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Per quale cultura? Per quale lavoro? Una manifestazione

Il 6 ottobre a Roma sono stati chiamati a raccolta tutti coloro che hanno a cuore il Patrimonio culturale e artistico di questo Paese, per la prima Manifestazione per la Cultura e il Lavoro. Pubblichiamo un’esternazione di Giulio Stasi, fondatore e direttore artistico della compagnia Rosabella Teatro (Roma).

Da direttore di compagnia, regista e attore ho letto le rivendicazioni dei promotori della Manifestazione per la Cultura e il Lavoro del 6 ottobre 2018 e sono rimasto basito.
Mi chiedo se gli artisti e le compagnie, i lavoratori dello spettacolo, che stanno dando e daranno il loro supporto, abbiano letto e riflettuto su quanto viene promosso nel Manifesto.
Il primo dettaglio controverso è: «Promuovere l’assunzione, nei ranghi ministeriali, di almeno 3.500 lavoratori entro il 2020». Si rende noto solo il numero, ma nessun accenno a professionalità e mansioni, né alle motivazioni. Ipotizzando un costo medio di 40.000 € l’anno a dipendente (una cifra sconosciuta ai lavoratori dello spettacolo che, ricordiamo, guadagnano in media 5.430 € all’anno) arriviamo alla iperbolica cifra di 140 milioni di euro all’anno, ovvero l’intera spesa in cultura e spettacolo di una città come Roma. Si propone dunque di aumentare la spesa in cultura aumentando il numero dei funzionari e la burocrazia ministeriale invece di snellire quest’ultima e di sostenere direttamente le compagnie.

Il Manifesto prosegue: «Ampliare le previsioni occupazionali specifiche degli Enti Locali e delle Istituzioni Culturali pubbliche, permettendogli, dopo anni di compressione forzata delle spese, di assumere secondo le esigenze». Di quali esigenze si parla? Esigenze di chi? Voi, artisti e compagnie, percepite un problema di sottodimensionamento degli organici comunali quando per mesi siete costretti a recarvi decine di volte (andare voi, non i vostri segretari e assistenti che non vi potete permettere, voi artisti che poi salirete sul palco la sera) in Comune a consegnare le pile di documenti richieste in seguito alla vittoria di un bando? Oppure percepite un problema di sovradimensionamento di leggi, regolamenti e vessazioni varie?
Istituzioni Pubbliche: sapete qual è, attualmente, lo stipendio annuo del direttore del Teatro di Roma? 150.000 € all’anno, più bonus e benefit vari. Cifra raggiunta e superata da centinaia di altri dirigenti pubblici del settore Cultura e spettacolo. Personalmente credo possa essere anche una cifra congrua, però ci tengo a riportarla visto il clamore suscitato in questi giorni per lo stipendio del responsabile comunicazione del Movimento5Stelle, Rocco Casalino. Mi sembra giusto aprire gli occhi ai lavoratori dello spettacolo su quella che è la realtà di quelli che hanno un lavoro non precario nel settore Spettacolo e vi chiedono di scendere in piazza con loro per veder accresciute le proprie garanzie.

Giulio Stasi

Il Manifesto continua con rivendicazioni a favore delle Fondazioni Lirico Sinfoniche, che io invece percepisco come le uniche realtà ricche e strutturate nello Spettacolo dal vivo, non fosse altro perché percepiscono il 53% del FUS. Ci sono compagnie di teatro contemporaneo capaci di produrre, autofinanziandosi, spettacoli di livello nazionale con 5.000 € tutto compreso; più o meno il costo di una sola parrucca in capelli naturali della storica parruccheria Rocchetti destinata a un protagonista di uno spettacolo d’opera lirica.
Nel Manifesto si chiede anche un generico «Aumentare i finanziamenti pubblici al settore dello Spettacolo» e si accenna alla parola «trasparenza», ma solo in relazione alla ripartizione del FUS (che ricordiamo è di circa 330 milioni di euro).
Nessuna attenzione viene data alla trasparenza sui conti dell’amministrazione pubblica, a una totale trasparenza su quella cifra di investimenti in Cultura che pur si chiede venga portata all’ 1,5% del PIL (ovvero circa 25 miliardi di euro) in linea con l’Europa.
Niente viene detto sul sistema dei bandi, per molte compagnie unica fonte di sostentamento, e degli abissi che genera.

Da due anni cerco invano di confrontarmi con tutto questo e di denunciare quello che ho visto negli uffici del Dipartimento Cultura e Spettacolo del Comune di Roma. Un agglomerato di funzionari che spende 136 milioni di euro per «Attività culturali e interventi diversi nel settore culturale» [vedi Allegato A, p. 31] di cui 1 milione destinato alle compagnie tramite il bando dell’Estate Romana e 135 milioni di cui non viene fornito nessun dato contabile analitico (neanche chiedendola ripetutamente come io ho fatto all’Assessore Bergamo e ai suoi funzionari). Viene dato qualche numero sporadico, zone d’ombra di decine di milioni di euro e nessuna cifra che permetta di analizzare il totale. Perché a quel punto, invece che chiedere sgangheratamente “di più” a un Governo a cui non mi sembra interessi molto della cultura, si potrebbe cercare di utilizzare meglio quello che già abbiamo.

Non trovo in tutto il Manifesto molti elementi di sostegno a favore degli artisti e delle maestranze, se non quello di «Far rispettare i Contratti nazionali esistenti». «Far rispettare». Perché le norme già ci sono. Ma i datori di lavoro delle compagnie e gli organizzatori di stagioni e festival con più pelo sullo stomaco non li rispettano perché non hanno soldi per pagarli. E continueranno a non rispettarli anche qualora tutte le rivendicazioni di questo manifesto venissero accolte e tradotte in pratica.
Non trovo in tutto il Manifesto una manifestazione di interesse concreta verso tutte quelle organizzazioni e quelle persone che, senza nessun aiuto pubblico ma anzi dovendo affrontare impedimenti e ostruzionismi messi in atto spesso dagli stessi soggetti pubblici beneficiari delle istanze che qui vedono rappresentazione, portano avanti un lavoro straordinario in ambito culturale e artistico.

Giulio Stasi

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