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L’integrazione sociale ha bisogno della cultura

Nell’ambito del Progetto Incroci, tra inclusione sociale, sensibilizzazione e ricerca in partenariato tra Teatro Magro, Asinitas, Progetto Amunì-Babel, l’intervista a Paolo Masini.

Il progetto Incroci, il cui capofila è Teatro Magro di Mantova, in partenariato con Asinitas Onlus di Roma e Progetto Amunì-Babel di Palermo, grazie al sostegno di Fondazione Alta Mane Italia, intende attivare linee di inclusione sociale, sensibilizzazione e ricerca attraverso le arti performative. Da marzo a ottobre le attività riguarderanno tre progetti laboratoriali (condotti da Flavio Cortellazzi, Giuseppe Provinzano, Fabiana Iacozzilli), l’incontro tra i diversi gruppi in fase creativa e durante le presentazioni al pubblico, l’ideazione di tre giorni di riflessione con la Migra.Art Lab.Conferance che si terrà presso il Teatro Biblioteca Quarticciolo. Teatro e Critica, media partner del progetto Incroci, accompagnerà le realtà coinvolte in una serie di approfondimenti e interviste durante tutto il processo di ricerca, attraversando le pratiche creative degli artisti e dei gruppi coinvolti, gli incontri di scambio, le presentazioni, gli interventi.
La prima intervista è rivolta a Paolo Masini, ideatore nel 2016 del progetto MigrArti, che rappresenta a oggi il riferimento storico per le esperienze che, come Incroci, lavorano in un’ottica di inclusione sociale tramite le arti.

MigrArti nasceva nel 2016 sulla spinta di quali urgenze e quali gap da colmare?

MigrArti è nato a seguito di una telefonata fattami da Dario Franceschini durante la quale mi dichiarava il suo bisogno, in qualità di Ministro della Cultura, di dedicarsi anche alle culture altre appartenenti a tutti/e coloro che sono venuti/e nel nostro paese per scelta o necessità. Poiché mi ero occupato di questi temi in precedenza, mi proponeva quindi di pensare a un progetto che andasse in questa direzione. L’idea era quella di dare l’opportunità alle culture straniere di esprimersi attraverso i ragazzi di seconde generazioni, i quali credo rappresentino il tramite dei passaggi fisiologici che ci sono stati in questi anni di migrazione. Sin da subito ho coinvolto Marco Valeri – col quale ho collaborato per anni in relazione a queste tematiche – e abbiamo iniziato a lavorare a un progetto che non fosse calato dall’alto, in grado di coinvolgere varie personalità in modalità condivisa e in stretta relazione con tutte le realtà che si occupassero di integrazione. Negli anni il progetto è cambiato molto adattandosi ai tempi e distinguendosi da quello del primo bando: durante la prima edizione arrivavano tutti progetti riguardanti il viaggio (la partenza, la traversata, l’arrivo) ed erano lavori, devo dire, molto drammatici. Al contrario, noi volevamo invertire la narrazione comune, parlare di migrazione in positivo dimostrando che è un fenomeno naturale che appartiene al mondo e trattandolo in maniera seria, ovviamente, ma col sorriso sulle labbra.

Che nome dare poi a un’iniziativa che si presentava come totalmente nuova per il paese? È nato così il neologismo MigrArti, affinché il nome potesse sottolineare la volontà di parlare del fenomeno della migrazione attraverso l’arte. Abbiamo puntato sui due settori culturali, da un lato quello dello spettacolo dal vivo (teatro, musica e danza) e dall’altro il cinema con la realizzazione di corti e rassegne a tema. La scelta del logo doveva sintetizzare i due settori e, non volendo rivolgerci a un grafico professionista o a un grande illustratore, abbiamo chiesto ai ragazzi dei licei artistici di tutta Italia di lavorare a una proposta e ha vinto il concorso l’idea di una ragazza di Bolzano. Quando ho deciso di presentare i migliori corti alla Biennale Cinema di Venezia incontrando la risposta positiva della direzione che ringrazio ancora, ci siamo chiesti quale fosse il premio più adatto in un contesto fatto di vip, paillettes e tappeto rosso, e come dovesse essere realizzato. Allora ho chiesto di trasformare il logo in una scultura creata con il legno dei barconi che arrivano a Lampedusa. Realizzato dall’ebanista Franco Duccio, il premio è diventato poi il nostro simbolo. MigrArti, continua ancora a ribadirmi il ministro Franceschini, è uno dei migliori progetti da lui messi in campo che negli anni è cresciuto raddoppiando anche i finanziamenti e i riconoscimenti a livello mondiale.

Paolo Masini

Quali sono stati finora gli effetti derivanti da questa progettualità e quali cambiamenti hanno determinato?

