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Il vangelo nero di Milo Rau. Incarnare la Passione oggi

Dal 1 al 4 aprile è disponibile Il Nuovo Vangelo, film di Milo Rau creato a Matera il cui protagonista è l’attivista Yvan Sagnet.

The New Gospel. © Fruitmarket Langfilm. PM Armin Smailovic

“Noi non siamo un film cazzo. Io organizzo le lotte! Non posso rompermi i coglioni a organizzare il film perché ogni due minuti mi cambia il mondo”. A parlare è un attivista, che poi rimprovera il regista di dare voce soltanto ad alcuni braccianti migranti, mentre è in atto una battaglia – di classe – che coinvolge tutti, senza distinzione di provenienza o colore della pelle. Siamo tra Metaponto e Matera, in Basilicata, nell’anno in cui la città dei sassi è stata proclamata Capitale europea della cultura, il 2019; il regista è Milo Rau, invitato a dare una propria interpretazione delle vicende narrate nei vangeli. Di fronte alla richiesta, tuttavia, Rau afferma di non poter confrontarsi con la Passione non considerando le condizioni disumane in cui vivono e lavorano i braccianti agricoli per lo più africani.
Perché ciò che a distanza di millenni ammiriamo ancora in Matera – l’aver fatto, cioè, della necessità dell’abitare un’arte – stride con i ghetti e le baraccopoli, occupate dagli immigrati (sans papiers) appena fuori dai centri urbani. Nasce allora un progetto polimorfico che ha visto una prima presentazione nei teatri, La rivolta della dignità – Resurrezione, in forma di Assemblea Politica, e una versione filmica che in questi giorni è disponibile sul sito della compagnia NTGent, Il nuovo vangelo, le cui riprese, avvenute tra settembre e ottobre 2019, sono state aperte al pubblico.

 
La domanda di fondo attorno alla quale il progetto è costruito potrebbe enunciarsi così: come sia possibile, oggi, in questo presente, un Cristo, che volto potrebbe avere, da dove e per chi parlerebbe, che rivoluzione e trasformazione metterebbe in atto?

The New Gospel. © Fruitmarket Langfilm. PM Thomas Eirich-Schneider

Le prime immagini del film esprimono i diversi livelli in cui è articolato: il piano più propriamente finzionale di un “film sulla Passione”, rappresentato da alcune inquadrature di persone segnate dalla sofferenza, in costume (astanti di una via Crucis). Quello del contesto entro cui si colloca, con Rau e il protagonista, Yvan Sagnet, a osservare l’altopiano di Matera, i sassi, la città vecchia e quella nuova. Il terzo livello, relativo alle condizioni degli abitanti delle baraccopoli, l’estrema precarietà e i paradossi legislativi nei quali si trovano. Il quarto, che arriva subito dopo i titoli di testa, mette in connessione i precedenti ed esplicita la dimensione cinematografica: sono riprese di alcuni provini degli attori neri. La loro risposta esplicita l’adesione al progetto cinematografico e può però intendersi al tempo stesso come partecipazione in prima persona a lotte, manifestazioni, assemblee pubbliche della Rivolta della Dignità portata avanti in prima persona dallo stesso Sagnet. E quella volontà di adesione è espressa con un lessico molto simile a quello di potenziali discepoli di un Cristo (“Ti seguirò”). Nell’intreccio costante di più livelli, quindi, ciò che il film restituisce è come ogni azione drammaturgica sia automaticamente azione politica, reale. Come il film dal vangelo, con un Cristo nero e i suoi discepoli (Sagnet e gli altri braccianti, cioè coloro che oggi vivono una passione, però irredenta), così la rivolta che ha preso piede più volte nel territorio lucano, entrambi vogliono essere azioni trasformative. Scrivendosi si in-scrivono, cioè si calano nel mondo reale, drammaturgia e cinema che si fanno politica, atto incarnato.

The New Gospel. © Fruitmarket Langfilm. PM Armin Smailovic

Inoltre, aprire il film con la Maurerische Trauermusik mozartiana in colonna sonora, aggiunge un altro elemento centrale: il riferimento è a Il vangelo secondo Matteo (1964) di Pasolini, nel quale lo stesso brano è usato nelle scene della via Crucis. Il film di PPP è esplicitato e presente sotto più punti di vista: salta all’occhio la coincidenza della location che è anche quella della Passione di Mel Gibson (altro riferimento sebbene meno incisivo). Indicativa, inoltre, la presenza di Enrique Irazoqui Levi, il Gesù pasoliniano, e qui mediatore sia sul piano drammaturgico da vecchio a nuovo Gesù (quando veste i panni di Giovanni Battista, effettua tramite il battesimo un passaggio di consegne alla nuova “incarnazione cristica”), e sia su quello tecnico interpretativo (lo vediamo più volte fornire indicazioni a Sagnet). 

Come il film di Rau, che vede Cristo incarnato in un bracciante e attivista, così il Vangelo pasoliniano era a propria volta un’incarnazione, un credere sempre e ovunque possibili Cristo e la sua storia, la sua azione trasformativa e – soprattutto – rivoluzionaria. Perchè la Giudea di duemila anni fa può trovarsi (incarnarsi) appunto a Matera (e la Galilea a Crotone o a Massafra; il deserto sull’Etna), la Madonna nella propria madre (Susanna Pasolini), gli altri personaggi del racconto evangelico tra uomini e donne dell’Italia meridionale del ‘64 o amici intellettuali e scrittori (Alfonso Gatto, Mario Socrate, Natalia Ginzburg).

The New Gospel. © Fruitmarket Langfilm. PM Thomas Eirich-Schneider.

