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Luigi Lo Cascio porta Otello sulla Luna

Luigi Lo Cascio con Otello al Teatro Metastasio di Prato. Recensione

otello lo cascio
Foto Ufficio Stampa

Desdemona non muore più per la folle gelosia di Otello: questa può essere oggi soltanto la sterile giustificazione del colpevole, o il movente su cui dibattere nei talk show. Desdemona muore, ogni giorno e in ogni parte del mondo, semplicemente perché è donna. «’Unn’è la gilusia la so’ ossessioni», afferma risoluto un soldato nello splendido Otello riscritto in siciliano da Luigi Lo Cascio, quasi a negare importanza al «mostru cull’occhi virdi»; non lo spettro del tradimento con Cassio determina le azioni del condottiero, ma una primordiale e violenta incapacità di comprendere l’alterità femminile. Soltanto l’«onestu Iago» sembra possedere un’icastica teoria sulle donne, alla luce della quale le sue azioni acquisiscono un drammatico senso: quella per cui «i fimmini su’ tutti buttani».

Se non si trattasse di un aggettivo abusato e svilito, si sosterrebbe qui che questo Otello costituisce una brillante versione “femminista” del dramma shakespeariano, ma si preferisce ricorrere a un forestierismo, preso in prestito da una cultura più attenta alle tematiche di genere: si affermerà quindi che l’operazione di Lo Cascio — che ritaglia per sé anche il ruolo di regista e interprete di Iago — è gender-oriented. Unica donna in scena, la Desdemona di Valentina Cenni è ritratta come una moderna guerriera, alla quale non si confanno sontuosi abiti ma vestiti comodi, una ragazza talmente affascinata dal mestiere delle armi al punto di chiedere a Otello di impartirle un’educazione militare. Eppure tutto ciò non fa di lei un’invincibile virago, quanto piuttosto una vittima sacrificale, che va incontro al suo destino come è richiesto a qualsiasi soldato. Il tentativo di celare sotto gesti marziali la propria femminilità sarebbe comunque risultato inane: perché è parlando che la donna rivela un’incommensurabile diversità. Desdemona è infatti l’unico personaggio a esprimersi in italiano: e il ricorso al dialetto in questa variazione sull’opera del Bardo non rappresenta di conseguenza solo una scelta stilistica, ma anche una soluzione per evidenziare un’insanabile distanza tra i sessi. Le tradizionali implicazioni razziali sono assenti, sostituite da quelle di genere: il colore della pelle di Otello è un elemento irrilevante di fronte al ben più cogente isolamento linguistico al quale è condannata la “straniera” Desdemona, a sottolineare che «a cosa ‘mpurtanti ca ‘i fa diversi e pi sempri luntani è ch’unu è masculu mentre l’autra è fimmina».

otello lo cascio
Foto Ufficio Stampa

Quattro sono i personaggi necessari a Lo Cascio in questa versione: ai tre protagonisti si aggiunge infatti un narratore senza nome — interpretato da Giovanni Calcagno — che come un corifeo si rivolge inizialmente a Iago per poi, in una torsione extradiegetica, commentare quanto avviene sul palcoscenico. I piani temporali e le convenzioni narrative si sfaldano: l’addio alla vita di Desdemona è anteposto alla notte del suo assassinio, lo spettacolo è aperto dai primi scoppi di cieca brutalità di Otello, e la descrizione del suo fazzoletto — pegno d’amore per l’amata di cui nell’originale si rivela la provenienza soltanto a metà del terzo atto — funge qui da prologo all’intera vicenda. Quel brandello di stoffa ricamata, ricevuto in dono dalla madre, compare sul palcoscenico del Teatro Metastasio di Prato all’apertura del sipario: un grande lenzuolo bianco sul quale vengono proiettate, nel buio più assoluto, stilizzate immagini in bianco e nero, mentre la voce di Otello ne narra la magica storia e il presagio di sventura che esso sembra comportare. L’oscurità è quasi soffocante, e solo deboli fasci di luce accompagnano spettatori e attori in un gorgo senza vie di uscita: Iago stesso entra in scena attraversando la platea legato a una corda come a un fato, e i pochi movimenti concessi ai personaggi sono quelli rituali dei combattimenti, o quelli forsennati della follia. È una staticità che riflette una schiavitù dei ruoli e delle convenzioni a cui tutti sembrano essere soggiogati — «a dannazioni è cumuni distinu», afferma Iago — e che si sposa a un impianto scenografico minimale, composto da sedie e pianali.

Al resto ci pensano le parole: perché è nelle parole di Iago che si nasconde il veleno mortale, è soltanto con le parole che un’inarrestabile scia di sangue ha inizio. E le parole di Vincenzo Pirrotta, in un’intensa interpretazione, risuonano di vibrante potenza anche in un orecchio poco capace di comprenderne il significato: il suo Otello è il risultato di un vertiginoso corpo a corpo con il testo, al quale dona una fisicità dirompente che lascia tuttavia spazio a toni più trasognati nell’originalissimo finale. Non con la morte di Desdemona chiude infatti Lo Cascio questo Otello, ma con una suggestiva citazione ariostesca: in un palcoscenico spoglio, una gigantesca Luna proiettata sul fondale accoglie Otello e il soldato giunti lì a cavallo di un ippogrifo. Sulla Luna si trovano, tra le cose perdute, «l’anima di tutti i fimmini ammazzati ntà terra»: recuperarla sarà forse impossibile, eppure proprio quel viaggio potrà rivelare a Otello qualcosa della straniera, e sconosciuta, natura muliebre. Resta però l’atroce dubbio, questo sì femminista, che sia stata proprio l’esaltazione di una supposta specificità femminile a relegare nei secoli Desdemona, e le donne, a posizioni perennemente subalterne.

Alessandro Iachino

Teatro Metastasio, Prato – Marzo 2015

OTELLO
di Luigi Lo Cascio
liberamente ispirato all’Otello di William Shakespeare
regia Luigi Lo Cascio
scenografia, costumi e animazioni Nicola Console e Alice Mangano
musiche Andrea Rocca
luci Pasquale Mari
con Vincenzo Pirrotta Luigi Lo Cascio, Valentina Cenni, Giovanni Calcagno
produzione Teatro Stabile di Catania

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Alessandro Iachino
Alessandro Iachino
Alessandro Iachino dopo la maturità scientifica si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze. Dal 2007 lavora stabilmente per fondazioni lirico-sinfoniche e centri di produzione teatrale, occupandosi di promozione e comunicazione. Nel novembre 2014 partecipa al workshop di visione e scrittura critica TeatroeCriticaLAB tenuto da Simone Nebbia e Andrea Pocosgnich nell’ambito della IX edizione di ZOOM Festival, al termine del quale inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica. Ha partecipato inoltre al laboratorio Social Media Strategies for Drama Review, diretto da Andrea Porcheddu e Anna Pérez Pagès per Biennale College ‑ Teatro 2015, e ha collaborato con Roberta Ferraresi alla conduzione del workshop di critica della Biennale College ‑ Teatro 2017. È stato membro della commissione di esperti del progetto (In)Generazione promosso da Fondazione Fabbrica Europa, ed è tutor del progetto Casateatro a cura di Murmuris e Unicoop Firenze.

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