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Al Teatro Ateneo una nuova casa per artisti internazionali. Conversazione con Velia Papa

Dopo una prima stagione sperimentale, il Nuovo Teatro Ateneo della Sapienza Università di Roma accoglie la sua prima direzione artistica, che propone 15 spettacoli con solo due nomi italiani e progetti di formazione e divulgazione aperta sulle arti performative. Intervista a Velia Papa.

Esattamente 90 anni fa, nel 1935, la Sapienza Università di Roma, tra gli atenei più imponenti d’Europa, si dotava di un teatro. Ma è nel 1954 che viene fondato l’Istituto di Teatro, consegnando lo spazio a Giovanni Macchia e Ferruccio Marotti, ispiratori del secondo dipartimento di spettacolo dopo il DAMS di Bologna. Nel corso dei decenni le quasi duecento sedute del Teatro Ateneo sarebbero state occupate da studenti in ascolto di alcune delle personalità più importanti della scena contemporanea, da Vittorio Gassman a Carmelo Bene, da Dario Fo a Eduardo De Filippo, Gianmaria Volonté e Anna Proclemer accanto a giganti internazionali come Jerzy Grotowski, Peter Brook, Julian Beck, Peter Stein. Spettacoli e soprattutto laboratori di formazione avrebbero accompagnato lo studio delle arti sceniche mostrando il meccanismo pratico, il processo creativo, i ferri del mestiere. Ufficialmente chiuso al pubblico dal 1997, negli ultimi anni prima del transennamento per interminabili lavori di ristrutturazione, l’Ateneo è stata casa permanente di workshop sull tecniche teatrali (il Living Theatre con Cathy Marchand, le danze sacre di Gurdjeff, il teatro spontaneo delle emozioni di Ferruccio Di Cori, il teatro di poesia di Carlo Quartucci e Carla Tatò, solo per citarne alcuni) e una necessaria aula universitaria, talmente decadente da regalare frammenti di intonaco allo spazio tra le poltrone.
La conservazione di questo patrimonio è stata negli anni affidata all’Archivio Storico Audiovisivo del Centro Teatro Ateneo, protagonista di una complessa vicenda gestionale e rinato solo in parte sotto la guida, ancora, di Marotti, deciso a rendere disponibili su un Canale YouTube alcune perle storiche.

Il teatro, affidato al centro di servizi per lo spettacolo Crea (2017) ha riaperto le porte nel 2024 con una “stagione sperimentale” curata da un comitato di docenti del Dipartimento di arti e spettacolo della Sapienza. La call lanciata per nominare una direzione artistica (per ora di soli 12 mesi) scadeva a dicembre dello scorso anno e la commissione, ascoltati i primi dieci nomi in graduatoria, ha assegnato l’incarico a Velia Papa, già alla guida di Marche Teatro (Fondazione Teatro delle Muse di Ancona) e del festival Inteatro di Polverigi, con grande esperienza nelle reti produttive internazionali e una speciale competenza nella danza. Oggi è stata presentata la stagione, interamente finanziata dall’Università, che commentiamo qui in una conversazione.

Scarica il programma della stagione 2025/2026

in foto Velia Papa

Provo a porre subito una domanda diretta riguardo la nomina di questa direzione artistica. Nel tempo ci siamo chiesti spesso quanto valore avesse il ricambio generazionale anche nel processo di rinnovamento di certe dinamiche istituzionali che finiscono per risultare fruste e astringenti. Abbiamo notato che alla chiamata dell’Ateneo hanno risposto anche altre personalità che sono state già alla guida di istituzioni importanti come, ad esempio, La Biennale di Venezia. Tu come sei arrivata alla tua candidatura per la direzione artistica del Nuovo Teatro Ateneo?

Ho deciso di presentare la mia candidatura perché stavo vivendo un passaggio importante dopo anni alla guida di Marche Teatro – allora, nelle definizioni ministeriali, Teatro di rilevante interesse culturale – che avevo creato fondamentalmente come struttura di supporto ai progetti internazionali come il Festival Inteatro e il progetto Crossing the Sea con l’intenzione di finanziare esperienze di scambio e coproduzione tra artisti italiani e internazionali. Nonostante la solidità curatoriale e finanziaria, il progetto è andato in frantumi a causa delle mutate condizioni politiche che hanno poi portato a rivolgimenti in diverse strutture teatrali italiane. Il Teatro Ateneo era una splendida opportunità per sperimentare nuovi progetti sulla scia di una storia artistica gloriosa che aveva permesso la presenza di grandi artisti innovatori. Dopo vent’anni di restauro, l’Ateneo aveva perso perso la propria voce, e questa mi è sembrata l’occasione per riprendere le fila di un lavoro di collaborazioni internazionali a fronte di un circuito italiano fatto di strutture che non riescono più, per le strettoie normative, a esprimere una propria identità originale.

