Recensione Madama Butterfly al Circo Massimo per la stagione estiva del Teatro dell’Opera. Con la regia di Àlex Ollé (Fura dels Baus).
Primo giorno di obbligatorietà di Green Pass per gli spettacoli dal vivo e ultima replica per la Madama Butterfly al Circo Massimo per la stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma. Data la quantità di terrorismo mediatico circa la contrarietà della popolazione alla misura, ci si sarebbe potuto aspettare un boom di assenze e tante sedie vuote. Superati i tre step di controllo, invece, ci si ritrova in una platea gremita (misure anti-Covid permettendo), di quella solita varietà di persone che solo la stagione estiva è in grado di mettere insieme. Si chiacchiera prima di iniziare, si fanno le foto di rito davanti alla buca dell’orchestra, si commentano gli outfit improbabili dei più eccentrici tra il pubblico. Insomma, nonostante le vistose manifestazioni di contrarietà, tutto sembra assolutamente come prima. Evidentemente il pubblico operistico preferisce la musica di Puccini al rumoroso clamore della protesta.
Come di consueto per questo palco, si entra con la scena a vista: un bosco di bamboo, un prato vistosamente artefatto, l’occorrente per allestire una festa. Ovviamente si tratta della festa di matrimonio di Ciò Ciò San e Benjamin Franklin Pinkerton, in questa versione contemporanea un ricco imprenditore senza scrupoli, interessato a tutto quello che il Giappone ha da offrire oltre all’amore. È subito chiaro infatti che madama Butterfly è solo uno dei motivi per cui si trova a Nagasaki. Ciò che cerca questo Pinkerton moderno in completo grigio, con la sua bella planimetria tra le mani, è l’incredibile ricchezza futura che può offrirgli la speculazione immobiliare in quel luogo ancora tutto da costruire, sfruttare e colonizzare. Lei, Butterfly, è una graziosa e misurata ragazza (se non ragazzina, avendo quindici anni) giapponese tutta inchini e riverenze per quell’uomo tanto più grande e importante di lei. La fascinazione per la ricchezza che riesce a vedere riflessa negli occhi di Pinkerton è il vero motore di quell’amore trascendentale di cui l’opera di Puccini è colma.
Mentre il Goro, in tutto e per tutto un geometra intrallazzino con tanto di valigetta al seguito, gli mostra la piantina nella casa e il console Sharpless gli illustra i termini del contratto, alle loro spalle viene allestita un’occidentalissima festa di matrimonio. Siede bianche, rivolte verso un arco con svolazzanti tende rosse e tavoli per il ricevimento poco più in là. Riconosciamo di essere in Giappone solo dal bamboo e dagli abiti tradizionali indossati dagli invitati, tutti parenti di Butterfly. Si tratta dell’ultimo baluardo di un Giappone che scompare, fagocitato dall’imperialismo occidentale, in grado di masticare e sputare qualsiasi cosa gli capiti sotto il muso. Butterfly, come il Giappone tutto, ha deciso di tradire la tradizione e sposare un americano, per riabilitare il suo nome dopo essere stata costretta, in mancanza d’altro, a fare la geisha. Del resto, l’unica sua alternativa è rappresentata da suo zio Bonzo, che qui è il capo di una piccola banda mafiosa: caratterizzazione vincente ai fini di rendere chiaro il concetto di impossibilità di cambiamento positivo.
L’idea di controllo è chiara e molto forte: Butterfly, all’età “dei giochi e dei confetti”, si vende all’Americano come l’America ha comprato il Giappone, causandone un drammatico impoverimento, prima di tutto naturalistico. Se nel primo atto la bellezza mozzafiato della natura incontaminata la fa da padrona, il secondo atto mostra le conseguenze della mano mortificatrice dell’uomo: alti palazzi, gru, lamiere, calcinacci e terra battuta. Il secondo tipo di deturpazione è invece quello culturale. Durante il coro a bocca chiusa alla fine del secondo atto una lugubre processione di sfollati attraversa il palco nella sua lunghezza, lasciandoci tutto il tempo di cogliere l’incontrovertibile messaggio. Il Giappone e Butterfly non sono più gli stessi, l’uno martoriato dal capitalismo, l’altra con la bianca pelle martoriata di vistosi tatuaggi, coperta da shorts volgari e una canottiera pacchiana con la bandiera a stelle strisce, simbolo di questo allestimento.
