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Carmen. Bizet secondo Valentina Carrasco a Caracalla

Carmen, celebre opera in tre atti musicata da Georges Bizet del 1875, è andata in scena per la regia di Valentina Carrasco alle Terme di Caracalla, cornice estiva delle rappresentazioni del Teatro dell’Opera di Roma. Recensione

Foto Yasuko Kageyama
Foto Yasuko Kageyama

Arriva l’estate e porta con sé il caldo, i ritmi lenti e le lunghe serate da passare all’aperto. Anche il Teatro dell’Opera di Roma lo sa e propone infatti una fresca stagione estiva alle Terme di Caracalla, un cartellone di grandi titoli (Carmen, Tosca e Nabucco) volto ad attirare anche chi durante l’inverno potrebbe mostrarsi refrattario all’intrattenimento operistico. E funziona, perché i 4000 posti si riempiono quasi per intero di un pubblico vasto e vario: tanti ragazzi, giovani coppie e persino intere famiglie prendono posto sui larghi spalti; il dress-code e i commenti forbiti sono solo un ricordo della stagione invernale, per la “gioia” degli habitué operistici più agguerriti.

Il 3 marzo del 1875 all’Opéra-Comique di Parigi va in scena per la prima volta la Carmen di Georges Bizet. Si tratta di un’opéra-comique, così almeno si poteva leggere sul libretto, ma il pubblico della prima non ne è convinto: con il passare delle ore l’entusiasmo del primo e secondo atto lascia il posto alla sorpresa per l’amarezza degli ultimi due, le atmosfere si fanno cupe e sul finale si consuma la tragedia della protagonista. Questa protagonista ha poi un’idea dell’amore del tutto “immorale”, rifiuta ogni legame in nome della libertà, nessuna eroina operistica si è mai comportata così. L’insuccesso tormenta l’animo già turbato di Bizet, che muore, appena tre mesi dopo, con il fiasco della sua monumentale ultima fatica nel cuore.

Foto Yasuko Kageyama
Foto Yasuko Kageyama

Al contrario della sua protagonista la storia di Carmen ha un lieto fine, tanto che oggi Carmen è una delle opere più rappresentate in assoluto (al terzo posto secondo la classifica di Operabase riferita alla stagione 2015/16, subito dopo La traviata e Die Zauberflöte). Ma già allora ci fu uno spettatore “speciale” che prima degli altri si accorse della grandezza di questo titolo. Nel 1888, mentre scrive da Torino, il filosofo Friedrich Nietzsche l’ha già vista/ascoltata venti volte ed è rimasto totalmente stregato da tutto ciò che il pubblico della prima aveva disprezzato; scrive: “Questa musica è serena; ma non di una serenità francese o tedesca. La sua serenità è africana: essa ha su di sé la fatalità, la sua felicità è breve, improvvisa, senza remissioni.” E poco più avanti “Finalmente l’amore, l’amore come fatum, fatalità, cinico, innocente, crudele – e appunto in ciò natura! L’amore che nei suoi strumenti è guerra, nel suo fondo è l’odio mortale dei sessi!”.

Foto Yasuko Kageyama
Foto Yasuko Kageyama

L’amore così primordiale che porta all’odio e poi alla morte, un concetto tanto caro alla filosofia nietzschiana e che diventa il nodo gordiano dell’interpretazione di Valentina Carrasco, giovane regista argentina delle scuderie de La Fura dels Baus. La storia viene trapiantata al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, in un futuro piuttosto prossimo (sul muro di lamiera si legge 2020), dove le zingare sigaraie diventano operaie di una fabbrica di sigarette e l’esercito spagnolo diventa quello americano di frontiera. L’intrinseco contrasto tra la musica popolare e accattivante di Bizet e la drammatica vicenda dei personaggi prende allora forma nella condizione di cattività gioiosa dell’ambiente degradato nel quale si trova costretto il popolo messicano: a pochi passi dal muro grigio si svolge il mercato sgargiante, i bambini giocano a fare i militari, i ragazzi ballano hip-hop con un vecchio transistor, mentre dall’altra parte del muro arrivano cadaveri nei sacchi neri.

