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HomeArticoli#sottocento. Abbiamo bisogno di nuove e originali forme di sostegno

#sottocento. Abbiamo bisogno di nuove e originali forme di sostegno

#sottocento. Inchiesta sui piccoli spazi teatrali indipendenti a un anno dalla pandemia. Nel 6° appuntamento intervistiamo Spazio Off, Trento.

#sottocento vuole indagare insieme alle direzioni artistiche degli spazi più esposti (piccoli teatri, indipendenti, ecc.), quali siano state le problematiche affrontate e da affrontare, quali le strategie di sopravvivenza messe in atto – economiche  artistiche e umane. Leggi l’introduzione completa

Abbiamo posto le 6 domande di #sottocentoDaniele Filosi direttore dello Spazio Off di Trento.

Abbiamo chiesto ai teatri intervistati di mandarci la foto di una loro poltrona, o sedia di platea, con un oggetto simbolicamente importante.

Quali attività avete messo in campo per reagire a questo anno di pandemia?

Durante il primo lockdown ho pensato a come raccogliere il “problema” del distanziamento fisico in modo creativo e originale, senza banalmente subirlo come mera restrizione.
Tra le cose che mi sono venute in mente, sicuramente aiutato anche dalle dimensioni di spazio su cui sono abituato a lavorare allo Spazio Off (spazio scenico di 4 x 4 metri circa, e massimo 45/50 posti a sedere), c’è stata quella di tornare a lavorare su una relazione ancestrale 1 a 1. In fondo, basta quello per fare teatro, no? Almeno due persone che condividono uno spazio e un tempo, e in cui vi sia un atto, un’azione.
Tutto questo ha portato a Viaggio a Spoon River per un attore e uno spettatore, un progetto per la creazione di 5 monologhi per un attore o un’attrice, ognuno dei quali scritto dalla drammaturga Angela Dematté partendo da uno degli oltre duecento epitaffi dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, e destinato alla fruizione di uno spettatore o una spettatrice alla volta, per ogni replica. Il senso era anche quello di ripartire da delle individualità, delle singolarità che si specchiassero occhi negli occhi in uno spazio teatrale, dopo il tanto tempo che tutti abbiamo trascorso lontani, separati, durante il primo lockdown. E cosa di meglio che non gli epitaffi di Edgar Lee Masters, ognuno un ritratto, una vita, una biografia, in cui ogni spettatore potesse poi rispecchiarsi o con cui comunque potesse confrontarsi? Gli allestimenti sono in corso e verranno proposti al pubblico non appena possibile…
Più tardi, a febbraio scorso, ho pensato al senso dell’assenza di questa relazione “in presenza” tra attore e spettatore. Cosa accade se ci manca questa ma ci rimane tutto il resto? In fondo, uno spettacolo teatrale è fatto – anche – di scenografie, costumi, oggetti di scena, luci, suoni, parole, testi. Una grande mole di materiali che ogni compagnia produce e crea per ogni progetto, non l’atto teatrale stesso, che vive solo se c’è una compresenza in un qui ed ora di essere viventi. Abbiamo pensato quindi di riallestire tutto il “set” di sei spettacoli di nostra produzione, nati e messi in scena negli ultimi dieci anni allo Spazio Off, come in una sorta di ‘museo’ del teatro che non c’è, di una Wunderkammer teatrale degli oggetti, delle luci, dei suoni di ogni spettacolo, senza però attori e attrici in scena. Un modo per rievocare il lavoro – così effimero ma anche così concreto e materico – di progettazione e realizzazione di uno spettacolo,  un modo anche per mettere il pubblico – che in questo caso da spettatore diventerebbe ‘visitatore’ museale – davanti a presenze fisiche – oggetti, scene, costumi… – che indicano e illuminano un’assenza, quella della relazione viva, presente, corporea con ciò che accade e ‘agisce’ in scena.

Quali contributi statali, regionali o comunali siete riusciti a intercettare?

Come molti altri spazi analoghi, abbiamo fruito dei cosiddetti fondi ‘extra Fus’, oltre ad avere avuto conferma dei contributi comunali e provinciali che il nostro territorio ha sempre concesso a realtà come la nostra. Non sappiamo cosa accadrà in futuro, visto che i bilanci delle pubbliche amministrazioni andranno probabilmente in grande sofferenza. Scarsissima sensibilità, invece, è arrivata dai proprietari dei locali – in cui siamo in affitto – che non hanno voluto in alcun modo nemmeno vagliare le nostre richieste di sconto o quantomeno dilazione del canone mensile. Su questo forse la politica poteva fare di più, perché in questa crisi chi possiede un patrimonio o un immobile è stato molto meno penalizzato di tanti altri.

Valutando la situazione attuale dal punto di vista economico e organizzativo, quanto potete sopravvivere ancora?

Dipende da quali e quanti progetti riusciremo a mettere in atto e a farci sostenere da amministrazioni pubbliche, fondazioni bancarie e altre realtà private. Al momento c’è un po’ di fieno in cascina, che abbiamo prudentemente messo via appena le cose si sono messe male. Ma quel che è certo è che dobbiamo reinventare la nostra attività, e quindi anche solo trasformarci temporaneamente in uno spazio ‘espositivo’ più che performativo, può essere una soluzione per non perdere di vista il nostro pubblico e non rassegnarci alla semplice lamentela sui problemi e le difficoltà.

Con le condizioni sanitarie attuali riaprireste il vostro teatro?

Per gli spettacoli, no: troppi problemi, troppa sfiducia tra le persone, e troppa incertezza. Preferiamo aspettare e cercare nuove strade, progettuali e produttive.

Cosa chiedete adesso alla politica nazionale, agli enti locali e alle grandi istituzioni culturali (teatri pubblici, musei, università, fondazioni….)?

Di non lasciarci soli nell’emergenza e nella lenta ripartenza che ci sarà, e di pensare, assieme o dietro nostra sollecitazione, a forme nuove e originali di sostegno: riqualificazione degli spazi, progetti di ingaggio e promozione del pubblico, e incentivi con un sistema di voucher alla fruizione culturale e di spettacolo dal vivo. Se ogni persona avesse a disposizione, con progressività secondo alcuni parametri, dei voucher per l’ingresso a spettacoli teatrali, di danza, concerti, film, mostre e altre attività, potremmo intercettare magari un pubblico nuovo, lasciandogli la libertà su dove focalizzare il suo interesse, e stimolando le realtà culturali a rinnovarsi e diventare più interessanti e coinvolgenti.

Ci raccontereste un’attività, messa in campo in questo periodo da un’altra realtà teatrale, che vi ha interessato o colpito?

Penso sicuramente a Consegne di Kepler-452, progetto coraggioso e al limite dell’incoscienza. Penso al progetto di alta formazione lanciato da Teatri di Roma. Il resto, fatto di streaming video e audio, podcast e altri tentativi di rincorrere la virtualità, pur encomiabili nello sforzo e nelle intenzioni, mi è sembrata una serie iniziative di retroguardia, mentre gli artisti hanno secondo me, tra gli altri, il compito di fare avanguardia, di rischiare e di inventare l’inedito, l’inconsueto, nei periodi difficili più che mai.

Spazio Off (Trento) per #sottocento

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Leggi le altre interviste dell’inchiesta #sottocento

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