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Fa’afafine. Siamo tutti dinosauri

Fa’afafine di Giuliano Scarpinato, vincitore del Premio Scenario 2014, è andato in scena al Teatro India. Recensione

Foto di Jacopo Niccoli
Foto di Jacopo Niccoli

Lo diciamo sempre, un buono spettacolo per bambini è buono anche per gli adulti. Questo ha ormai il sapore di uno slogan politico o di un’etichetta sui cibi biologici. Molto più raro è trovare uno spettacolo in grado di prosciugare il problema alla fonte, realizzando un lavoro talmente multistrato che tutte le definizioni crollano. Fa’afafine – Mi chiamo Alex e sono un dinosauro, scritto e diretto da Giuliano Scarpinato a partire dal libro Raising My Rainbow di Lori Duron, è uno di questi. Solo due giorni, entrambi sold out. Un tempo troppo breve affinché la città di Roma potesse godere al Teatro India di questo spettacolo vincitore del Premio Scenario Infanzia 2014 e prodotto dal Teatro Biondo di Palermo, con Michele Degirolamo nei panni del protagonista, Gioia Salvatori e lo stesso Scarpinato interpreti dei genitori, Susan e Robert.

La stanza di Alex White è il suo mondo di giochi, un cubo composto da tre lati e aperto sul proscenio in cui al centro troviamo il letto-zattera-aereo-astronave, ai lati un armadio e una sedia. Gli amici con cui egli dialoga, crea e vive i propri sogni sono la Barbie Kartika, Mr Pig, una scimmietta, Pimpi e Natalia, la modella. Alex è un bambino-bambina, un Lui-Lei, in termini scientifici gender creative child.

Foto di Jacopo Niccoli
Foto di Jacopo Niccoli

Dalla sua stanza cerca una comunicazione telepatica con l’isola di Samoa dove vivono i suoi amici, quelli veri, coloro che lo amerebbero per cio che è perché sono come lui: i Fa’afafine, individui che fin da piccoli non si identificano in nessun sesso ma in entrambi, senza che la società dove vivono ne imponga loro uno. Alex è maschio i giorni pari e femmina quelli dispari, ama gli abiti da principessa ma anche la maschera di Thor, le sneakers e la collana a fiori. I genitori guardano il mondo immaginifico e fantasioso di Alex – straordinarie e organicamente inserite nella drammaturgia, le proiezioni di Daniele Salaris – Videostille – dalla serratura della cameretta, voyeur preoccupati e in difficoltà (vedi gli attacchi di panico e svenimenti della figura paterna) che vorrebbero riuscire a tutelare il proprio figlio speciale dal mondo ostile rappresentato dalla preside Powell e dalla madre di Elliot Artwood. Ma mamma e papà non sanno che Alex vuole più che bene a Elliot, che vorrebbe andare a prenderlo all’aeroporto, che partirebbe con lui per Samoa e che sempre con lui, e nessun altro, andrebbe a vivere nella casa della nonna una volta defunta.

Foto di Jacopo Niccoli
Foto di Jacopo Niccoli

Le note di regia lo consigliano a una fascia di spettatori di età compresa tra gli 8 e i 16 anni ma in realtà la seconda e ultima replica è stata piena più di adulti che di bambini. Adulti ben più consapevoli della questione politica rappresentata oggi dal tema, ma anche molto più in guardia, più attenti a trovare o non trovare le spine di una questione che invece, come una dolce sorpresa, viene posta direttamente per quel che è. Nella storia di Alex e del suo sogno di poter “interpretare” se stesso alla maniera che preferisce, senza che una scelta radicale lo costringa a nascondere vestiti da principessa e bambole rosa, i bambini sembrano aver trovato innanzitutto una enigmatica ma efficace riflessione sul concetto di libertà nella vita che si preparano ad attraversare. Seppure certi termini o riferimenti come «molotov» o «somiglio a Frida Khalo» chiamino in causa direttamente l’adulto, che nella sua reazione divertita esclude e distrae il bambino, il lavoro di Giuliano Scarpinato riesce a cogliere le domande, le urgenze e le contraddizioni di un tema come questo manovrando con intelligenza una delle principali leve del teatro, l’atto del mostrare.
Mai come in questo caso il bambino deve comprendere la straniante distanza tra una rappresentazione reale e una realtà rappresentata. Nella dimensione virtuale (il video) i genitori sono una raffigurazione calcata – ma non paradossale – della famiglia in quanto primo interlocutore sociale; in quella reale (l’azione live), sul tema dell’identità di genere sembra venir impressa una sottile forma di slittamento, che trasferisce l’ambiguità sessuale sull’ambiguità fisionomica. A dar vita a un personaggio incerto sulla propria natura è un attore i cui tratti somatici e movimenti rendono arduo stabilire un’età anagrafica. Il risultato: sembra un bambino ma non è un bambino. Ed ecco che quest’inedita alchimia scenica mostra lo specchio di ciò che avviene nell’animo del protagonista. Al punto che la stessa centralità del tema oscilla tra una riflessione sull’omosessualità infantile (inevitabile, perché il racconto di presentazione di Alex riguarda l’incontro con Elliot e la visibile sua attrazione) e una più ampia sulla “gender creativeness”, che non certo lì si esaurisce.

In questa ambiguità semantica, che passa tutta attraverso un unico corpo in scena, sembra stare il segreto di questo ingegnoso meccanismo: Fa’afafine si costruisce su due filoni drammaturgici ben precisi e però complementari, ognuno dei quali si rivolge tanto ai ragazzi quanto agli adulti. Da un lato dolce tenerezza infantile nel credere che si possa e debba vivere in un mondo che sia a misura di noi stessi, che siamo bambini amanti del pallone dalle lunghe trecce bionde e dinosauri con ali di farfalla; dall’altro un senso di protezione e adulta difficoltà nel cercare di sostenere Alex. Salvaguardarlo dalla paura, difenderlo dal dubbio per danzare fieri la bellezza di essere unici.

Sergio Lo Gatto e Lucia Medri

Teatro India, Roma – aprile 2016

FA’AFAFINE – mi chiamo Alex e sono un dinosauro
testo e regia Giuliano Scarpinato
con Michele Degirolamo
in video Gioia Salvatori, Giuliano Scarpinato
visual media Daniele Salaris – Videostille
progetto scenico Caterina Guia
assistente scene e costumi Giovanna Stinga
luci Giovanna Bellini
illustrazioni Francesco Gallo
produzione Teatro Biondo Palermo
Spettacolo vincitore del Premio Scenario Infanzia 2014

Prossime date tournée:

Avellino, Teatro Carlo Gesualdo Avellino | 5 aprile, h 10.00
Vorno (Lucca), SPE, Festival Assemblaggi Provvisori | 10 aprile, h 19.00
Milano, TEATRO RINGHIERA ATIR, Festival Queer | 14 aprile, h 20.00
Genova, Teatro della Tosse | 4 maggio

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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