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Özpetek a teatro: Mine vaganti senza colpo ferire

Recensione. Mine vaganti, al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, con la regia di Ferzan Özpetek. Dalla pellicola del 2010 una versione in commedia teatrale. 

Foto Romolo Eucalitto

Lo spazio scenico organizzato attraverso una serie di tulle, velatini che si aprono e chiudono delimitando gli interni della grande casa: una scenografia pulita e ben illuminata per evidenziare una sorta di candore virginale, quel sole abbacinante di certi luoghi del Sud.
L’esordio teatrale di Ferzan Özpetek (prodotto da un sodalizio privato-pubblico, la Nuovo Teatro di Marco Balsamo e il Nazionale della Toscana) è come te lo aspetti. Mine Vaganti, film pluripremiato (2 David Di Donatello, 5 Nastri D’Argento) è allestito al Teatro Ambra Jovinelli di Roma, sotto il segno della commedia di cassetta, a tratti un po’ “caciarona”, con una spruzzata molto basic di queer (bravi e divertenti i due attori che interpretano gli amici da Roma, Francesco Maggi e Edoardo Purgatori) e una drammaturgia che prende per mano il pubblico accompagnandolo scena dopo scena dentro la vicenda, senza scossoni e senza grandi sorprese, alimentando tutto a suon di risate.

Romolo Eucalitto

La pellicola era ambientata in Puglia, qui siamo in Campania: Paola Minaccioni e Francesco Pannofino sono moglie e marito dell’alta borghesia produttiva, lui manda avanti il pastificio di famiglia col figlio Antonio, interpretato da Giorgio Marchesi. L’altro figlio, Tommaso (Arturo Muselli) studia a Roma – lettere e non economia come credono i genitori – ed è tornato per rivelare la propria omosessualità alla famiglia; c’è un problema: il fratello lo anticiperà, con sorpresa di tutti dichiarerà il proprio orientamento, verrà cacciato e Tommaso, colui che avrà il compito anche di narrare la storia, dovrà rimanere nel paesino a guidare l’azienda di famiglia.
La morale, svelata sin dall’inizio è facile facile, infilza il perbenismo manicheo della famiglia del Sud in cui tutto è plasticamente immobile: i genitori non possono accettare ciò che è fuori dal recinto eteronormativo e i figli si caricano sulle spalle, per anni, il peso del silenzio; ché nulla deve cambiare. D’altronde il tabù è quello della vergogna sociale, la famiglia non può accettare lo sguardo degli altri e le voci, in paese, corrono.
Poi c’è la nonna, chiamata da tutti mina vagante perché in questo panorama immobile è quella che scompagina i piani con un pensiero alternativo.

Lo spettacolo nella sua progressione drammaturgica ha il sapore di una favola dolce-amara che sfuma la conclusione lasciando intendere che la famiglia abbia compreso anche l’orientamento sessuale dell’altro figlio e ipocritamente faccia finta del contrario. Il tratto distintivo del film, nelle sale ormai 10 anni fa, è evidente anche nella versione teatrale, ovvero la coralità di una commedia che tenta con leggerezza di far riflettere; non aggiunge molto al dibattito sulla tematica e non sorprenderà gli spettatori più smaliziati, i quali anzi rischieranno di annoiarsi quando la maschera di Pannofino (nel ruolo che fu di Ennio Fantastichini sul grande schermo) si adagerà ancora una volta su cliché collaudati – gli scatti di ira, gli occhi sbarrati, ricordate René Ferretti di Boris? – rischiando con l’accento napoletano di trasformarsi, in alcuni momenti, nella classica macchietta partenopea. Fin troppo pulita invece la nonna, lo era anche Ilaria Occhini nel film, ma in quel caso la pulizia vocale era accompagnata da un calore decisivo che invece sembra assente nell’interpretazione di Caterina Vertova. Per fortuna c’è Paola Minaccioni, perfetta anche nell’accento e nelle numerose variazioni.

Il pubblico ride e applaude, tutto secondo i piani insomma, ma lo spettacolo manca di complessità (secondo il solito equivoco: ciò che è popolare non può essere complesso); è assente pure quel graffio nei toni malinconici con cui il linguaggio cinematografico di Özpetek colpiva per via di una firma registica visibile che, teatralmente parlando, rimane invece piuttosto anonima.

Andrea Pocosgnich

Roma, Ambra Jovinelli, Febbraio 2020

Prossime date in calendario, tournée 2023

Trento Teatro Sociale 2-5 febbraio 2023

Mine vaganti

uno spettacolo di Ferzan Özpetek

con Francesco Pannofino
Paola Minaccioni
Arturo Muselli
Giorgio Marchesi
e con Caterina Vertova
e con (in ordine alfabetico) Roberta Astuti, Sarah Falanga, Mimma Lovoi, Francesco Maggi, Luca Pantini, Edoardo Purgatori
scene Luigi Ferrigno
costumi Alessandro Lai
luci Pasquale Mari
produzione Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo
in coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana
foto di scena Romolo Eucalitto
durata 2 ore, intervallo compreso

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

1 COMMENT

  1. Ho visto lo spettacolo . È stato carino ma mi ha deluso la scelta di Özpetek degli attori .
    Pannofino una macchietta napoletana , Minaccioni quasi inesistente . Il fidanzato di Tommaso finanche con la “polpetta”, un principiante che non sa recitare e gli altri a parte la Vertova e Marchesi non classificati.

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