HomeCordelia - le RecensioniIL GIARDINO DELLE ESPERIDI FESTIVAL

IL GIARDINO DELLE ESPERIDI FESTIVAL

Questa recensione fa parte di Cordelia di luglio-agosto 25

Foto pagina Facebook Giardino delle Esperidi Festival

C’è una residenza al centro, su una piccola piana in mezzo ai monti, attorno c’è la natura diffusa e generosa della Brianza che diventa, per due settimane ormai da ventuno estati, luogo dell’arte. È qui a Campsirago che si svolge Il Giardino delle Esperidi Festival, azione permeabile tra umano e montano, discesa dell’uno tra le pieghe, le cavità dell’altro. Michele Losi, direttore artistico, gira con un bastone, simbolo del passaggio di tempo e spazio tra i sentieri di montagna. E l’arte si muove allo stesso modo, attraversa luoghi e così scandisce momenti, affronta l’alba e il tramonto, il giorno e la notte, scendendo ogni volta a patti con la condizione che la natura offre e ci si innerva dentro, nel silenzio magniloquente dell’ampiezza. Spettacoli di teatro o danza, performance site specific, attendono che lo spazio e il tempo permettano l’unione, perché sia assoluta la compenetrazione tra due opposti intendimenti della vita, tra ciò che resta – la natura – e ciò che non resta mai – l’arte. In questa edizione, scrive Losi, il nucleo di indagine principale è la transizione, dunque quello scambio tra un tempo e l’altro che conduce l’alba nel meriggio e poi nel tramonto, finché la notte non produca una nuova alba. Sono questi i momenti – dunque scansioni di tempo – che suggeriscono l’orientamento, ossia il cambiamento nello spazio. È proprio qui che la connessione tra umano e naturale si compie nella sua totalità, quando l’attraversamento del luogo è definito da apparizioni performative che delimitano una durata; poche parole pronuncia il monaco Zen, il giapponese Seigaku, che ha guidato il cammino rituale dall’alba al tramonto nel paesaggio, alla ricerca dei sette Chakra della montagna, ma in quelle frasi è raccolta l’energia di tempo e spazio: “Ogni passo è un dojo”, ogni passo è una dimora, potremmo tradurre, un luogo raggiunto e fatto proprio, un luogo che condensa in sé tutti i luoghi del mondo, il punto più avanti di tutti nel proprio cammino, che prende il nome di vita. (Simone Nebbia)

recensioni

DJ SHOW TWENTYSOMETHING EDITION STUDIO (Sotterraneo)

Ma questo giornale scrive anche dei dj set? Ma che c’entra col teatro, la danza, la performance? Eh, dipende. Perché se a fare un dj set è il Sotterraneo, in occasione del ventennale della compagnia fondata appunto nel 2005, allora il discorso cambia e pure tanto. Con ordine, siamo a Campsirago al Giardino delle Esperidi Festival. Fino a qui tutto ok. Lì dove ci si aspetta qualcosa di intimo in mezzo alla natura dei monti brianzoli. E invece poi arriva la sera e la foresta scoppia sotto le casse del Sotterraneo. Ma veramente si balla? Certo che si balla, perché l’eco di tutto ciò che accade nel mondo è proprio nel ballo che si stempera, in ogni epoca seguendo mode diverse la pista è sempre stata piena di generazioni scalmanate e desiderose di leggerezza. Bene, questo sta scritto pure nei sussidiari. Ma il Sotterraneo – idea e regia di Sara Bonaventura, Claudio Cirri, entrambi anche in pista, anche se qui c’è Lorenza Guerrini, Daniele Villa cui tocca la scrittura e anche la consolle, con Marco Santambrogio alle luci – con questo Dj show Twentysomething Edition utilizza un compleanno per attraversare la storia a partire dagli anni Sessanta, cioè dall’epoca in cui l’aggregazione del divertimento, la ricerca di quella evasione dai problemi, ha generato un progressivo disinteresse dalle questioni del mondo, sempre meno visibili, o udibili, tra i decibel prodotti dalle casse in diffusione. Le voci (magnifici in scena Cirri e Guerrini), immerse nelle nebbie di fumo e nelle onde di luci della disco dance, guidano tra le hit di epoche diverse innervando in esse pensieri e ansie di ogni tempo (e questo, soprattutto), discorsi multiformi, stralci filosofici, catastrofi naturali o depravazioni dis-umane, compiono cioè lo sforzo di tenere insieme leggerezza e complessità senza rinunciare né all’una né all’altra, stimolando a una domanda sopra tutte le altre: si può fare cultura intellettuale attraverso un dj set? Siamo pronti ad accogliere entrambe le forme – il divertimento e l’impegno – contemporaneamente? Per saperlo bisogna immergersi in quella nebbia, lasciar andare e lasciar entrare, in un tempo solo, il dovere morale della conoscenza e la spinta mordente alla sua dispersione. (Simone Nebbia)

Visto a Il Giardino delle Esperidi Festival. Crediti: creazione Sotterraneo; ideazione e regia Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Daniele Villa; con Sara Bonaventura, Claudio Cirri; scrittura Daniele Villa; sound design Simone Arganini, Mattia Tuliozi; luci Marco Santambrogio; sartoria Francesca Leoni, Sara Ottanelli; produzione Sotterraneo

UN PO’ MENO FANTASMA (Kronoteatro)

