Favola di Cì è un esperimento interessante: uno spettacolo dedicato alle nuove generazioni realizzato con i detenuti attori della Casa circondariale Villa Andreino di La Spezia. Con la regia di Enrico Casale è andato in scena a Sarzana per il Festival della Mente. Recensione

Durante l’infanzia capita un po’ a tutti di ascoltare favole, trarre da questi brevi racconti segnali e significati che ritroviamo poi nelle occasioni quotidiane, trasformate in altre e più leggibili occasioni; grazie a questa raffigurazione del reale, che investe nell’ordinario i caratteri dello straordinario, bambini e bambine fanno esperienza del mondo, raccolgono elementi utili che siano modello dell’esistenza. Ma che ne è delle favole quando si diventa adulti? Quella peculiarità esemplare della storia, il fascino che suscita per chi la ascolta, dove si nascondono quando sembra non esserci più tempo da dedicarle? Per il Festival della Mente di Sarzana (SP), nell’ambito del progetto Per Aspera ad Astra su Come riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza, Enrico Casale della compagnia Gli Scarti ha curato la messa in scena di Favola di Cì, coordinando un gruppo di detenuti attori per la maggior parte provenienti dalla Casa circondariale Villa Andreino di La Spezia.

Cì. È un nome di fantasia. Ma ben presto, mentre la storia si avvia a diventare racconto, si fa largo tra le parole una vicenda ben nota, almeno agli adulti: è quella di Caino che, nella Genesi biblica, uccide l’altro fratello Abele e così dà inizio alla natura di violenza e martirio in cui si riconosce, suo malgrado, l’umanità da sempre a oggi. Cì, sappiamo dal sottotitolo, è “partito bambino e si è fermato vecchio”, infatti è un bambino quello che appare in questa scenografia modulare diffusa nell’ambiente e che lo occupa geometricamente, un bambino che pur tale ha compiuto un atto violento ed è costretto ad espiare la sua colpa a NOD, Nessun Orizzonte Davanti, attraversando un deserto – la vita – senza poter mai fermare il suo cammino, non prima di essere diventato vecchio e, forse, saggio. La natura, attorno, segue prospetticamente il suo percorso di crescita, perché il punto di osservazione sul mondo, la relatività dello sguardo, permettano di cogliere il piccolo e il grande che si situano (e si succedono) nel procedere di una storia, così sviluppando l’immaginazione di chi la ascolta.

Tutti gli attori, in scena contemporaneamente per quasi l’intero spettacolo, indossano maschere o volti dipinti, sono clown che raccolgono allegria e tristezza in un solo unico sguardo, nella stessa unica storia, sono agenti che determinano i cambiamenti ambientali e sono il coro che dialoga con Cì, voci allo stesso tempo di saggezza e comprensione: la cacciata di Caino è un tema che unisce bambine e bambini sedute in platea all’esperienza dei detenuti del carcere, la sua avventura è a tutti gli effetti speculare al percorso compiuto da ognuno per affrancarsi dalla colpa, non eliminarla ma renderla accettabile, riconoscersi in essa perché si possa integrare nella propria vita. Perché la colpa non è aggirabile: appartiene al passato e il passato non si può cambiare, ma se noi fossimo in una favola e il passato lo facessimo ribaltare a diventare futuro? In fondo, lo ripete continuamente un personaggio in scena, il piccolo e il grande dipendono da qual è il punto da cui osservi, se oltre allo spazio questo assunto funzionasse anche col tempo?

Ad accompagnare Cì, sul suo perenne tapis roulant, è infatti l’ombra della sua coscienza, non lo potrà mai abbandonare perché da essa dipende sia il viaggio che l’approdo; eppure, in coda a un cammino quasi eterno, l’ineffabilità della coscienza inizia a vacillare, il male non schiaccia più il protagonista a lasciarlo bambino soffocato dalla colpa, ma sarà illuminato dalla scoperta che il male fa parte della natura umana, è connaturato alla vita, non alla colpa, alla quale si lega soltanto la pena che, una volta espiata, lascerà lo spazio perché Cì trovi finalmente sé stesso. La missione del bambino è, infatti, non tanto quella di raggiungere la redenzione, perché avrebbe ancora a che vedere con la colpa, ma imparare la causa e l’effetto, le azioni e le scelte della responsabilità; egli è semplicemente l’emblema della stessa umanità che trova ostacoli e offre soluzioni per affrontarli, prima, e superarli, poi.

Se all’inizio qualcuno fosse ancora colto dal dubbio che un lavoro di detenuti attori possa essere percepito relativamente da spettatori bambini, in conclusione il dubbio svanisce perché il teatro compie la magia di intrecciare in una storia esperienze di vita così diverse – alla quale magia contribuisce di certo una coesione del gruppo attorale e l’energia di un attore e rapper incisivo come il sorprendente Andrea Cirri (qui il suo rap, da ascoltare, con cui termina lo spettacolo). Infine, se la colpa finisce, per Cì come per tutti i detenuti giunti a raccontare la sua storia, cosa resta? Si direbbe, in una parola sola: la vita, cioè tutti gli errori compiuti e quelli evitati, tutto ciò che rimane quando sembra che non resti più niente. E invece. Cì, che torna a essere Caino, impara che può costruire, cioè fermarsi a ragionare e così creare: una città, qualcosa che genera altra vita. Resta solo da dargli una forma, disporre gli edifici. Mentre tutti abbiamo negli occhi la città distrutta di Gaza, che mai avrà un teatro per essere salvata, vedere bambine e bambini che si alzano e distribuiscono sul palco a piacimento gli edifici è commovente, fa pensare per un momento che l’impossibile sia, di nuovo, possibile.
Simone Nebbia
Festival della Mente, Sarzana (SP) – Agosto 2025
FAVOLA DI CÌ
Regia e drammaturgia Enrico Casale
Drammaturgia fisica Alessandro Pallecchi
Organizzazione generale e cura Alice Parodi
Laboratori teatro e scenografia Alessandro Pallecchi, Alice Parodi, Enrico Casale, Alessandro Ratti, con Federica Di Maria, Alice Santini.
Collaborazione Alex Rossi, Viola Ferro, Simone Benelli.
Video di scena Tiziana Ferdani.
Consulenza Anna Fascendini, Francesca Lateana.
Tecnici Daniele Passeri, Francesco Menconi, Lorenzo Diofili.
In scena Davide Albani, Umberto Bellicoso, Andrea Cirri, Paolo Clemente, Francesco Felici, Jason Maniscalco, Mor Mbaye, Giovanni Milone, Michel Menguzzi, Alex Rossi, Roberto Saluzzo, Rohan Samarasinghe, Francesco Vecchi, Nicola Zangani. La voce di mamma Eva è di Francesca Mazza.
Hanno partecipato ai laboratori: Corrado Baldi, Renato Makushi, Alessandro Matarese, Andrea Mazzi, Guido Morso, Isidro Olivarez, Davide Riolfo.
Produzione Scarti – Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione, nell’ambito della settima annualità di “Per Aspera ad Astra”













