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Contrasto, abbandono e gioco. Trittico contemporaneo al Teatro Massimo di Palermo

Il Teatro Massimo di Palermo presenta Trittico Contemporaneo, con le coreografie di Matteo Levaggi, Johann Inger e Jiří Kylián. Recensione

Sechs Tanz. Foto di Franco Lannino
Sechs Tanze. Foto di Franco Lannino

Illuminato dal sole pomeridiano, sembra brillare il complesso architettonico del Teatro Massimo di Palermo. Terzo per grandezza in Europa, dichiara la sua fede alle arti e al loro rinnovamento fin dal fregio posto al di sotto del timpano in stile neoclassico: «L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire». Vi mettiamo piede entrando dalla scalinata sontuosa, lasciandoci alle spalle i leoni simbolo l’uno della tragedia l’altro della lirica per una serata dedicata alla danza, un Trittico contemporaneo che presenta tre coreografie firmate dall’italiano Matteo Levaggi, dallo svedese Johann Inger e dal ceco Jiří Kylián. Tre età e tre visioni tutte personali dell’arte coreutica, volute assieme per rappresentare, se non tutte, almeno alcune delle strade che il mondo del balletto contemporaneo sta percorrendo, attraverso i corpi degli interpreti del Corpo di ballo e l’Orchestra del teatro.

Watergame. Foto Rosellina Garbo
Watergame. Foto Rosellina Garbo

Watergame, Walking Mad e Sechs Tänze hanno sicuramente in comune un lavoro non scontato rispetto alle musiche che le affiancano, innescando un rapporto che va al di là dell’accompagnamento dell’una per l’altra o della classica interpretazione. Dalla musica, la cui direzione è affidata al maestro Alessandro Cadario, si trae ispirazione (senza per questo considerarla l’unico motore ideativo); ma la musica sembra rispondere attivamente a quanto accade in scena, diventa stimolo da cui partire più che da interpretare, contraltare forte e fragile assieme, lingua da contraddire o da replicare scherzosamente.

Watergame Rosellina Garbo
Watergame. Foto Rosellina Garbo

Questo vale fin dalla prima coreografia, Watergame, creata nel 2005 e riproposta al corpo di ballo palermitano durante il primo periodo di residenza del coreografo italiano che, a inizio della prossima stagione presenterà una personale Bella Addormentata. Dopo un iniziale scalpitio come di zoccoli, il palco pieno solo di un alto e definito taglio di luce accoglie in silenzio i ballerini, per poi risuonare nelle musiche di Michael Nyman tratte dalle colonne sonore di due film di Peter Greenaway, Drowning by numbers (in italiano Giochi d’acqua, da cui il titolo della creazione di Levaggi) e Prospero’s Books. Levaggi parla giustamente di un «rapporto ludico anche con la musica», in un’autonomia mutuata da Merce Cunningham, per cui non si riscontra una predominanza dell’una sull’altra, anzi ciascun linguaggio (danza, musica, arti visive) segue il proprio corso e la propria durata. Si intrecciano le coloriture interpretative che non sempre coincidono; il silenzio non corrisponde sempre a un’interruzione del movimento, anzi, è in quello scarto che si percepisce con più forza il ritmo dei corpi. Ai passi regali e risoluti del primo quadro, segue un secondo atto – introdotto da una colonna rossa di fumo – molto più intimo, drammatico e incombente, nel quale emerge nella qualità del loro movimento l’importanza per il silenzio e la pausa. Il terzo quadro, invece, ritorna al biancore iniziale quasi a sottolineare l’impressione della scoperta agita in scena.
Riuniti in duetti, in terzetti, in gruppo o in assolo, i ballerini già con i loro corpi elaborano una propria creazione musicale, creazione di un movimento che inscena canto e controcanto tra loro o di contrappunto rispetto le note. Si mette in moto una danza astratta fortemente evocativa (anche se non sempre accuratamente pulita) nelle sue giunture spezzate di mani, anche e caviglie, nei moduli che si ripetono o nella composizione di una fluida coralità complessiva.

Walking Mad. Foto Rosellina Garbo
Walking Mad. Foto Rosellina Garbo

Molto diverso è l’approccio del più teatrale Walking mad di Johann Inger, diviso in due tempi, e costituito da quel dispositivo ad orologeria che è il Bolero di Maurice Ravel e il malinconico Für Alina di Arvo Pärt. Creato originariamente per il Nederlands Dans Theater I nel 2001, al centro del palco avanzerà fin da subito un imponente muro di legno, collocazione materica dove accadono incontri, sfuggono amori rincorsi da burattini festaioli, si struggono coppie in preda a un’ultima danza d’addio. Lontano dall’astrazione del primo balletto, questa visione si sposta su un corteggiamento ribaltato, in cui la donna viene messa all’angolo.  Inger immette elementi del mimo, gioca con la lunghezza del muro, con le sue dimensioni da accorciare illusoriamente, con la possibilità di interagire in maniera chiara con un elemento da cui dipende inclusione ed esclusione, ripetizione simultanea, scherzo, avviluppamento spiralico. È grazie al muro che emerge, come precisa Angela Fodale nel corposo libretto di sala, il «lato atletico, affidato ai muscoli e lo sbandamento emotivo alla violenta unione dei corpi nello spazio. E da questo disgiungersi e da questo disordine nasceva una particolare logica: la logica dell’autenticità emotiva». Distante dall’interpretazione della danza raveliana come rituale seducente, il gesto e l’espressività quotidiana si innescano su un corpo che trattiene e che si rispecchia, si abbandona, è sostenuto dall’altro.

