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HomeArticoliCappuccio e l'eredità di Shakespea, re di fuoco e non d'acqua.

Cappuccio e l’eredità di Shakespea, re di fuoco e non d’acqua.

Ruggero Cappuccio scrive e dirige Shakespea Re di Napoli al Teatro dei Conciatori con Claudio Di Palma e Ciro Damiano. Recensione.

Foto Ufficio Stampa
Foto Ufficio Stampa

Came there for cure, and this by that I prove / Love’s fire heats water, water cools not love. Quando Ruggero Cappuccio nel 1994 scrisse e diresse (presentandolo al Festival di Santarcangelo dei Teatri e ora, dopo 21 anni di tournee, lo ritroviamo con gli stessi attori al Teatro dei Conciatori) il suo Shakespea Re di Napoli aveva bene in mente gli ultimi versi del sonetto 154 del Bardo di Stratford-Upon-Avon. «Andai lì per una cura, e questo lo posso provare». Così racconta un personaggio allo stremo delle sue forze, il cui nome non a caso è Desiderio, sfiancato da un naufragio (reale e metaforico), le cui testimonianze sono contenute in un pesante baule al centro della scena: delle lettere impregnate d’acqua. In questo istante di storia ambientato nella barocca Napoli dei primi Seicento in un’atmosfera caravaggesca, tra i costumi a brandelli  e una scena scarna (entrambi di Carlo Poggioli), una curva di luce (a cura di Giovanna Venzi) illumina Desiderio, naufragato venti anni fa per l’amore del teatro di Shakespeare e rinaufragato ora, sembra aver poche ore di vita. La sua storia è segnata: ha già incontrato il compagno di una volta, abbandonato all’improvviso e all’improvviso, dopo anni, a lui riapparso; gli ha già chiesto qualcosa di vitalissimo – anche se chi è rimasto non può capire – recarsi alla reggia del viceré e scoprire se qualcosa è stato recapitato. Zoroastro, attoruncolo che per sopravvivere alla perdita della sua spalla si è dovuto arrangiare facendo il mariuolo, il ciarlatano, imbonitore di improbabili pozioni d’amore (mestieracci, quelli, che si facevano per sopravvivere), si spende per lui, riprende i panni della finzione, comico nei suoi fianchi esagerati da donna, timidi seni su due piccole arance. Come se fosse teatro, finge ciò che non è, ma non comprende che farsa non è il dramma di quest’uomo, il cui «fuoco d’amore» ne ha riscaldati i fluidi corporei tanto da renderlo madido di sudore e febbre. Cosa deve provare Desiderio? D’esser stato davvero al fianco di quell’uomo il cui nome ha la sua stessa radice, will, desiderio, potenzialità, volontà, ritrovando il quadro commissionato da Shakespeare che lo ritrarrebbe con abiti femminili, una prova che dimostri non la finzione del teatro ma la verità della sua avventura.

ufficio stampaCosì Zoroastro e Desiderio sono le due facce della proteiforme medaglia teatrale; il mestiere e la passione, la ragione del sopravvivere e il sopravvivere a stento inglobato dal fuoco che non si spegne; ecco ciò che racconta Cappuccio (il cui testo è pubblicato presso Einaudi) nella barocca musicalità di un fitto napoletano di farfugliamenti e sublimità, che come la “langua d’Angleterra” prima si canta a memoria senza coglierne il significato per poi afferrarne lentamente il senso. La lingua di Shakespeare come quella di Napoli che «mischia il teatro intra lu sang’», è tensione tanto all’altezza quanto alle profondità, incarnata da due attori con voce e corpo in un’ interpretazione densissima che non necessita della didascalia musicale per toccare le nostre corde. Mentre Zoroà è cinico, pensa al cibo, è pieno di superstizioni, la sua controparte reale, Ciro Damiano, si rivela gentile, comprensivo nei confronti di Desidè (il tormentato Claudio Di Palma), per il quale il “teatro è maestro di bugia” ma che  finirà per ricadere nella sua stessa trappola. La maschera che indossa è un omaggio a quella che poteva essere “la professione”, non ricalca (fortunatamente, diremmo) gli abusati stilemi “da Commedia dell’Arte”, che vorrebbero dire tutto ma dicono poco; sulla scena è rimasto il ricordo; l’immagine ricercata in una cornice non è pittura, non è più finzione, è il corpo – del desiderio, di Desiderio – naufragato, morto ma non invano perché, lo diciamo oggi in un’epoca in cui 900 morti sembrano non destare più pietà, «l’acqua non raffredda l’amore».

Viviana Raciti
Twitter @viviana_raciti

Visto al Teatro dei Conciatori – Aprile 2015

Teatro Segreto presenta
SHAKESPEA RE DI NAPOLI
composto e diretto da Ruggero Cappuccio
con Claudio Di Palma e Ciro Damiano
musiche Paolo Vivaldi
scene e costumi Carlo Poggioli
luci Giovanna Venzi
aiuto regia Nadia Baldi

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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