Si tratta in realtà di un allestimento che ha caratterizzato la stagione estiva di Caracalla nel 2015 e nel 2016, riproposto ancora una volta quest’anno in una versione più contenuta a livello scenografico, ma che mantiene tutti i punti cardine del vecchio spettacolo. L’imponente effetto dei cupi e grotteschi palazzoni del secondo atto viene necessariamente meno a causa dei diversi spazi che offre il palco del Circo Massimo, in favore però di una suggestiva animazione video realizzata da Franc Aleu. Più che nella sua versione “statica” in questa soluzione si apprezza il processo lento ma costante di degradamento del paese alle spalle dei personaggi, che riflette quella di Butterfly. Il dramma sociale finisce quindi per essere lo sfondo contestualizzante del dramma tutto umano dei una donna, prima ragazzina, che ha riposto la sua fiducia, il suo onore e quindi la sua stessa vita nell’uomo sbagliato.
Àlex Ollé è un regista d’opera navigato, che sa perfettamente come si fa questo mestiere e lo si capisce a partire dalle sue consistenti note di regia, che iniziano con un perentorio: «Proponiamo un significato definitivo dell’opera come perdita del paradiso e il personaggio di Pinkerton diviene simbolo di uno tsunami neoliberista – ultima conseguenza del feroce colonialismo –, capace di distruggere ogni cosa». Una lettura puntuale e particolare sicuramente non standard, costruita con sapienza e attraverso tanti piccoli dettagli. Ne risulta un primo atto fluido e snello, in cui i personaggi vengono tutti caratterizzati in modo tale da rientrare nel nostro sistema di riferimento occidentale e facilitarne così la comprensione (Goro il geometra, Sharpless il diplomatico in doppiopetto, lo zio Bonzo il boss), un secondo in cui il sottotesto rafforza il concetto del testo e un ultimo atto pensato in ogni dettaglio.
Siamo molto lontani dall’Ollè del passato e dagli eccessi della Fura del Baus, pur collocando questa regia nel 2015 e valutandola come una versione mutilata dell’originale. La verità è che se anche non sconvolge e non scandalizza, la regia c’è ed è ben visibile nelle tante piccole scelte che compie. Quando Butterfly che si toglie il kimono svelando i tatuaggi, con l’interno a fiori rossi che sembrano sangue, Suzuki che porta via il figlio di Butterfly e questo che oppone resistenza e chiama inconsolabile “mamma!” o la moglie “americana” che si aggira per la baracca in cerca del bambino, la borsa nel gomito e i tacchi, come una turista nella povertà e nella miseria. Fino ad arrivare all’ anti-voyeuristico di Butterfly lontano dai nostri occhi, vista attraverso l’ombra riflessa sulla finestra, conservando fino in fondo l’onore, unica e ultima tradizione giapponese dalla quale, nonostante tutto, non riesce a prescindere.
Lo spettacolo quindi trascina e sul finale emoziona, grazie anche all’ottima performance di Corinne Winters, coperta d’applausi, che si dimostra interprete a tutto tondo di un personaggio vocalmente faticoso e caratterialmente reso complesso da questa regia, con un vistoso cambiamento tra primo e secondo atto. Una buona prova anche per il Pinkerton accanto a lei, Angelo Villari, e per tutta l’orchestra del Teatro dell’Opera che supera piuttosto bene l’esame della microfonazione. Senza particolari guizzi la direzione di Donato Renzetti, che comunque si muove con grande sicurezza e maestria attraverso la partitura.
Flavia Forestieri
Madama Butterfly
Musica di Giacomo Puccini
Tragedia giapponese in tre atti
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
da John Luther Long e David Belasco
Prima rappresentazione assoluta
Milano, Teatro alla Scala, 17 febbraio 1904
Durata: 3 h circa con un intervallo
DIRETTORE Donato Renzetti
REGIA Àlex Ollé (La Fura dels Baus)
REGISTA COLLABORATORE Susana Gómez
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SCENE Alfons Flores
COSTUMI Lluc Castells
LUCI Marco Filibeck
VIDEO Franc Aleu
PERSONAGGI E INTERPRETI
MADAMA BUTTERFLY (CIO-CIO-SAN) Corinne Winters
SUZUKI Adriana Di Paola
KATE PINKERTON Sharon Celani *
B. F. PINKERTON Saimir Pirgu /Angelo Villari 31 luglio, 6 agosto
SHARPLESS Andrzej Filończyk
GORO Pietro Picone
IL PRINCIPE YAMADORI Raffaele Feo
Lo ZIO BONZO Luciano Leoni
IL COMMISSARIO IMPERIALE Arturo Espinosa *
LA CUGINA Marika Spadafino / Claudia Farneti 20, 31 luglio
L’UFFICIALE DEL REGISTRO Francesco Luccioni / Daniele Massimi 20, 31 luglio
* Dal progetto “FABBRICA” YOUNG ARTIST PROGRAM del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Allestimento Teatro dell’Opera di Roma in collaborazione con Opera Australia / Sydney Opera House
Con sovratitoli in italiano e inglese