La platea del Teatro Ateneo

Dunque in che relazione entrerà il tuo lavoro all’Ateneo con ciò che hai fatto in passato?

Io mi nuovo sempre con gli stessi obiettivi che sono quelli della creazione di reti di collaborazione in Italia e all’estero sulla base di affinità artistiche e progettuali . Quello che mi ha impedito di poter competere con grandi strutture straniere è stata la mancanza in Italia di referenti istituzionali in grado di comprendere e approvare una visione strategica, basata sulla sinergia con altre strutture in Italia e all’estero. La mia è sempre stata una modalità di lavoro basata sulla relazione con altri ambienti artistici e produttivi, nella convinzione che solo in questo modo si possono ottenere risultati al fine di creare reti capaci di selezionare e sostenere nuove generazioni artistiche. Il ricambio generazionale degli artisti e degli operatori può diventare una prassi operativa “normale” solo se l’ambiente istituzionale venga depurato dall’influenza politica e si strutturi con obiettivi e metodi sani volti a costruire un’infrastruttura capace di rinnovarsi negli obiettivi fondamentali del ricambio generazionale dei pubblici, degli artisti e delle strutture produttive. Obiettivi che si raggiungono sulla certezza del sostegno economico e sulla condivisione di metodologie operative condivise.

TITANS-by-Euripides-Laskaridis-©-Julian-Mommert

Certo una delle grandi problematiche è la brevità del tempo di progettazione a disposizione, in un anno è davvero difficile programmare e curare un passaggio di consegne. L’Ateneo porta con sé due nature: quella di luogo di spettacolo e sperimentazione di una delle maggiori università d’Europa; quella più generale di teatro universitario, tradizione che in Italia ha contato molto soprattutto negli anni Settanta e Ottanta del Novecento. È una realtà che, dopo un lungo tempo di chiusura, è da considerarsi “giovane” e che riparte da una marginalità che ha sempre avuto rispetto agli altri spazi romani. Ora c’è forse modo di puntare sull’internazionalità per rilanciare una nuova identità e mi chiedo in quale tipo di continuità e innovazione con il passato si ponga la tua direzione.

Il passato è stato in certi momenti grandioso ed è difficile replicare contesti che in un altro momento storico erano più favorevoli. C’è stato un periodo in cui la comunità teatrale – per altro molto transgenerazionale e generativa – era fatta di persone che sapevano bene chi fosse Grotowski, Bob Wilson o il Living Theatre. Oggi c’è molta ignoranza anche tra gli addetti ai lavori e c’è meno sinergia tra le varie figure, non c’è una prospettiva comune sui linguaggi. Allora credo che l’interlocutore principale debba essere il pubblico giovanile, che non è alfabetizzato come allora e che deve capire innanzitutto che il teatro non rappresenta una sola modalità di stare sulla scena, ma si incarna in tante declinazioni. In Italia l’unica forma che si è veramente imposta è quella derivante dalla letteratura teatrale, dalla parola, mentre altri ambiti ricerca sono sconosciuti. Ho cercato quindi di presentare un’ ampia panoramica di nuove modalità di lavoro dal teatro partecipativo al teatro documentario fino al teatro di figura, ma sempre con l’obiettivo di raccontare il presente, quell’oggi sconquassato da una politica desolante e da una società in bilico. Per far sì che le nuove generazioni possano esprimere creatività bisogna consegnare delle chiavi di lettura, gli strumenti del mestiere, ripartire dalle basi. Il programma propone quindici spettacoli stranieri, ciascuno dei quali porta con sé una sorta di “didascalia” (come teatro partecipativo, teatro documentario, nuovi formati, etc.) per fare in modo che ciascuno possa comprendere come costruire una cassetta degli attrezzi.

Captura-de-pantalla

L’internazionalizzazione faceva parte della visione originaria sotto la guida di Ferruccio Marotti, che portava all’Ateneo esperienze e personalità che egli aveva avuto modo di conoscere personalmente. E questo è senza dubbio un elemento di continuità. L’altro aspetto è stato sempre la vocazione alla formazione e al contesto laboratorio. Nei decenni passati gli e le studenti potevano intendere il triennio di università come un momento dedicato ai tentativi, perseguendo una sorta di fiera “economia dello spreco”. In un presente in cui tutto (soprattutto lo studio universitario ma anche lo stesso sistema creativo) sembra essere declinato alla iper-produttività, in che modo, oltre a vedere, si può sperimentare?

