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“Non può essere una rivoluzione”. Intervista a Laura Sicignano, allo Stabile di Catania

All’indomani della nomina a direttrice artistica, abbiamo raggiunto telefonicamente Laura Sicignano, per una conversazione attorno al presente e al futuro dello Stabile di Catania.

Laura Sicignano

Il Teatro Stabile di Catania, fondato da Turi Ferro nel 1958 e dunque terzo per costituzione, nel 2015 ha dichiarato un debito di oltre 13 milioni di euro, a cui sono seguiti diversi scioperi dei lavoratori, l’occupazione del Teatro Verga, minacce di pignoramento e infine il commissariamento. Nel 2017 il teatro è riuscito a ottenere alcune manovre di accordo coi creditori, tra cui anche l’accesso ai fondi di risanamento per interventi straordinari (RIS); dunque, in autunno è stato indetto un bando per la nomina del nuovo direttore del teatro. Dopo aver vagliato 58 proposte e aver stretto il cerchio a Moni Ovadia, Orazio Torrisi, Sebastiano Lo Monaco e Laura Sicignano, il 17 febbraio scorso il Consiglio di Amministrazione ha deciso di eleggere quest’ultima: regista, autrice e organizzatrice teatrale genovese, fondatrice, tra gli altri, del Teatro Cargo nel capoluogo ligure. L’abbiamo raggiunta al telefono per farci raccontare i suoi piani per questa avventura etnea.

Laura Sicignano, lei è la prima direttrice dello Stabile di Catania. Mi sembra sia un bel segno che sia una donna ad aver ottenuto questa carica.

Ci sono dei vetri di cristallo che è giusto frangere, dunque anche io sono molto contenta. Non è automatico che essere donna sia migliore, però trovo sia molto positivo che certe posizioni siano ricoperte da entrambi i sessi.

Lei ha una storia artistica variegata alle spalle:  regista, drammaturga, ha gestito e diretto diversi teatri, è stata consulente della Fondazione Regionale per la Cultura in Liguria. Che tipo di orientamento intende dare alla programmazione di questo triennio che la vede direttrice del Tric catanese?

Vorrei fare due premesse, una di ordine pratico: non dimentichiamo la situazione da cui sta faticosamente uscendo il Teatro Stabile di Catania, che è una condizione di fortissimo indebitamento, di ristrutturazione del debito e di commissariamento. Dunque, dobbiamo prima di tutto fare i conti con questa situazione, è un teatro che va risanato. Il mio compito è quello di attuare le strategie che, con il Consiglio di Amministrazione e il Commissario, sono state pensate per rimettere in sesto questo ente dopo mesi di tempesta non indifferenti. Prima dobbiamo considerare questo. Ci sono poi le scadenze imposte dal Ministero per il nuovo triennio: entro gennaio bisognava aver inviato un nuovo progetto, dando un quadro specifico dell’anno in corso. Io mi inserisco in linee artistiche progettuali già definite, perciò andrò a dare il mio segno più nel 2019-2020 che nel 2018, perché questo è un anno che è già stato in gran parte definito per forza di cose, per i tempi necessari richiesti dal Ministero. Poi nei prossimi anni credo che sarà un po’ più evidente la mia volontà di rinnovamento, di interesse per un teatro nuovo che possa attirare nuove generazioni, non solo quelle portate dalle scuole ma anche un pubblico di giovani naturalmente interessato a un certo tipo di teatro che lo riguarda. Mi piacerebbe fare un programma sempre di più legato a una visione contemporanea, a tematiche che possano parlare al presente, un teatro che riguardi da vicino il proprio pubblico.

Dicevamo come lo Stabile esca, anche economicamente parlando, da un periodo di crisi. Le azioni che saranno volte al recupero del deficit influiranno sulle scelte artistiche?

Inevitabile, però credo che il Consiglio di Amministrazione abbia scelto me anche perché ho dato prova di riuscire a fare buone cose con piccole risorse. La mia strada professionale è stata contrassegnata da questo aspetto, riuscire a ottimizzare le risorse e dunque il rapporto costi/benefici. Quindi, se l’ho fatto prima, lo potrò fare anche a Catania, ci proverò in tutti i modi!

La storia dello Stabile è legata a una tradizione d’attori ben precisa, che ha visto negli anni sicuramente una presenza di nomi di grande valore, ma dall’altro lato una non sempre costante relazione con il contemporaneo. In che relazione si porrà questo nuovo teatro?

Se mi chiede se ho delle strategie le rispondo di sì, anche se comunicarle ora sarebbe un po’ velleitario. Le posso dire che vorrei continuare a fare quel che ho sempre fatto, ovvero valorizzare nuovi talenti, valorizzare un gruppo di giovani che possa accompagnare il triennio e che possa  come “testimoni del teatro” anche in zone in cui ancora non c’è. Mi piacerebbe valorizzare nuovi autori, dunque produrre nuova, nuovissima drammaturgia.

