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Anagoor e Giorgione. Rivelazione di un’immagine in movimento

Anagoor propone al Teatro India di Roma uno spettacolo del 2009: Rivelazione. Sette meditazioni intorno a Giorgione. Recensione.

Foto ufficio stampa
Foto ufficio stampa

«Giorgione è come un fantasma»: così ci accoglie Marco Menegoni dal palco di un Teatro India spoglio di qualsiasi arredo scenico a eccezione di due microfoni, qualche libro e due schermi video posti in verticale di fronte i nostri occhi. Questa presenza-assenza aleggerà per tutta la durata di Rivelazione, percorso in forma di sette meditazioni intorno a Giorgione ideato da Simone Derai insieme a Laura Curino nel 2009, poco prima de La Tempesta e in una prossimità non tanto celebrativa quanto prima di tutto fisica, che ha visto nascere la compagnia Anagoor negli stessi luoghi in cui avrebbe vissuto il pittore, Castelfranco Veneto. Condurre anche noi spettatori verso una più vicina familiarità con la sua opera è uno dei motori di questo spettacolo, attraverso l’arte figurativa e teatrale farci entrare dentro il territorio veneto a cavallo tra XV e XVI secolo, in un brulicare di operosità artigianale, di guerre, sacralità di amori carnali, filiali, divini, umani.

Foto Alessandro Sala
Foto Alessandro Sala

Se il colore era strumento primo attraverso cui esprimere l’anima del dipinto, Anagoor sceglie la parola immersa in un tappeto sonoro (a cura di Mauro Martinuz) che moltiplica e fa esplodere la civiltà e diventa guida per orientarsi. È una parola performativa che a dispetto del rischio di far passare questa occasione come una semplice lectio, forse soltanto riconducibile a una complessità non sempre per tutti accessibile, sceglie e calibra con cura le modalità espressive che al teatro appartengono di diritto.

L’attore si sporca la voce attraverso i dialetti, la diversa equalizzazione dei microfoni, attraverso una pluralità di fonti storiche (tra cui anche il celebre Vasari autore di molte biografie di artisti del suo tempo), attraverso un racconto evocativo che procede per digressioni, partendo non tanto dai temi – silenzio, natura umana, desiderio, giustizia, fede, diluvio, tempo – ma da una possibile storia annidata dentro ciascuno. Per sopperire a un passato di cui “non v’è certezza”, interviene dunque l’invenzione nel racconto che si fa strada e prova così a condurci nella scoperta di un quadro provando a indagare, per esempio nella Pala di Castelfranco, la tristezza annidata dentro lo sguardo della Madonna alle cui radici si vela la commissione del quadro scaturita in seguito alla morte del figlio di un combattente, Tuzio Costanzo. il nostro occhio segue il tracciato video (a cura di Derai e Moreno Callegari, in queste repliche romane proiettato in schermi decisamente ridotti), l’inquadratura segue da vicino il particolare, e così, seguendo Deleuze, l’immagine ha un suo tempo che diviene movimento nella ricostruzione.

9/11Memorial Museum, NYC. Foto Jin Lee
9/11Memorial Museum, NYC. Foto Jin Lee

«L’eternità dell’arte impressa sul volto dipinto» dispiega allora le ragioni umane fino a tendersi al contemporaneo, al non ragionabile, nell’unica incursione verso altre immagini diverse da quelle del pittore: l’attentato alle torri gemelle. Quelle riprese, reali e loro malgrado diventate icona, impongono una riflessione sulle modalità di fruizione delle immagini, sulla quasi impossibilità ad oggettivarle pur essendo “documentarie”. Se in un museo guardaste l’imponente scultura di ferro, che sembra formare un’aquila, ammirandone solo la forma non avreste colto il gesto sotterraneo alla sua radice che non parlava di arte ma di morte, mentre lo “scalpello” che la modellava era un volo American Airline e quel museo è il 9/11 Memorial Museum.

Ancora si ritorna a Giorgione, all’idea del diluvio nell’unico udibile scrosciare di pioggia e nella vividezza del fulmine; fino all’ultimo tema, il tempo, e al Fregio delle arti liberali e meccaniche, in una rivelazione non solo sul tempo ma nel e col tempo, che, cogliendo la lezione del maestro, per ricercare prudenza invita a guardare al futuro. A dispetto dei segni nefasti e inquietanti che reca con sé il fregio si continua a far scorrere avanti l’affresco verso l’ultima tavola bianca.

Viviana Raciti

Teatro India, Roma – febbraio 2017

RIVELAZIONE
Sette meditazioni intorno a Giorgione
drammaturgia Laura Curino, Simone Derai
regia Simone Derai
con Marco Menegoni
Video Simone Derai, Moreno Callegari
Sound design Mauro Martinuz
Produzione Anagoor
co-produzione Operaestate Festival Veneto

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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