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Romeo e Giulietta di Gigi Proietti tra jeans e mantelli

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Foto Globe Theatre via Facebook
foto Globe Theatre via Facebook

La più conosciuta tra le storie d’amore ritorna al Globe Theatre di Villa Borghese esattamente dieci anni dopo la messinscena che ne inaugurava la costruzione voluta da Gigi Proietti, resa possibile dalla Fondazione Silvano Toti. Ora come allora la regia di Romeo e Giulietta è affidata al mattatore romano, il quale afferma di aver voluto affrontare nuovamente la storia dei Capuleti e Montecchi alla ricerca di strade meno battute rispetto la versione precedente.
Il testo shakespeariano rimane pressoché intatto, ma la volontà di cambiamento è evidentemente alla base dell’intero lavoro; tra gli obiettivi il superamento di quella sfida che sempre si presenta quando si affronta un classico tanto rappresentato quanto la tragedia dei due innamorati veronesi. Non è la novità a tutti i costi quella ricercata, quanto il tentativo di conferire, attraverso il filtro moderno, una freschezza difficile da ricreare all’interno di un linguaggio denso e complesso come quello del Bardo.
Il vuoto palco dal terrazzo di legno – una caratteristica dei teatri elisabettiani cui la versione romana si rifà – risuona delle parole del prologo: “alla nostra mancanza cercherete di supplire”, chiede Shakespeare, e chiede anche Proietti cui appartiene la voce fuori campo. Proprio quel chiamare in causa gli spettatori sembra rispecchiarsi nell’arrivo dei primi due personaggi vestiti come la platea – pienissima, sempre sold out – da cui provengono. La vicinanza all’epoca odierna, fatta di All Stars, rap e slang da strada si ritrova negli atteggiamenti di tutta la compagnia di Romeo, come nella scelta – in questo caso poco incisiva a dire il vero – di presentare una Giulietta che canta e suona un pop melodico al suo primo ingresso.

foto Globe Theatre via Facebook
foto Globe Theatre via Facebook

Come corrente sotterranea, gli atteggiamenti di comuni ragazzi di oggi ben si applicano all’atmosfera, per cui mentre Romeo è quasi un personaggio fuori posto, poeta triste e innamorato nerd dalla camicia a scacchi, spicca la vitalità e la scioltezza di Mercuzio, che per ruolo e indole si conferma il leader della combriccola.
La festa dei Capuleti offre l’escamotage per tuffarsi in un’idea di passato: è agile il passaggio dal jeans al mantello, regala spunti interessanti che, a partire da quella condizione di gioco, caratterizzano e arricchiscono l’interpretazione: si ride dell’imbarazzo, si esplicitano i dubbi, si motiva l’audacia; e tuttavia il cambiamento ne risente, e quel sottotesto di quotidianità non sempre riesce a supportare il dispiegamento del testo, che in più di un’occasione risulta affaticato. Contrariamente ai caratteristici cinque atti, la regia di Proietti vive così uno sbilanciamento che solo in parte è colmato. Se la strada del riadattamento funziona nelle situazioni di gruppo che si muovono come corpo unico e coeso, essa rischia di perdere quella vicinanza  in situazioni più intime, là dove l’acerbità degli attori, che pure rispecchia l’età anagrafica dei personaggi, solo a volte è supportata da una sufficiente dovizia tecnica. Ciò che d’interessante scaturiva dall’attualizzazione dei rapporti tra i vari personaggi non sempre viene ritrovato nei quattro atti successivi, con alcune buone eccezioni tra le quali l’atteggiamento della Balia, che raggiunge delle corde interessanti nel suo essere bruta e materna allo stesso tempo.
Dal mantello non si tornerà più al jeans: i restanti atti mostrano un approccio più classico per le situazioni e per il testo; l’attuale passa in sordina, in un certo senso viene quasi dimenticato, relegato più alla trovata – al coup de théâtre degli invitati che in abito lungo e mascherina ondeggiano la testa sulle note di Video killed The radio star – che a un’estetica precisa, finendo per non appartenere né alla fedele riproduzione né alla rivisitazione. Forse proprio in questa non circolarità, in questa possibilità mancata di giocare continuamente dentro e fuori dal mondo di Romeo e Giulietta, tra l’adesione e lo sguardo critico, tra testo e sottotesto, risiede il limite della messinscena.

Viviana Raciti

ROMEO E GIULIETTA
in scena fino all’11 agosto
Visto al Silvano Toti Globe Teatre, Roma, luglio 2013
Regia Gigi Proietti
Con Fausto Cabra, Mimosa Campironi, Francesca Ciocchetti, Martino Duane, Diego Facciotti, Gianluigi Fogacci, Robert Mantovani, Loredana Piedimonte, Guglielmo Poggi, Raffaele Proietti, Tommaso Ramenghi, Matteo VIgnati, Nicola Adobati, Lara Blbo, Lorenzo Grilli, Nev aLeoni, Lorenzo Lucchetti, MAtteo Milani, Francesco Mastroianni, Sebastian Morosini, Valeria Palma, Stefano Patti, Matteo Prosperi, Simone Ruggiero
Regista assistente Loredana Scaramella
Costumi Maria Filippi
assistente ai costumi Giulia Mariotti
Scene Fabiana Di Marco
Contributi musicali Roberto Giglio
Disegno luci Umile Vainieri
Progetto fonico Franco Patimo
Movimenti di scena Alberto Bellandi
Casting Loredana Scaramella

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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