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Osservare un sogno che muore

foto di Futura Tittaferrante
foto di Futura Tittaferrante

Chiudere, terminare, annichilire, fare a brandelli, come lasciar calare un oblio prolisso. Scrollarsi di dosso le ceneri di un cuore ormai silente, scrutare in che modo muoia per soppressione l’alchimia, dilaniata nella negazione, annientata dalla scissione della carne. Perché l’amore è un corpo: unico, perfetto, concluso, autosufficiente; perché la passione è anima strappata a vene pulsanti, odore posseduto di pelle altrui, traccia di rogo nella terra dello spirito e in quanto tale galera e croce, oncogenesi della dannazione, rompicapo dell’esaurimento quando si pensa di dover scrivere il suo capitolo ultimo.
Clôture de l’amour, in scena al Teatro Vascello di Roma, è narrazione esplicita di un decesso, una cosa tanto semplice eppure così complessa come solo la fine di una relazione tra uomo e donna può apparire a volte. Il palcoscenico diviene microcosmo autoptico del cadavere di un sentimento, stanza di concrezione palesata per le insofferenze, gli avvilimenti, le incertezze e gli slanci spenti che conducono i due protagonisti a separare le proprie esistenze. Il testo e la regia sono di Pascal Rambert e hanno sin’ora conosciuto adattamenti e traduzioni in otto lingue differenti, valendo al suo autore il Gran Premio della Letteratura Drammatica in Francia.

Lo spettacolo è uno spaccato nettamente diviso a metà tra due monologhi lunghissimi, la cui cesura è segnata dall’ironica irruzione di un coro di bambini che cantano Bella di Jovanotti. Nell’ambiente bianco – sala prove con due porte di quinte laterali – a iniziare è lui, un bravo e cosciente Luca Lazzareschi: argomenta e acclara passo dopo passo, stazione dopo stazione il percorso mentale che ha portato alla disaffezione, allo sfinimento emotivo descritto con estrema ricercatezza, rincorrendo motivazioni sempre più crude anche nel sarcasmo, quasi inseguendo l’edificazione di un processo del pensiero che accavalla i ricordi per ricompattarli secondo una logica inevitabilmente destinata a cessare.

foto di Futura Tittaferrante
foto di Futura Tittaferrante

Lei – Anna Della Rosa – resa inerme dal profluvio di quelle parole che sembrano non smettere d’arpionarle il petto, di volerle strappare dal ventre il segreto di quella condivisione, rimane ferma e la presenza muta, attonito granito e ascolto vigile della visceralità che si disgrega, cede solo a contrazioni chine del capo e delle spalle. Quando finalmente è la sua voce a farsi verbo pronunciato, il tono secco ottura gli spazi aperti delle reminescenze e risponde punto per punto, prendendo le cime di tutti i fili d’idee, di tutte le tappe, di tutto il fiele stillato dalle frasi udite. Le ricuce nell’ottica di una donna, di un’innamorata, di una compagna divenuta madre che si ritrova a osservare lo sfaldamento di un progetto, a realizzare che la complementarietà del “noi” o la presunzione di un “per sempre” si infrangono sull’empatia che manca già, come schegge di cristallo opacizzato.

La costruzione delle pièce è limpida, trasparente, di una chiarezza quasi geometrica, riconoscibile nella stesura drammatica prima ancora che nella strutturazione registica. La prosa è densa e corposa, padroneggiata con mano ferma. Demanda all’interpretazione la forza della sua resa, tutta l’efficacia sottesa a un lavoro di composizione che, se non potesse avvalersi di un sicuro e tangibile controllo attoriale, si rivolterebbe sullo spettacolo in senso assolutamente negativo. L’ingranaggio necessita di essere completo: l’armonizzazione di intenti e successiva concretizzazione fanno qui da ossatura imprescindibile di cui beneficiano la riuscita e l’incisività asciutta.

«Ti ho amato, coglione. Separarsi, bisogna lavorare, spero tu abbia una vita interiore», questa l’epigrafe incisa alla chiusura prima del calo delle luci. Inequivocabile, decisiva, amara come guardare un sogno ammazzato dalla banalità comune dei rapporti umani, come assistere impotenti alla pochezza meschina della vita che stupra l’eternità del desiderio.

Marianna Masselli

In scena al Teatro Vascello fino al 14 aprile

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CLÔTURE DE L’AMOUR
di Pascal Rambert
traduzione Bruna Filippi
con Anna Della Rosa, Luca Lazzareschi
regia Pascal Rambert

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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