Walking Mad. Foto Rosellina Garbo
Walking Mad. Foto Rosellina Garbo

Sospesa su un muro che diventa superficie orizzontale sulla quale danzare, la danza segue il crescendo del modulo del Bolero che ossessivamente ritorna con un crescendo di complessità e ampiezza musicale, fino a scomporre il corpo che, abbandonato il reale, si getta in una danza snodata, “impazzita”, – apparentemente – fuori controllo. Fino a quella che il coreografo stesso definisce «un’eco», un passo a due in cui le note del pianoforte di Arvo Pärt raccontano il peso di un addio. Già la loro durata (equilibratissima e sospesa sequenza di singole semiminime e semibrevi che chiudono ogni frase) è intrisa del senso di solitudine, in cui la coppia si muove verticalmente sul muro, si abbraccia, trascina il peso del corpo sempre più ancorato all’altro, mentre una giacca passata tra le mani dei due danzatori, gettata ripetutamente a terra, diventa oggetto significante: l’andare via.

Sechs Tanze. Foto Rosellina Garbo
Sechs Tanze. Foto Rosellina Garbo

A riportare toni più lievi ci pensa l’ultima parte del Trittico contemporaneo affidata a un’opera del 1986 di Jiří Kylián, le Sei danze K 571 di W. A. Mozart, «sei movimenti apparentemente privi di senso, ignorando volutamente la loro ambientazione. Momenti impossibilitati a svilupparsi davanti al mondo d’oggi sempre turbato che, per ragioni imprecisate, ciascuno porta dentro di sé». Così li descriveva il coreografo, anche se a osservare i volti imbellettati, le parrucche, le sottovesti bianche o per contrasto i rigidi abiti neri (quasi una maschera per vestito), i gesti vezzosi, il pettegolezzo, gli svenimenti, sembrerebbe che l’eclettico Kylián faccia precisamente riferimento al Settecento mozartiano, spiegando un legame pieno di ironia, postmoderna ma assolutamente rigorosa, che si fa teneramente beffa del tempo cui si riferisce. In una prospettiva quasi bidimensionale, questi buffi e grotteschi personaggi scuotono i piedi; capricciosi, saltano e giocano battendo le mani, facendo dispetti, si fanno carico di una commedia leggera e dice Marinella Guatterini «in levare», meravigliosa ed effimera come la pioggia di bolle di sapone – assolutamente da scoppiare – che cade alla fine dell’ultima danza. Più che in contrasto con la musica, la quale in questo caso conduce e guida il movimento in un gioco reciproco di abbellimenti musicali e coreutici e in una finta semplicità che nasconde una cura per la composizione, la relazione dialoga più con lo Zeitgeist, giocando con quello spirito del tempo che ci sembra lontano e pericolosamente vicino.

Viviana Raciti

Visto al Teatro Massimo di Palermo, aprile 2017

TRITTICO CONTEMPORANEO
Coreografie di Jiri Kylián, Johann Inger e Matteo Levaggi
Direttore Alessandro Cadario
Corpo di ballo e Orchestra del Teatro Massimo
Assistente alle coreografie e maître de ballet Alberto Montesso

Water Game
Coreografia, scene, costumi Matteo Levaggi
Luci Salvatore Spataro
Musiche di Michael Nyman
Nuovo allestimento del Teatro Massimo
Interpreti
Giorgia Leonardi* / Yuriko Nishihara**, Andrea Mocciardini, Annamaria Margozzi* / Jessica Tranchina**,
Michele Morelli* / Alessandro Cascioli**, Vincenzo Carpino,
Maria Chiara Grisafi, Lucia Ermetto* / Elisa Arnone**,
Manuel Barzon, Diego Mulone* / Vito Bortone**,
Francesca Davoli* / Francesca Bellone**, Gianluca Mascia,
Fabio Correnti* / Riccardo Riccio**,
Annalisa Bardo, Romina Leone, Noemi Ferrante

* 11, 13, 14 e 15 aprile
** 12 e 14

Walking Mad
Coreografia, scene e costumi Johann Inger
Musiche di Maurice Ravel, Arvo Pärt
Assistente alla coreografia Yvan Dubreil
Supervisione tecnica e light design Erik Berglund
Allestimento del Nederlands Dans Theater
Interpreti
Blue Yuriko Nishihara* / Jessica Tranchina**
Vito Bortone* / Giuseppe Rosignano**
Red Francesca Bellone* / Romina Leone**
Gaetano La Mantia* / Diego Mulone**
Brown Annamaria Margozzi* / Alessia Pollini**
Alessandro Cascioli* / Daniele Chiodo**
Green Riccardo Riccio* / Fabio Correnti**
Yellow Manuel Barzon* / Gianluca Mascia**
Dress Andrea Mocciardini* / Michele Morelli**

* 11, 13, 14 e 15 aprile
** 12 e 14

Sechs Tänze
Coreografia, scene e costumi Jiří Kylián
Musiche di Wolfgang Amadeus Mozart
Assistente alla coreografia Patrick Delcroix
Luci concepite da Jiří Kylián
e realizzate da Joop Caboort
Supervisione tecnica e light design Joost Biegelaar
Allestimento del Semperoper Ballet di Dresda
Interpreti
Yuriko Nishihara* / Giorgia Leonardi**
Michele Morelli* / Gaetano La Mantia**
Francesca Davoli* / Alessia Pollini**
Gianluca Mascia* / Diego Mulone**
Francesca Bellone* / Lucia Ermetto**
Riccardo Riccio* / Andrea Mocciardini**
Annalisa Bardo* / Maria Chiara Grisafi**
Alessandro Cascioli
Mega Stars Jessica Tranchina, Romina Leone, Manuel Barzon, Vincenzo Carpino

* 11, 13, 14 e 15 aprile
** 12 e 14 aprile

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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