MigrArti ha dato luce a un mondo sommerso che faticava a tirare la testa fuori dalla sabbia, per questo si configura come una grande operazione culturale che ha ricevuto dignità istituzionale. Questa esperienza, pilota a livello europeo, ha sdoganato l’aspetto sociale in culturale, cogliendo nel segno di una mancanza. Da MigrArti sono nati attori che continuano a lavorare, registi e scenografi che si sono affermati nel campo e anche dal punto di vista economico ha attratto finanziatori esterni e privati. Mi commuove pensare che abbiamo ancora una chat che riunisce tutti gli operatori da Nord a Sud che lavorano in questo settore e che si scambiano informazioni e idee. Uno spettacolo di MigrArti era una garanzia, i festival mi chiamavano spesso per avere notizie riguardo lavori che trattassero con accuratezza la tematica della migrazione. Penso che per la rete di persone che ha creato attorno a sé, di conoscenze e riconoscimenti, di scambio di spettacoli anche, è come se MigrArti fosse diventato una sorta di bollino di conformità, in maniera sana, concreta e reale. Per la mia esperienza di operatore e amministratore, il teatro è lo strumento più rivoluzionario e più utile a creare integrazione, soprattutto sul fronte della migrazione: il teatro fa molto più di tanti convegni…

In un articolo apparso sulle nostre pagine alla fine del 2018, ci siamo occupati della decisione da parte del Mibac di non finanziare più il bando MigrArti. Qual è la situazione attuale e quali azioni sono state fatte finora rispetto all’empasse del 2018?

Malgrado le raccomandazioni dell’allora ministro Bonisoli, il governo giallo verde decise di bloccare il progetto. Fu la scelta chiara e definita di un esecutivo che rispetto alla migrazione aveva ben altra idea. MigrArti è innanzitutto un progetto di integrazione e non ha, e non aveva, nulla a che fare con le dichiarazioni urlate o con la propaganda, per tali ragioni, colpirlo è stata una volontà politica miope e sbagliata, anche mettendomi nei panni del governo dell’epoca. C’è ancora bisogno di un progetto come questo, fatto in maniera onesta e leale. Tornato Franceschini, il ministro mi ha subito confermato la volontà di rinnovare il sostegno a MigrArti e pertanto saremmo dovuti partire lo scorso anno ma a causa della pandemia i finanziamenti sono stati impiegati per combattere l’emergenza. In attesa di proseguire il lavoro nel 2021, in base alla conferma di continuità datami dal ministro, vorrei creare un sito che possa essere sia un archivio di esperienze e testimonianze raccolte finora sia una piattaforma in grado di fare da collettore creando un network di tutte le realtà che operano nel settore. Nella fase due del progetto, prima dell’interruzione, c’era anche la volontà di creare un luogo all’interno del quale si potessero riconoscere le popolazioni che sono venute in Italia, da qui era nata l’idea del Museo dell’emigrazione.

In che modo i processi attivati, o attivabili in futuro, in Italia possono allargarsi anche a una dimensione internazionale e creare scambi funzionali a una progettualità condivisa?

Ricordo una bellissima telefonata di David Sassoli (dal 3 luglio 2019 presidente del Parlamento europeo, ndr) che mi chiedeva notizie riguardo MigrArti… Dell’importanza internazionale del progetto, ce ne siamo resi conto durante i nostri viaggi all’estero, portandolo all’attenzione dell’ONU, per i riconoscimenti ricevuti e ce lo dimostra anche la presenza di molte realtà che nella UE svolgono lo stesso nostro lavoro. Il fermo del progetto è arrivato proprio durante la sua evoluzione, quando aveva toccato il punto più alto e stavamo iniziando infatti la seconda fase, che si sarebbe contraddistinta per l’inaugurazione del Museo dell’Emigrazione, di cui parlavo prima, e soprattutto per il lancio europeo di MigrArts, ulteriore tassello per l’ampliamento della rete.

Pensa che possa essere possibile una reale e fattiva inclusione di progetti dedicati alle seconde generazioni all’interno del sistema culturale italiano o servono ancora bandi ad hoc che se da un lato generano opportunità dall’altro possono anche determinare ulteriori etichette?

Bisogna innanzitutto sottolineare l’evidenza che viviamo in un paese in cui non c’è una legge sullo ius soli, e quindi la presenza di MigrArti fa notizia già di per sé. Io mi auguro che si arrivi un giorno a non averne più bisogno, purtroppo siamo lontani anni luce da questo momento e speriamo di agire con maggiore continuità e sempre al meglio affinché questi progetti siano normalmente inseriti nel panorama culturale, non solo italiano.

Il futuro della cultura è gravemente colpito da questa crisi. Cosa potremmo aspettarci nei prossimi mesi e in quale direzione dovrebbero andare le politiche di integrazione culturale?

Una volta che abbiamo la sicurezza che i fondi ci sono e possiamo ripartire, vorrei fare gli Stati Generali di MigrArti, anche via web se necessario, affinché imparando dalla precedente esperienza e modulandola rispetto ai tempi attuali, si possa rilanciare l’iniziativa nel modo migliore possibile rendendola ancora più efficace e importante.

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