andare l’opera, avere fiducia nelle letture altrui, nei commenti del gruppo. Così i testi, revisione dopo revisione, crescono di intensità, perdono ciò che non era necessario, come piccoli bonsai diventano più forti e geometrici. Alcuni diventano dialoghi, altri si asciugano fino a divenire voci monologanti. Andrea, uno degli autori e attori, torna dopo alcune settimane, è la prima volta che assiste alla messinscena del proprio testo: le didascalie sono diventate un personaggio, la voce dal palco è di Arianna. E lui, Nessuno, è Renato: è il principio di una storia. Cominciamo dunque con un’astrazione: siamo nel limbo (quello pirandelliano?) di un altrove che accoglie il pensiero metanarrativo e rilancia verso il mistero della scrittura teatrale. Che cos’è oggi un autore? Che cosa accade all’autore quando tutti vanno via? Che fine fanno le sue parole e i suoi personaggi? Non si tratta solo di pensare alla creazione teatrale, ma di attivare un processo di studio e di scoperta: giovani attori e attrici, professionisti, si sono presi il tempo della ricerca, dalla primavera all’estate, per strappare dal buio profondo dell’immaginazione voci e immagini fatte di fantasia e ricordi.

Spuntano due adolescenti – sono fratelli? – vivono l’uno per l’altra, in un gioco spietato, tra eros e thanatos: i sentimenti hanno il colore del sangue rappreso e l’odore dolciastro delle Big Babol. Roberto ferma Lorenzo: «Non hai la cattiveria di ieri». Un tassista e una donna in uno sgargiante tailleur rosso, anche loro sono personaggi: tacchi sull’asfalto, notte fumosa di città. Siamo o tentiamo di essere come i nostri genitori vorrebbero: perfino le ricette, quelle tramandate, quelle che sono simbolo delle feste comandate. Qui c’è una giovane donna e l’ombra di sua madre, tra di loro una cioccolata calda, «quando c’eri tu una luce entrava in cucina». Un figlio, forse non voleva essere un musicista e ora, nonostante la soddisfazione della madre, vorrebbe una vita diversa. Non sempre abbiamo il coraggio di cambiare rotta, di infrangere i sogni di chi ce li ha consegnati. E prima di nascere, cosa accade? Improvvisamente siamo in una sala d’attesa, ognuno ha il proprio numeretto per cadere alla vita: nasciamo eroi o assassini senza scrupoli con il pallino della guerra? Poi c’è qualcuno che si rende conto di essere un impostore, ciò che vorrebbe essere è lontanissimo da ciò che è. Scappare in questi casi è l’unica via? Vi è mai capitato di arrivare a una festa in cui non conoscevate nessuno?

La locandina del progetto. Idea grafica e disegno Antonietta Bello

Un professore e una studentessa camminano in cerca di un futuro che vinca la morte; il DNA è già tutto nei capelli. La scena li vedrà seduti, Pasquale visto dal basso sembra un gigante: «Quella battuta deve essere una minaccia», gli ricorda Roberto. Lorenzo, che ha scritto questa piccola storia tra minimalismo poetico e fantascienza, guarda dal pubblico: fissa la scena, di tanto in tanto apre la bocca come per sussurrare qualcosa e poi segue con le mani, disegna con le dita possibili tensioni, partecipa con il corpo. C’è una giovane donna che vuole sparire, diventare piccola come un granello di polvere. Poi c’è un bambino al mare, il suo pupazzo, Babba, si allontana tra le onde. C’è una famiglia in viaggio nel deserto, per onorare un parente. Siamo nella nostra infanzia. Tentiamo di tornare lì, sempre: in molte di queste storie ci sono genitori con i quali entrare in conflitto, memorie che riaffiorano dal nostro passato. Dalla platea si alzano due tipi, molto simili tra di loro, qui non c’è infanzia e adolescenza da far brillare: siamo in una sorta di al di là virtuale? Cosa accadrà ai nostri dati quando non ci saremo più? Noi e la nostra traccia nei social media: trovarci di fronte allo specchio e riconoscere che abbiamo mentito, abbiamo venduto un’immagine sorridente e felice di noi stessi.

Antonietta lavora sulla presenza, si accorge quando il movimento di un braccio, di una mano o di un dito è un movimento gestito dalla tensione oppure quando è frutto di un automatismo organico. Al Valle fa fresco, prima dell’estate era quasi freddo, appena si entra in sala si può sentire l’odore del legno con cui è stato ricoperto il pavimento della platea, anche sulle pareti c’è un velluto nuovo. Il cinema, passando di qua, ha lasciato tracce di finzione. La restituzione di questo laboratorio è uno degli ultimi atti pubblici del Valle (insieme alla mostra Roma: immagini di città) prima della ristrutturazione: su un palchetto di platea e primo ordine si vede già un colore diverso, è una prova che riporterebbe in vita l’avorio originale del Settecento. Chissà se torneremo davvero al Valle nel 2024, come affermato dall’assessore Gotor. In questi anni, dopo l’occupazione, il teatro è rimasto chiuso agli spettacoli per aprire di tanto in tanto a mostre, incontri, visite guidate ed altro; anche in questo caso dobbiamo stare lontani dal palcoscenico, non può essere utilizzato. Un custode ci ricorda che dobbiamo chiudere la porta, isolarci dall’esterno. Strehler in un’intervista sottolineava la peculiarità del mestiere teatrale anche nelle ore passate lontane dalla luce solare.

Foto A. P.

Arriviamo alle prove tecniche, con i costumi e le luci, il Valle è scenografia pura, si lavora di continuo, tra tecniche e filate, ogni tanto dal fondo del palco arriva qualche rumore. C’è un fantasma, dice qualcuno. In un momento di pausa, Giulia, scherzando con aria da diva prima di sparire dietro la porta rossa della platea, afferma: “io sono il teatro”.

Qui dentro, siamo tutti fantasmi: mirate in alto, sul soffitto della platea, c’è Arlecchino che ci guarda.

Andrea Pocosgnich

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In principio era nessuno

di Nicolò Ayroldi, Greta Bendinelli, Giuseppe Benvegna, Irene Ciani
Renato Civello, Chiara Davolio, Giada Di Palma, Eugenia Faustini
Carlo Golinelli,, Annalisa Limardi, Andrea Perotti, Tommaso Russi, Martina Tinnirello, Lorenzo Tomazzoni

apertura del laboratorio In cerca di
regia di Antonietta Bello e Roberto Scarpetti
con la partecipazione di Andrea Pocosgnich

con Pasquale Aprile, Nicolò Ayroldi, Carmine Barbato, Greta Bendinelli,
Giuseppe Benvegna, Irene Ciani, Renato Civello, Chiara Davolio, Giada Di Palma,
Eugenia Faustini, Annalisa Limardi, Giulia Navarra, Andrea Perotti, Daniel Pistoni,
Chiara Sarcona, Arianna Serrao, Sara Setti, Martina Tinnirello, Lorenzo Tomazzoni

26 e 27 giugno 2022 Teatro Valle Franca Valeri ore 19.00
ingresso libero con prenotazione obbligatoria per informazioni scuola@teatrodiroma.net

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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