Raggomitolato a centro scena, Marcello aspetta di narrare la sua storia. E ciò è già determinante: questo personaggio delicato, nascosto nella propria fragilità, entra a contatto con il mondo attorno attraverso uno schermo protettivo che tuttavia, invece di preservarlo, lo espone; il contatto con altri umani non può che essere strampalato, preferendo la compagnia di chi rappresenta l’eccezione, mai la norma. Mediato è dunque l’approccio al mondo di Marcello, che vive nel corpo di Tommaso Bianco e nella penna di Tommaso Cheli e Francesca Sarteanesi, che cura anche la regia di questo Un po’ meno fantasma, con Kronoteatro per Il Giardino delle Esperidi Festival. Compresso nel buio attorno, il suo monologo vive nel costume rossoazzurro piumato, istrionico – di Rebecca Ihle – che lo avvolge, è quasi un supereroe di poche minuscole parole, un suberoe, si direbbe; per l’intero racconto se ne resta fermo, immobile a considerare la vita da un angolo di osservazione laterale, il suo punto di vista emerge come considerazione fuori sincrono, spesso fagocitata dalla prepotenza delle idee altrui. Sarteanesi e Cheli confermano una particolare vocazione nel racconto di storie nascoste o, più precisamente, nel racconto delle persone che in quelle storie stanno dentro; il talento di raccogliere piccoli elementi per mettere a fuoco i caratteri di un personaggio ben si accorda con l’interpretazione geometrica e controllata di Bianco, capace di mantenersi dentro Marcello con una cura e un’eleganza sorprendenti. A spezzare quella linearità che potrebbe apparire monotona, lo spettacolo è invece divertente e vivace nel dinamismo dei personaggi incontrati da Marcello, ognuno dei quali consegna, in dialetti sempre diversi, energici consigli che tuttavia il nostro lascia posare; sembra subire le azioni, quando non le reazioni, degli altri, sembra restare fermo mentre attorno le cose continuano a muoversi, ma Marcello sta solo rispettando la propria natura che gli altri non vedono, lo incitano a volare alto ma lui si sottrae, le sue ali sono minute, ma ci vuole talento anche a volare basso. (Simone Nebbia)

Visto a Il Giardino delle Esperidi Festival. Crediti: Terzo capitolo del progetto triennale La libertà dei ciottoli; ideazione Tommaso Cheli; drammaturgia Tommaso Cheli e Francesca Sarteanesi; regia Francesca Sarteanesi; con Tommaso Bianco; scene e costumi Rebecca Ihle; responsabile tecnico Alex Nesti; supervisione progetto Maurizio Sguotti; produzione Kronoteatro; coproduzione Teatro Nazionale di Genova; con il sostegno di PimOff, Spazio ZUT!, L’arboreto/Teatro Dimora, Teatro Moderno di Agliana, Gli Scarti/Fuori Luogo

BARBABLÙ (regia Michele Losi)

Quando si dice il nome di Barbablù ci si mette paura, perché nell’immaginario che la storia consegna alla percezione, nelle varie versioni e fra tutte la più nota di Perrault, il personaggio porta un carico simbolico di grande effetto che riverbera la sua figura nell’assolutezza del male. Proprio per questo è oggi così utilizzato – ne è un esempio la campagna del gruppo Amleta dedicata alle violenze di genere nel mondo dell’arte scenica: Apriamo le stanze di Barbablù – per evidenziare il rapporto tra vittima e carnefice e così sensibilizzare su una piaga di crescente entità, nella società civile contemporanea. Nello spettacolo di Campsirago Residenza, diretto da Michele Losi sulla drammaturgia di Sofia Bolognini, la figura di Barbablù è in realtà un accenno esteriore, perché la narrazione si concentra su due testimoni, due fratelli, che conducono con la loro narrazione in tante stanze di diversi Barbablù, evidenziando proprio come il segreto, la natura silente della violenza, non faccia altro che amplificarla, renderla vasta, estrema. Due sulla scena, Benedetta Brambilla e Sebastiano Sicurezza, due parti di palco speculari delimitano le due testimonianze, tra il maschile e il femminile; un mangianastri spande musica da ballo e parti parlate, un microfono diffonde attraverso le loro voci concetti chiave come l’evocazione del trauma, la crudeltà, l’identificazione impossibile e vaga dell’Uomo Nero, la taciuta efferatezza della violenza domestica, la relazione avvelenata di preda e predatore, il destino di vittime che restano marchiate dal male. Due tendaggi di tessuto jeans definiscono le quinte dello spazio scenico, che poi compone stracci di vario taglio ad accumularsi sul palco. Solo in parte la tensione su cui si insiste rimane fedele lungo l’intero spettacolo, la narrazione per frammenti se da un lato permette un ritmo leggero, di contro concede molto in compattezza, così che la storia risulta essere meno fluida e forte. Tanti Barbablù per un male totale, un fucile da cacciatore è pericoloso solo se c’è l’umano a sparare: fosse dunque che dove c’è l’essere umano non può non esserci il male? (Simone Nebbia)

Visto a Il Giardino delle Esperidi Festival. Crediti: regia Michele Losi; in scena Benedetta Brambilla e Sebastiano Sicurezza; drammaturgia Sofia Bolognini; scene e costumi Michele Losi e Annalisa Limonta; suono Luca Maria Baldini e Stefano Pirovano; luci Stefano Pirovano e Alessandro Bigatti; foto Alvise Crovato; video Luana Giardino; illustrazione Nina Losi; produzione di Campsirago Residenza

Cordelia, luglio-agosto 2025

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Bipiani all’Infinito. L’oro di Ponticelli

Ai Bipiani di Ponticelli in scena ancora un movimento del progetto #Foodistribution dal titolo Infinito ∞ / La foglia d’oro, curato da Manovalanza Teatro...