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HomeArticoliStudio Uno: il teatro off tra sopravvivenza e rilancio

Studio Uno: il teatro off tra sopravvivenza e rilancio

Alessandro Di Somma insieme ad Eleonora Turco è anima e direzione artistica del Teatro Studio Uno di Roma. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente durante gli ultimi giorni di quarantena per fare il punto della situazione.

Qual è la storia in breve del Studio Uno?

Comincia dieci anni fa, con me e Eleonora (Turco, compagna e codirettrice ndr) all’epoca c’era anche Marco Zordan (ora organizzatore del Teatro Trastevere ndr), in precedenza c’era già un teatro in quel luogo, era lo Stabile del Comico, gestito da Germano Basile (che purtroppo è venuto a mancare qualche anno fa), dal 1997 al 2010. Tanti artisti hanno cominciato lì, tra cui anche Daniele Parisi. Quasi per caso, dopo una serie di vicissitudini ci siamo trovati a prendere lo spazio in gestione. Sulla scorta delle nostre esigenze teatrali artistiche e rispetto a quello che ci piaceva vedere a teatro, lo abbiamo trasformato in un teatro off, un teatro di matrice popolare ma con una connotazione molto contemporanea, soprattutto sul versante drammaturgico. Poi, in dieci anni, siamo riusciti a farlo diventare una casa per le giovani compagnie, questo per noi è il Teatro Studio Uno. Prima gli spazi erano sistemati diversamente, c’era anche una cucina, noi lo abbiamo trasformato nell’uso dei luoghi oltre che nei contenuti, rendendolo uno spazio di residenza, ricerca, produzione.
In questi giorni in cui siamo stati chiusi ci siamo guardati un po’ di spettacoli ospitati negli anni, sono state tantissime le compagnie, molte ora sono tra quelle seguite, altre invece hanno smesso; presto faremo una genealogia del Teatro Studio Uno dal 2010 al 2020.

Come si sostiene economicamente la struttura?

Paghiamo affitto e utenze: dunque ci sosteniamo con laboratori, prove spettacoli… in tutti i modi. Lo tenevamo aperto dalla mattina alle 11 di sera. Laboratori serali e spettacoli rappresentano gli introiti maggiori perché poi ci poi può capitare di avere durante il giorno le sale occupate dalle compagnie in residenza e per noi questo non è un guadagno ma un investimento sul futuro del progetto.

Poi da qualche anno avete ampliato la vostra idea di impresa culturale aprendo la libreria…

Sì, da quattro anni. Lo abbiamo fatto sia come avamposto su strada, per essere più visibili, sia perché volevamo unire letteratura e teatro, una libreria attira molto pubblico del teatro, è un bel volano per essere più visibili nel quartiere e negli ultimi quattro anni il Teatro Studio Uno è cambiato, molto anche grazie a “La Rocca fortezza culturale”; ci ha permesso di entrare in contatto con tante realtà del quartiere prima timorose di scendere nello spazio teatrale

Stavate anche creando una biblioteca di quartiere.

Quella è stata una cosa bellissima, una biblioteca condivisa, perché il Municipio non ci era riuscito.  Abbiamo fatto una call di libri usati, ci sono arrivati migliaia di volumi, ne ha parlato il TG3 e sono arrivati ancora più libri. Stavamo cercando di organizzarli in un database prima che arrivasse il Covid-19. Sono arrivate cose stupende, anche rare, per gli amanti del teatro abbiamo ricevuto dei volumi di riviste teatrali degli anni Quaranta e Cinquanta…

Dunque nel vostro caso è misurabile il bisogno di teatro e cultura nel quartiere?

Guarda non lo so, sono un po’ cinico, è vero che in tanti sono venuti a chiederci quando avremmo riaperto, poi però spesso le grandi richieste del quartiere non corrispondono alla reale fruizione. Nel caso della Rocca, ad esempio, bisogna ricordarsi che se a Tor Pignattara una libreria non ha mai aperto ci sarà pure un motivo, evidentemente non era conveniente dal punto di vista economico. Se gli abitanti del quartiere, i cittadini, acquistano libri e biglietti per andare a teatro, la nostra spinta culturale potrà crescere. È il cittadino per primo che deve investire in cultura.

Pensi che spesso, nei quartieri, la parola cultura sia usata come un simbolo, una sorta di propaganda?