Anche nel Nuovo vangelocoloro che danno corpo ai personaggi portano un valore aggiunto: la Madonna è interpretata dalla stessa attrice della Passione di Gibson (2004), Maddalena una prostituta nera che sogna per se stessa un riscatto e che offre riparo ai senzatetto che dormono nelle stazioni, il sindaco di Matera afferma di non poter interpretare Pilato (che difatti è affidato a un terrigno Marcello Fonte) ma sceglie il personaggio del Cireneo, colui che alla fine porta sulle spalle la croce alleviando appena le fatiche di Gesù, dichiarando che i sindaci “devono essere a servizio”; i soldati romani interpretati da ragazzi che dicono di loro stessi di voler sperimentare il proprio opposto in quanto “buoni”, “cristiani” (di notevole impatto, catartico e straniante, è l’improvvisazione di uno di loro sulla scena della flagellazione con una sedia per Gesù, già immaginato come “nero”, “migrante”, e caricato di insulti razzisti). E poi, ovviamente, Sagnet e i braccianti, che sono i nuovi volti di coloro per cui vale la pena lottare contro le ingiustizie sociali. 

The-New-Gospel. © Fruitmarket Langfilm. PM Thomas Eirich-Schneider.

Questi rimandi fanno emergere il cortocircuito tra gli elementi simbolici e i loro corrispondenti materici, esplicitati all’interno della forma da reportage che assume il film che alterna continuamente scene della rappresentazione, immagini reali della rivolta e dichiarazione della dimensione di finzione. Come è tipico della sua pratica artistica, rendendo esplicite le molteplici dimensioni di realtà, sollevando il coperchio sul processo di creazione performativa, Rau chiede ai suoi spettatori una pretesa di consapevolezza etica e civile, che sfrutta la dimensione finzionale  e la rende reale. Durante la scena della croce, chi guarda il film recepisce vera l’azione dell’inchiodare – non inquadrata – non solo grazie alle reazioni dei volti degli astanti stravolti dal dolore ma soprattutto certificata dalla presenza degli spettatori delle riprese, il cui sguardo è mediatizzato dai cellulari che riprendono l’atto. In questo caso, la spinta etica (evidente nella vera campagna di lotta e enucleata nel manifesto) ha prodotto anche altri risultati tangibili sul piano reale: “come risultato della nostra rivolta, sono state fondate attorno a Matera le prime case in cui i nostri protagonisti senzatetto adesso possono vivere con dignità, il tutto grazie al supporto della Chiesa Cattolica!”. Così afferma il regista che, nei titoli di coda mostra alcuni prodotti alimentari coltivati e raccolti nel rispetto dei diritti dei lavoratori (il contraltare di una scena presente nel film che allude alla cacciata dei mercanti dal tempio e che nella versione fa riferimento all’atto di protesta per cui alcuni dei protagonisti, in un supermercato, distruggono i prodotti del loro sfruttamento).

The New Gospel. © Fruitmarket Langfilm. PM Armin Smailovic

Con tutto questo, il film sembra smentire l’idea che cinema e lotta (e lo spazio della finzione drammaturgica e quello della realtà politica) siano radicalmente incompatibili. Fare un film, incarnare il vangelo, con Yvan Sagnet, è automaticamente anche dar corpo a una rivolta, è lottare e incidere nel mondo reale. Pasolini concepiva il cinema come “lingua scritta della realtà”, che trova cioè i propri segni nelle cose stesse quali le vediamo e sentiamo nel mondo reale. E tanto nel cinema, quanto nella realtà, “il linguaggio primo” degli uomini è il loro agire. Si potrebbe dire, allora, che il Vangelo di Rau radicalizzi l’idea che fare un film significa mettere la realtà per iscritto (per immagini in movimento e suoni). Se la realtà può scriversi in un film, allo stesso modo si può scrivere la realtà nella realtà stessa, con le proprie azioni,  cioè modificarla nella prassi. Fare un film, allora, che documenta il suo stesso processo e insieme quello delle rivolte, significa scrivere la realtà agendola dal di dentro. E che questo si faccia coi mezzi del teatro o del cinema, o con le manifestazioni, non fa differenza: ciò che è comunque in gioco è il poter produrre e incarnare, in questo mondo presente, un’azione che scriva e quindi trasformi la realtà.

Antonio Capocasale e Viviana Raciti

Il Nuovo Vangelo

Das neue Evangelium
Germania, Svizzera, Italia, 2020
Regia: Milo Rau
Con: Yvan Sagnet, Papa Latyr Faye, Samuel Jacobs, Yussif Bamba, Jeremiah Akhere Ogbeide, Mbaye Ndiaye, Kadir Alhaji Nasir, Ali Soumaila, Vito Castoro, Marie Antoinette Eyango, Anthony Nwachukwu, Mohammed Souleiman, Alexander Kwaku Marfo, Blessing Ayomonsuru, Marcello Fonte, Enrique Irazoqui, Maia Morgenstern e molti altri.
Una produzione Fruitmarket (Germania), Langfilm (Svizzera) & IIPM – International Institute of Political Murder in coproduzione con SRF Schweizer Radio und Fernsehen / SRG SSR, ZDF in cooperazione con ARTE, in collaborazione con Fondazione Matera Basilicata 2019, Consorzio Teatri Uniti di Basilicata e Teatro di Roma – Teatro Nazionale supportata da Film- und Medienstiftung NRW, Bundesamt für Kultur
(BAK), Zürcher Filmstiftung, DFFF – Deutscher Filmförderfonds, Kanton St.Gallen Kulturförderung /
Swisslos, BKM – Die Beauftragte der Bundesregierung für Kultur und Medien, Volkart Stiftung,
Suissimage Kulturfonds.

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