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Come stai? Male, grazie, e tu? Cenci, Goretti e Colapesce.

Al Teatro Fabbrichino di Prato Stefano Cenci, Riccardo Goretti e Colapesce con Stanno tutti male. Recensione.

Foto Teatro Metastasio
Ma l’hai provato a domandare in giro? Dico, questa cosa di come stai, l’hai provato a chiedere alla gente? E se un giorno, poi, davvero, quelli a cui lo chiedi ti dicessero la verità? Cortesia, spesso, troppo spesso, fa dire “bene grazie”, perché non c’è motivo di star lì a discutere, portare fuori le proprie paure, ansie, desideri mal riposti, nascosti in fondo male, nel posto, o nella persona sbagliata. E allora tutti lo tengono per sé, come stanno veramente. Ma se, appunto, un giorno lo dovessimo tutti cominciare a dire per davvero? Stanno tutti male, s’arriverebbe a dire. Perché qualcosa, nelle profondità cave dell’individuo, si annida nascosto a premere un urlo strozzato, indefinito. C’è dunque una domanda, all’inizio di tutto. La ricerca di una condivisione che passi da una dichiarazione sentimentale: ascoltati, bene, ora rispondi. Come stai? Dirlo diventa, da che era una forma di completamento della cortesia, un atto di presenza, una affermazione di libertà emotiva attraverso cui l’uomo, forse, torna a essere parte di una comunità che mette ancora in circolo le cose più intime. È dentro questa domanda che si muove Stanno tutti male, spettacolo scritto e interpretato da Stefano Cenci, Riccardo Goretti e Lorenzo Urciullo, meglio noto al pubblico della musica con il nome di Colapesce, presentato al Teatro Fabbrichino di Prato.

Foto Teatro Metastasio

Attraverso i social network viene inaugurata un’indagine in grado di determinare una cesura tra l’apparenza della risposta distratta e la profondità di una risposta concreta. Il risultato è una raccolta di storie che possa dar conto dello stato reale delle persone, definendo in un campione casuale fino a che punto sia rimossa la partecipazione emotiva tra gli uomini. La quantità di storie rintracciate ha rappresentato per Cenci, Goretti e Urciullo la possibilità di rendere in scena una notevole diversità espressiva, di rintracciare cioè i tipi umani attraverso una vocazione alla caratterizzazione di particolare efficacia.

L’atmosfera è oscura, l’argomento sembra veicolare una certa gravità, eppure è attraverso l’uso dell’ironia che i tre in scena si misurano con le ambientazioni, le relazioni, le nefandezze, le paure dei personaggi, nati appunto estremizzando,nel linguaggio e nella creazione teatrale, le esperienze di ogni individuo che abbia risposto. Ma prima di tutto è alla musica che si deve un primato scenico: come in un continuo effetto karaoke, realmente montato alle spalle della scena, le parole sono proiettate e cantate allo stesso tempo, ecco che dunque i sentimenti non rispondono da soli allo stato emotivo, ma interpretano l’uso comune, si rappresentano in una modalità che replica parole già dettate, che vanno solo illuminate e poi saranno reali, pur senza la certezza che si possano dire vere. Perché la verbalizzazione di un sentimento passa per parole che esistono e che sono comprese da tutti, ma siamo sicuri di poterle considerare vere?

Foto Teatro Metastasio

Resta in questa domanda il valore e insieme il difetto di questo spettacolo: la capacità di aver esplorato il cuore altrui non mette al sicuro da quanto certe storie, apprese e poi ricostruite per il teatro, siano mescolate tra dati effettivi e altri mascherati, quanto cioè ci sia di ricreato sulla spoliazione di sovrastrutture che non fanno dire, o solo di rado, la verità sulle emozioni. Ma il valore, al netto di una lunghezza forse eccessiva di racconti non sempre funzionali all’equilibrio generale, resta primario: Goretti e Cenci portano sul palco la volontà di sovradimensionare i personaggi perché se ne avverta il carattere ironico; Colapesce più mite, sembra lì per caso, in apparenza privo di volontà interpretativa, invece poi esplodendo sul piano canoro, quando cioè esce fuori ciò che davvero viene dal punto più lontano di sé; ed è qui l’importanza dello spettacolo, perché questa società sempre più verbosa e priva di limiti, sempre meno invece, per converso, sembra in grado di esternare qualcosa che passi per una propria profonda esperienza di vita.

E allora forse alla musica, di nuovo, spetti la capacità di scandaglio, in quella forma scanzonata che non sembra dire molto ma che poi colpisce dritto all’obiettivo, come quando Colapesce, fino a quel momento volutamente stretto in un personaggio che pare fregarsene di tutto, prende in mano la chitarra e scava nelle emozioni di chi l’ascolta, regalando una versione di Bogotà, brano inserito nell’album Un meraviglioso declino (2012), da lasciare un brivido anche dopo che il sipario si è chiuso. L’apparente indifferenza non inganni, dunque, ma disponga l’animo all’accoglienza di una domanda banalizzata e mai banale: come stai?

Simone Nebbia

Teatro Fabbrichino, Prato – Febbraio 2019

STANNO TUTTI MALE
Uno spettacolo di e con Riccardo Goretti, Stefano Cenci e Lorenzo Urciullo
Produzione Teatro Metastasio di Prato e LaCoz

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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