La staticità del contesto reclusorio sottolinea ed esaspera l’amore di Carmen per la libertà, una libertà che diventa prima di tutto sensuale (durante la sua “Habanera” interagisce sia con gli uomini che con le donne della folla), in un contesto generalmente grondante di sensualità (il litigio di Carmen con Manuelita avviene come lotta nel fango sotto gli occhi di vogliosi scommettitori, la taverna di Lillas Pastia si trasforma in un night club, all’interno del quale gravitano prostitute e drag queen) e che la porta a passare il confine illegalmente attraversando il deserto, per poi trovarvi la morte. Nulla di diverso dalla Carmen originale, che a ben guardare viene invece esaltata da questa collocazione geografico-temporale, legata a doppio filo con le tematiche amore-odio, vita-morte; riferimenti che diventano chiarissimi quando la corrida del quarto atto si trasforma nella celebrazione del Dia de Los Muertos, la tradizionale festa dei popoli latino americani che colgono la morte come un passaggio gioioso più che come atto tragico.

Foto Yasuko Kageyama
Foto Yasuko Kageyama

Il grandissimo palco delle Terme si riempie di almeno un centinaio di elementi tra cantanti, coro, coro dei bambini, ballerini e figuranti, trasformandosi in una vera e propria città, piena di vita e di movimento. Veniamo trasportati in un universo autonomo che riesce però ad integrarsi perfettamente nello spazio circostante: i resti romani diventano essi stessi scenografia (di Samal Black), tramite le proiezioni delle insegne del night o del Gran Canyon, riuscendo nell’arduo compito di valorizzare il luogo, ma allo stesso tempo a non soccombere sotto il peso della sua storia. Anche i cantanti superano l’ostacolo del grande palco strappando quei famosi applausi tra i movimenti che fanno rizzare i capelli ai melomani, ma che sono testimonianza di apprezzamento sincero e spontaneo: Don Josè (Roberto Aronica), con la sua grande espressività e Micaëla (Rosa Feola) con la sua potenza vocale conquistano maggiormente il pubblico; a seguire Carmen (Veronica Simeoni) che si rivela buona attrice e riesce a sostenere la difficile parte vocale insieme a quella attorica estremamente dettagliata costruita dalla regista.

Flavia Forestieri

Terme di Caracalla, Roma, luglio 2017

CARMEN
opera in quattro atti
musica Georges Bizet
dal romanzo di Prosper Mérimée
libretto Henri Meilhac e Ludovic Halévy
interpreti principali
CARMEN Veronica Simeoni /
Ketevan Kemoklidze 20, 27, 30 luglio, 1, 4 agosto
DON JOSÉ Roberto Aronica /
Andeka Gorrotxategi 20, 27, 30 luglio, 1, 4 agosto
ESCAMILLO Alexander Vinogradov /
Fabrizio Beggi 14, 27, 30 luglio, 4 agosto
MICAËLA Rosa Feola /
Roberta Mantegna * 1, 4 agosto
FRASQUITA Daniela Cappiello
MERCEDES Anna Pennisi
DANCAIRO Alessio Verna
REMENDADO Pietro Picone
ZUNIGA Gianfranco Montresor
MORALES Timofei Baranov*
Dal progetto “Fabbrica” – Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma

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Flavia Forestieri
Flavia Forestieri
Flavia Forestieri ha studiato all’Università “La Sapienza” di Roma, laureandosi in Letteratura, Musica e Spettacolo, con una tesi in storia della musica sull’opera di Bertolt Brecht “Ascesa e caduta della città di Mahagonny”, e, successivamente, in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi sulla regia lirica contemporanea, analizzando quattro regie de “La traviata” di Verdi. Dopo aver vinto il bando Luiss “Generazione cultura”, ha lavorato in ambito della comunicazione come addetta e stampa e social media manager alla Reggia di Caserta. Attualmente frequenta il Master in “Drammaturgia e Sceneggiatura” all’Accademia Nazionale “Silvio d’Amico” di Roma. Dal 2017 collabora con Teatro e Critica occupandosi di recensioni di spettacoli d’opera.

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