Sì, spesso è così. Mi capita di discutere nei comitati di quartiere, ogni tanto qualcuno si infervora perché a Tor Pignattara non c’è il cinema ad esempio, solo che poi quella stessa persona probabilmente, se ci fosse il cinema, comunque non ci andrebbe. C’è questa strana dicotomia per la quale vogliamo le cose belle ma poi non ci interessano fino in fondo, invece bisogna rendersi conto che la cultura ha un costo. Comprarsi un libro, acquistare un biglietto per vedere uno spettacolo rende felici; lo facciamo per il cibo, perché non dovremmo farlo per la cultura?

Finanziamenti Extra Fus e Regione Lazio: in questo momento sembrano i due sistemi di aiuto diretti ad attività come la vostra. Il Teatro Studio Uno riuscirà ad avere i requisiti per chiedere finanziamenti del genere?

Una delle cose che abbiamo capito con questa crisi data dal Covid-19 è che, come molti teatri off romani, abbiamo vissuto un po’ alla giornata dal punto di vista legislativo, con uno sguardo amministrativo poco lungimirante. Questo ha messo in luce tanti difetti dal punto di vista della gestione: la possibilità di mettere noi stessi in agibilità, ad esempio, e altro. Comunque, tra i due bandi che richiami, quello che più si avvicina al nostro lavoro è quello ministeriale relativo all’extra Fus. Il problema legato a quello regionale riguarda il fatto che se sei un’associazione culturale non puoi fare pubblico spettacolo (solo i soci possono partecipare ndr.) e il bando lo richiede nello statuto invece, ma ci stiamo informando.

Se mi metto nei panni del Ministero, di Regione o degli enti locali che devono produrre le misure con cui distribuire gli aiuti, capisco che non sia semplice identificare i luoghi che si occupano di spettacolo dal vivo, di laboratori e formazione teatrale quando sono piccole associazioni culturali. È difficile anche perché bisogna pensare che fino a pochi anni fa dal punto di vista legislativo erano entità strane, c’erano anche pub che erano associazioni culturali e la questione si complica quando in questi luoghi vengono presentati eventi culturali dal vivo. Noi siamo fortunati in questo momento perché abbiamo il padrone dello spazio che non ci sta pressando per il pagamento dell’affitto, anche perché abbiamo perso tante entrate, la parte più calda della stagione…

Dal punto di vista della tua esperienza, cosa chiederesti al Comune di Roma?

Vorrei che inventasse qualcosa per il rilancio, non solo che ci fosse garantita la visibilità ma anche la possibilità di utilizzare spazi all’aperto. A Roma fare spettacoli in esterna è quasi impossibile, i permessi sono complicati e difficili da avere. Poi ci vorrebbe un bonus per gli spettatori: il Comune potrebbe una parte del biglietto attraverso dei bonus teatrali da spendere negli spazi off. Poi come dicevo, sarebbe importante per noi essere aiutati nella promozione: un’idea potrebbe essere quella di destinare gli spazi pubblicitari del trasporto pubblico ai piccoli spazi teatrali.

Cosa ti manca dell’attività teatrale?

Ci manca il confronto sui progetti, vedere la stagione crescere, le compagnia affezionarsi, confrontarci col pubblico; in questo momento saremmo stati impegnati nella progettazione della stagione futura, ora la stiamo immaginando con delle modalità diverse dato che lo spettacolo dal vivo ci sembra qualcosa di molto lontano. Poi per noi la componente umana è sempre stata importante, molti degli artisti sono diventati amici, ci manca questo contatto… ci mancano addirittura i critici. In quarantena il rischio è stato quello di sentirsi inutili, poi fortunatamente ci sono i figli, le letture, gli hobby.

Riaprireste anche ora se fosse possibile?

Riapriremmo per le prove, avevamo anche l’idea di organizzare Pillole (il bando di concorso con cui il Teatro Studio Uno sceglie i nuovi artisti, ndr.) nel cortile, ma quante persone potremmo accogliere? Io proverei a riaprire dalle 6 di pomeriggio con una turnazione del pubblico fino a mezzanotte, 15 spettatori alla volta, non tanto per il guadagno ma per dimostrare che ci siamo. Se la situazione rimarrà questa, con il distanziamento sociale, spazi come il nostro avranno grandi difficoltà a sopravvivere.

Se per dicembre o gennaio la situazione migliorerà, il Teatro Studio Uno ce la farà a ripartire nonostante le perdite economiche?

Certo, a costo di utilizzare altre energie ed economie nostre; se tutto riparte ripartiremo anche noi. Anche senza aiuti, in qualche modo faremo, a costo di fare lavori extra la notte, potrei mettermi a fare le consegne pur di salvare il teatro.

Andrea Pocosgnich

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Leggi anche: Anatomia del teatro off romano. Un patrimonio tra libertà e claustrofobia 

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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