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Armando Punzo e Rossella Menna. Un’idea più grande di me

È uscito per Luca Sossella Editore il libro di Armando Punzo, Un’idea più grande di me. Conversazione con Rossella Menna. Quinta di copertina.

Più di trentanni fa Armando Punzo varcava per la prima volta la soglia del carcere di Volterra. Propose all’istituzione penitenziaria un laboratorio di qualche centinaia di ore che poi si moltiplicò fino a presentare uno spettacolo inatteso. Non sapeva come funzionasse il carcere, non ne conosceva le dinamiche: il primo giorno per vincere l’ostilità dei partecipanti in maggioranza napoletani li anticipò a tono, in dialetto. Non era uno psicologo, un terapeuta, un operatore, un esperto di quello che poi si sarebbe chiamato teatro sociale, Punzo voleva fare ricerca teatrale e aveva intuito le potenzialità delle persone che forzatamente abitavano quel luogo. In questi termini lo stesso regista racconta, nel libro scritto con Rossella Menna, Un’idea più grande di me, pubblicato da Luca Sossella Editore, il primo approccio con la fortezza di Volterra, l’edificio mastodontico che poi sarebbe diventato per decenni luogo di creazione e vita. Questo particolare arriva dopo l’infanzia e la giovinezza a Napoli, e il periodo dell’Avventura, un’esperienza di ricerca oltre il terzo teatro che prendeva spunto dal Teatro delle Sorgenti di Grotowski.
Il volume si aggiunge alla nutrita bibliografia già presente sulla Compagnia della Fortezza (link: http://www.compagniadellafortezza.org/new/immagini-e-parole/i-libri/) e in sostanza è un’autobiografia artistica sotto forma di conversazione, un romanzo che è un lungo flusso di ricordi interrotto solo dalla voce della coautrice Rossella Menna; funzione dialogica che a volte risulta più vicina a quella classicamente intesa nei formati giornalistici, in altri momenti è usata per dirigere il flusso dei ricordi, riposizionarlo, alimentarlo con altre immagini.

Ci sono due tratti importanti su cui gli autori ripetutamente si concentrano soprattutto nelle prime decine di pagine: uno riguarda l’estraneità di Punzo al teatro sociale inteso come sistema di terapie riabilitative (lo ha ribadito anche nell’incontro pubblico di presentazione del libro avvenuto proprio quest’anno in carcere), la necessità insomma di non volersi immischiare nelle storie personali dei carcerati, ma di presentarsi a loro e agli spettatori come un artista, un creatore di mondi e non come un “operatore di teatro sociale”. Per riuscire in questo intento paradossalmente però Punzo ha dovuto puntare anche sulla bontà rieducativa del progetto e ha dovuto conoscere e appropriarsi della realtà e dei meccanismi burocratici del carcere. L’altra questione, dolorosa per certi versi, evidenzia la fragilità e la qualità effimera delle creazioni: ora, certo con estrema difficoltà, la Compagnia della Fortezza riesce a collezionare qualche data fuori dal carcere, oltre ad alcune repliche proprio durante le presentazioni a Volterra, ma sono numeri decisamente inferiori rispetto alle possibilità di una compagine professionistica; per le prime creazioni il problema era ancora più grave, mesi interi di lavoro per un debutto e poi sparire: «[…] al rientro in carcere, dopo circa tre mesi di assenza, non c’era più nulla. Rimaneva il ricordo di una festa che si era trasformata tra le mani. Tutta l’energia liberata nei mesi di lavoro insieme si era stemperata, giorno dopo giorno, in un ritorno forzato alla vita del carcere. È lì che ho scoperto che quel posto si rimangia sempre tutto. Quello che avevo fatto era completamente scomparso, erano tornati i volti, i corpi, i meccanismi di prima. Il carcere aveva riconquistato le sue posizioni.»

In quasi quattrocento pagine il libro è una lunga corsa nella quale i temi artistici si intrecciano con le relazioni, non solo quelle tra Punzo e le persone che con lui collaborano operativamente e artisticamente, ma anche tra il regista e l’istituzione carceraria, un rapporto complesso fatto di mediazioni e dure prese di posizione. E poi i grandi successi e i passi falsi, le grandi difficoltà, gli incontri decisivi, come quello con Cinzia De Felice e la ricerca di una crescita anche organizzativa che potesse proteggere il lavoro dal mondo esterno; fino alle ultime creazioni e a quell’utopia tuttora rincorsa da Punzo attraverso la quale l’artista è alla ricerca di parole e immagini che possano mettere in discussione l’uomo: una rifondazione dell’umano, per «superare l’Homo sapiens e andare incontro all’Homo felix».

Andrea Pocosgnich

Un’ idea più grande di me. Conversazioni con Rossella Menna
Di: Armando Punzo

Curatore: Rossella Menna
Editore: Luca Sossella Editore
Collana: Numerus
Anno edizione: 2019
In commercio dal: 24 luglio 2019
Pagine: 399 pp., ill. , Brossura
EAN: 9788897356899

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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