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Garbuggino-Ventriglia. In Altre stanze per sognare a occhi aperti

Recensione di Altre stanze di Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia, in scena al Teatro Tordinona di Roma per la rassegna Entrature, curata da Tuttoteatro.com. 

foto di Simeone Ricci

Sogno, memoria, immagine poetica. Questo elenco potrebbe in parte descrivere il lavoro di Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia, duo artistico formatosi nel 2002 e attivo a Livorno attraverso oltre due decenni di strenua resistenza, di lotta per affermare l’essenzialità e insieme la potenza espressiva del teatro. Uno sforzo artistico paziente, che va in cerca degli spazi per sperimentare ricucendo testi classici, inventando rese sceniche crude ma gentili, alimentandosi con un’intensa attività di formazione sul territorio.

Tra memoria e sogno passa la stessa differenza che c’è tra scrivere e parlare. Lo sostiene Sigmund Freud, descrivendo il sogno come un rebus, un indovinello a figure: di fronte ad accostamenti astrusi e misteriosi mascheramenti bisognerebbe smettere di credere assurdi i frammenti lasciati, piuttosto «sostituire a ogni immagine una sillaba o una parola»: connettendo queste parole si abbandona la loro assurdità e si costituisce «la più bella e la più significativa frase poetica».
Nulla di psicanalitico arde nelle opere di Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia: le loro rarefatte atmosfere rinunciano a interpretare significati. Seguendo ancora Freud il sogno è visto come un apparato autonomo, una presentazione lacunosa come di «brandelli messi insieme», una lacerazione che è immagine senza soggetto, immagine in quanto se stessa, non più – né mai prima – controllabile.

foto di Simeone Ricci

Al Teatro Tordinona di Roma, per la rassegna Entrature curata da Tuttoteatro.com, abbiamo visto – o meglio siamo entrati in – Altre stanze, parte di una più ampia ricerca: navigando lungo le coste del malinconico archetipo del Don Chisciotte di Cervantes, la compagnia si spinge oltre in un’operazione di sottrazione drammaturgica che punta all’esegesi del frammento come imprevedibile cellula generatrice di una storia. Una storia mai davvero attuale, fantasmatica, composta sotto una spinta viscerale mescolando lacerti onirici e scritture depositate dalla forma romanzo o dalla letteratura teatrale.
In scena non c’è bisogno di nulla, fuorché di due sedie rimediate su piazza; gli abiti appariranno casuali, solo qua e là vi si appunteranno minimi accessori simbolici. Un estratto dal dialogo tra Amleto e Ofelia dato da Ventriglia – con un velo nuziale tirato indietro sulla faccia stranulata – termina in un solo di sax soprano suonato dallo stesso attore, che come un pifferaio richiama in scena Garbuggino. I due si scambieranno – senza mai guardarsi in faccia – un esercizio di ricordo e di racconto di sogni, appunto a metà tra scrittura e oralità: addormentarsi in uno scompartimento di treno è sufficiente a invertire l’ordine delle prospettive, a scambiare la spiaggia per il largo dell’oceano, il fondale per lo sfondo di nere montagne appuntite, mentre un’anziana viaggiatrice acquisterà il volto della madre del narratore. Per mezzo di una netta disciplina del corpo e di un chirurgico perimetrare dello sguardo, rara è la capacità di questi artisti nel farci visualizzare ogni particolare: quella “significativa frase poetica” ha il potere di materializzare i dettagli di un labirintico aggirarsi nel reame dell’immaginazione.

foto di Simeone Ricci

Di Don Chisciotte resta solo lo scolapasta indossato a guisa d’elmo da Garbuggino, che scaglia un’occhiata fissa alla platea, per poi eseguire un accenno di passo ispirato al lento procedere dell’esausto Ronzinante. Ma la presenza scenica di quest’attrice sempre tende a una sorta di animalità; ella è una creatura, ferma ma non granitica, pare Apollo l’Oscuro messo lì a vigilare il vuoto. A risultare sorprendente è poi la cura delle transizioni da una all’altra stanza, tra suoni diffusi che si mescolano al parlato e poi al soffio nello strumento, in una fluidità lattiginosa eppure piena di rigore. Vestendo un emblematico cappottone con collo di pelliccia, l’attrice consegna al microfono uno degl’incubi dell’assassino Raskol’nikov: scorrendo sulle note di Angelo Badalamenti per il Mulholland Drive di David Lynch, l’inquietante delirio estratto da Delitto e Castigo di Dostoevskij è reso con uno sguardo fisso e però vibrante da un’infallibile voce monotona che spinge al dormiveglia, convocando un unico gesto a congiungere lentamente le mani. L’attore comparirà a raccogliere il finale, incarnando con accento ischiano la vecchia usuraia, in uno spin-off parodico che ha il sapore delle squallide maschere popolari create da Danio Manfredini.

foto di Simeone Ricci

In questo viaggio in bilico tra veglia, sonno e sogno, i due non entrano mai veramente in dialogo; eppure pare impossibile scinderli: il corpo segaligno di Gaetano Ventriglia – le braccia lunghe e le enormi mani – vive della stessa energia di quello plastico e rigoroso di Silvia Garbuggino; gli occhi innocenti e brillanti di uno sono in asse con quelli gialli, liquidi e ipnotici dell’altra; la voce che qui strascica il rimando a una cadenza pugliese si accosta lì a un registro gutturale e trattenuto. È questo un esperimento sul crearsi e sul dissolversi delle più minute sensazioni e visioni, che esplora con grazia la fenomenologia delle immagini poetiche di cui si era occupato Gaston Bachelard. Proprio all’interno della casa il filosofo francese identificava alcuni «spazi felici» (il cassetto, l’angolo, il nido, il guscio) come dimore dell’esperienza e dell’immaginazione. L’immagine rappresenta sempre una novità, sfugge a qualsiasi classificazione o schema prefissato; nel momento in cui viene creata dal poeta o colta dal lettore, è un atto nuovo che non può essere spiegato solo tramite antecedenti psicologici, associazioni di idee od origini biografiche. È un’esplosione, un’istantaneità della coscienza.
È qui possibile riconoscere una messa in corpo dei meccanismi rivelati da Bachelard: le stanze sono abitate da due “über-personaggi” che si sfiorano senza vedersi, osservando una veduta di mondo delle idee estremamente concreta, con il puro gusto che sta nel travisare ogni segno, osservandone il disfarsi.
E solo il teatro – questo teatro – può riuscire a figurarlo.

Sergio Lo Gatto

Visto al Teatro Tordinona, Roma (Rassegna Entrature), settembre 2025.

ALTRE STANZE
di e con Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto, PhD è giornalista, critico teatrale e docente universitario. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Ha insegnato all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e insegna al Master di Critica giornalistica e di Drammaturgia dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con Rai Radio3, dove cura e conduce la trasmissione "Teatri in Prova". Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per La Falena, Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha partecipato e curato diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove ha diretto la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013), oltre a diversi saggi e articoli scientifici su teatro e arti performative.

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