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Il “ritorno al futuro” nel festival dell’Associazione Être

L’associazione Être di Brescia e il Festival Ritorno al futuro: una panoramica della manifestazione.

 

Foto Giulia Biletta
Gradi Kaelvin. Foto Giulia Biletta

“Ritorno al Futuro”, espressione contraddittoria che invita a riappropriarsi di qualcosa che non c’è ancora, che si perde non appena viene ottenuto, il movimento verso l’avvenire si fa in sé impossibile, destinato al completo fallimento. Vi è tuttavia un altro modo di interpretare l’espressione, in un’accezione etico-politica. “Tornare al futuro” può riguardare il diritto di formulare dei progetti a lungo termine, di costruire qualcosa che duri nel tempo, invece che arrendersi alle richieste (spesso cieche e infruttuose) dell’oggi. È questa sottaciuta interpretazione ad aver ispirato il programma del festival Ritorno al Futuro di Brescia (21-23 maggio 2015) della Associazione Être, dove sei compagnie teatrali di area lombarda hanno potuto presentare i propri lavori con il sostegno di alcune compagnie radicate sul territorio. L’intento è insomma eminentemente pratico: dare un’opportunità e una continuità al lavoro di questi gruppi di artisti emergenti. Eppure i sei spettacoli ospitati nel festival hanno comunicato qualcosa di più importante del legittimo bisogno di proseguire nel tempo le proprie ricerche artistiche.

Un filo conduttore potrebbe consistere nell’idea che il nostro futuro – inteso genericamente come la nostra libera capacità di progettare, sognare un avvenire, aspirare a qualcosa che non sia stato da tempo programmato e che è invece nella nostra immediata vicinanza – ci è stato in un qualche modo sottratto, o almeno ce lo stiamo negando coscientemente, dietro la spinta di paure interiori e influenze esterne.

La mia gamba sinistra. Foto Giulia BIletta
La mia gamba sinistra. Foto Giulia BIletta

Il primo spettacolo e il più diretto è La mia gamba sinistra di Raffaella Agate, che racconta la vicenda di Laura Bestetti, figlia di una rappresentante di uno studio legale da tempo destinata ed educata a percorrere una brillante carriera nell’avvocatura. La sua postura composta, il viso sempre sorridente e il linguaggio continuamente controllato tanto da svolgersi spesso in rima sono spettri di autorità materna, salvo quando attraverso la sua gamba sinistra filtrano le pulsioni più nascoste e segrete spingendola verso tutt’altra direzione. Si assiste così a una lotta tra il tentativo di lavorare e il desiderio represso di abbandonare tutto per la danza. La gamba porta lentamente a distruggere l’aura di rispettabilità finora creata e induce Laura a ballare in piena notte, a sporcare la veste di ordinanza di sudore e di terra, a denudarsi, a fantasticare rapporti erotici e tournée nel mondo. Ma il ritorno all’ordine prenderà alla fine il sopravvento, e la gamba verrà immobilizzata con un’asta di ferro, per non indurre più la ragazza a tentazioni sconvenienti.

Di atmosfera più rarefatta che affronta altrettanto seriamente il tema della sottrazione del futuro, è il Tristissimo di C&C Company (Carlo Massari, Chiara Taviani). Mentre fuori imperversa una guerra che porterà alla distruzione dell’umanità (per evocare la quale, Massari e Taviani fanno ricorso all’Opera del Tristano e Isotta di Wagner) un uomo e una donna restano al chiuso senza partecipare alla battaglia. Ma la coppia protagonista invece di litigare con le parole, come il Delirio a due di Ionesco da cui pur sembra trarre ispirazione, si abbandona a una muta schermaglia di danza per sopportare quanto più è possibile la malinconia, rappresentata sulla scena dalla capigliatura bionda dei due danzatori, che ora viene trascinata a terra, ora si attorciglia in un grande grumo  o su se stessa rendendo difficile ogni movimento. E noi, che viviamo oppressi da un senso di malinconia analoga, noi ci troviamo in prossimità della fine e senza più alcun futuro innanzi, ogni nostra azione è in fondo il tentativo infruttuoso di scacciare la depressione generalizzata.

Foto Giulia Biletta
Tristissimo. Foto Giulia Biletta

La morte del tempo è il tema principale di Gradi Kaelvin della compagnia Luilebaciò , espresso con brevi azioni sceniche ispirate ora dal grande “universo freddo” della fisica quantistica ora dagli ironici commenti di necrologi pubblicati su Facebook. Si tratta forse del lavoro più concettuale tra quelli visti presentando, più che una drammaturgia serrata e compiuta, un insieme di frammenti sostenuti da un’idea comune, provvisti di una loro unitarietà capace ugualmente di esprimere le conseguenze della perduta linearità del tempo. Quando il tempo muore non ha più senso ricercare una consequenzialità di passato, presente e futuro perché si può solo assistere a qualche fluttuazione casuale della materia o della coscienza, ciascuna isolata da un insieme di riferimento.
Altri tre sono stati gli spettacoli ospiti del festival: Di A Da della compagnia CampoverdeOttolini, recensito su queste stesse pagine, Senso di PietraTeatro e la riscrittura de La bottega del caffè di Goldoni ad opera de La Confraternita del Chianti. I tre lavori non sono del tutto attraversati dal filo conduttore finora delineato, ma in un certo qual modo la loro stessa attività può essere considerata un tentativo di riscattare il futuro, affrontando altre tematiche. Ogni artista tenta in fondo di scuotere gli uomini da paure e incertezze, preparandoli ad assumere un atteggiamento di serena audacia verso l’avvenire, pur non dichiarandolo spesso esplicitamente. L’arte è per sua natura rassicurante e rivitalizzante, perché esercita un influsso sulle parti migliori dell’anima anche quando le sconvolge profondamente.

Enrico Piergiacomi
Twitter @Democriteo

Visti a Spazio Teatro Idra e Teatro Santa Chiara-Mina Mezzadri, Brescia, maggio 2015

LA MIA GAMBA SINISTRA
di Raffaella Agate

TRISTISSIMO
di C&C Company

GRADI KÆLVIN
di Compagnia Luilebaciò

DI A DA
di Compagnia CampoverdeOttolini

LA BOTTEGA DEL CAFFÈ
di La Confraternita del Chianti

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