Il bando per la direzione era composto da tre passaggi, nel primo si compiva una selezione su curriculum, nel secondo su colloquio e il terzo, dedicato a un gruppo ristretto, necessitava della presentazione di un progetto triennale corredato da relativo budget. Ora bisogna vedere, assieme al consiglio, fino a che punto sia realizzabile. Purtroppo, dobbiamo fare i conti con un quadro esistente che va risanato. Io non sarò soltanto un direttore artistico, ma anche direttore della componente gestionale, dunque devo un po’ – come ho sempre fatto! – mettere insieme il dato di gusto con i mezzi che abbiamo a disposizione. So che c’è un’aspettativa di fedeltà nei confronti di una tradizione del teatro catanese che non vogliamo tradire completamente, allontanando coloro che al momento sono abbonati, ma mi piacerebbe allargare il raggio e coinvolgere un pubblico diverso, forse più attento ai linguaggi del contemporaneo.

Nelle specifiche dello statuto del teatro e del bando a cui ha risposto vengono posti in rilievo, tra i vari aspetti, l’attenzione al territorio e un maggiore coinvolgimento e formazione del pubblico. Ha già previsto delle azioni in tal senso?

Io ho creato teatri dove non c’era nulla, non ho ereditato teatri. Quindi mi sento di aver formato una generazione di pubblico. E probabilmente è anche questo il motivo per cui mi hanno chiamato; devo consolidare quello che c’è, non allontanare nessuno o respingerlo, ma allargare la prospettiva verso un nuovo pubblico. È una bellissima avventura. Non sarà una rivoluzione, ma non perché non lo voglia fare, perché non può esserlo. Sarà un processo di trasformazione che non impiegherà un tempo brevissimo, ma probabilmente sarà il tempo del mio incarico. Non può essere una rivoluzione, perché eredito qualcosa che già c’è e quindi devo, nel corso del tempo, provare a “lavorarlo” un pochino. Spero di poter creare delle collaborazioni non soltanto con il territorio siciliano ma anche e soprattutto sotto un profilo internazionale. Dunque, da un lato coinvolgere anche le realtà catanesi e siciliane e dall’altro tessere collaborazioni con enti di altre città, perché credo che la contaminazione, lo scambio e la collaborazione siano modalità fertili per tutti.

Un altro punto su cui mi sembra interessante soffermarsi riguarda la scuola di formazione degli attori che per anni ha fatto parte del progetto dello Stabile.

In questo momento non possono che esserci delle altre priorità; ci sono veramente delle grandissime fragilità strutturali del teatro, se non vengono risolte non andiamo avanti. E in questo momento la scuola non può essere una priorità. Devo ancora confrontarmi su questo argomento con il territorio e la città, ma ho idea che una scuola che diventa la fotocopia di tante altre scuole professionali italiane non sia di buon servizio ai giovani. Una scuola che diventa un’eccezione, che si propone come qualcosa di veramente diverso rispetto alle scuole dove ogni anno si diplomano decine e decine di attori che poi rischiano di rimanere senza un lavoro, allora può essere interessante. Bisogna prima risolvere le difficoltà strutturali del teatro e poi trovare un’idea di una scuola che sia un qualcosa di alternativo a quello che già c’è.

Come intende rispondere alla polemica lanciata dall’assessore regionale ai Beni culturali, Vittori Sgarbi?

Io preferirei non rispondere, preferisco lavorare e, se il tempo è galantuomo, vedremo i risultati che porterò. Sicuramente alcune informazioni sono proprio prive di fondamento: io non ho mai avuto alcuna tessera di partito, non conosco alcun ministro Franceschini e non sono espressione di alcun partito politico. Ho fatto un’esperienza di campagna elettorale come indipendente, che è qualcosa che ritengo dovrebbero fare tutti, è molto bello mettersi in gioco anche in questo senso ed è interessante vedere come si svolge una campagna elettorale dietro le quinte; non ci trovo niente di male, tanto è vero che è nel mio curriculum. Prendere un dettaglio di due mesi rispetto a più di venticinque annidi lavoro e farlo diventare l’elemento predominante della mia storia lo trovo un pochino capzioso. Specialmente da parte di chi lavora in politica. Io non ho mai avuto un incarico né una nomina politica, questo va chiarito perché non appartiene alla realtà.

Ritornando al teatro, e a una questione che riguarda la sua memoria di spettatrice, c’è o ci sono stati degli spettacoli che hanno segnato il suo fare teatrale?

Sì, gliene dico due: Arlecchino servitore di due padroni di Strehler, visto chiaramente secoli fa, e la Fura dels Baus dei miei inizi, 25 anni fa; da un estremo all’altro! Per quanto riguarda l’Arlecchino ricordo un modo libero e gioioso di leggere la tradizione con grande ariosità, senza polvere e senza museo ma con fantasia e con libertà; per la Fura invece la potenza eversiva, che oggi magari farebbe sorridere, ma venticinque anni fa era veramente rivoluzionaria.

 

Viviana Raciti

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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