Tutte le compagnie invitate offrono un laboratorio in cui spiegano il proprio processo di lavoro e spero che questo si possa espandere in un sistema di scambio di pratiche che dovrebbe eternarsi. Bisognerebbe andare oltre, avviando esperienze di residenza e di mobilità verso l’estero, ma richiede un lungo processo per stringere relazioni e comprendere i punti di incontro con altre realtà accademiche fuori dall’Italia, arrivando a scambiare pratiche su base continuativa, a contatto con docenti che lavorano su linguaggi molto diversi dai nostri.

Uproar-by-Fatima-Sastre

Si nota poi subito che la presenza di artisti italiani è concentrata su poche esperienze significative, ma appartenenti a una tradizione già storicizzata, come Marco Baliani o la Compagnia della Fortezza di Armando Punzo.

La presenza di Marco Baliani, ad esempio, segue la logica di presentare i vari linguaggi e con Kohlhaas, dal mio punto di vista, siamo di fronte all’apice del teatro di narrazione, su cui Baliani terrà un workshop specifico. È vero che non ci sono il teatro e la danza contemporanei, ma la mia necessità non era quella di presentare una programmazione diversa dalle altre, quanto di fare il punto su una serie di tendenze che andrebbero conosciute ed esplorate meglio. Sicuramente in prospettiva ci sarà tempo per scoprire compagnie contemporanee in grado di esprimere la stessa forza rappresentativa.

In dodici mesi c’è tempo di pensare un “episodio pilota”, ma non di creare un modello. Penso anche all’idea dello scambio con altri atenei, attualmente tutto è guidato da una burocrazia molto complessa, quella dei programmi europei ma anche soltanto quella degli uffici amministrativi che devono entrare in dialogo. C’è un altro aspetto, una possibile promessa che il teatro di un’università così grande: la possibilità di mettere in connessione diversi ambiti disciplinari, attraverso il fare teatrale. Hai pensato a come coinvolgere personale docente e studente proveniente da altri settori di studio?

Certamente, ho pensato di incrociare, per esempio, l’interesse dei fisici o altri settori scientifici. Ma anche qui c’è il limite della prospettiva temporale. Sto però cercando di crescere internamente delle persone che sempre più si stanno professionalizzando. Sto tentando di coinvolgere docenti per impostare un discorso multidisciplinare che costruisca un’idea di teatro diversa e più aperta ai linguaggi contemporanei.

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Pensando invece alla disordinata geografia romana, tra istituzioni che non dialogano e spazi di resistenza messi sempre più alle strette da impedimenti reali, dove si posiziona l’Ateneo? Di certo ci sembra di vedere che da oggi Roma avrà un’altra casa per il teatro internazionale, altrimenti poco presente. Hai avuto modo di avere interlocuzioni con altre realtà che già abitano Roma e che lavorano sullo scouting nazionale o sullo scambio con l’estero? Parlo degli spazi indipendenti, ma anche del Teatro di Roma o di Romaeuropa Festival.

Nutro un grande rispetto per Romaeuropa e per tutte le iniziative e gli operatori che lavorano in una realtà così complessa come quella romana. le realtà romane dovrebbero cominciare davvero a entrare in sinergia. Anche la rete delle residenze e dei festival sta faticando molto, perché manca la possibilità di declinare un pensiero territoriale verso un progetto di rete. Purtroppo spesso le risposte che ottengo mostrano un grande interesse verso l’internazionalizzazione, ma come strumento per far circolare spettacoli all’estero, non per costruire un progetto insieme ad altre realtà straniere, credo molto nella missione di creare relazioni con altri soggetti già attivi, e il Teatro Ateneo deve entrare in questo circuito. Confidando che esista la possibilità di un maggior tempo per progettare, realizzare incontri, sviluppare idee.

Sergio Lo Gatto

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto, PhD è giornalista, critico teatrale e docente universitario. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Ha insegnato all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e insegna al Master di Critica giornalistica e di Drammaturgia dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con Rai Radio3, dove cura e conduce la trasmissione "Teatri in Prova". Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per La Falena, Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha partecipato e curato diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove ha diretto la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013), oltre a diversi saggi e articoli scientifici su teatro e arti performative.

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