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OPEN! Revolution (Compagnia Raizes)

Questa recensione fa parte di Cordelia di luglio-agosto 25

Cosa si può fare (o no) attraverso il teatro? Data la sua aderenza al momento in cui si manifesta, il teatro è il veicolo più intimamente legato alla trasformazione umana e sociale del mondo contemporaneo; ecco dunque come più di tutte le arti permette di stare nel proprio tempo, interpretarne sviluppi effettivi o possibili. C’è però una diramazione che occorre tracciare: più facilmente è attraverso i contenuti che si compie l’indagine, mentre più di rado è la forma, la struttura del teatro che raccoglie tale sfida. Lo fa la compagnia Raizes Teatro di Alessandro Ienzi, attraverso il progetto Open! Revolution, sulla scena di India Città Aperta a Roma. C’è un’intenzione chiara nel raccogliere insieme giovani performers provenienti da diverse parti del mondo, ognuno rappresentante di diverse comunità con minori possibilità o che sperimentano esclusione sociale o emarginazione; poi, oltre l’intenzione, c’è appunto il teatro. Open! Revolution è una creazione di Yong Di Wang, performer e percussionista italiano cieco di 19 anni, originario della Cina, e Amadou Diouf, performer sordo arrivato in Italia dal Senegal attraverso il deserto e il mare a 17 anni: sulla scena le ferite dell’esperienza si trasformano, per loro e gli altri performers, in monologhi espressi in lingua dei segni che diventano coreografie del dolore, sfilate con cartelli che richiamano il viaggio migrante, violenza, diritti negati, statistiche atroci, slogan ribelli; quando giunge poi la parola è volutamente una babele di lingue che faticosamente cercano una comune koiné, un linguaggio nato dall’incomprensione che si sforzi di diventare l’opposto. Se l’intenzione è dunque nobile e via maestra all’uso delle arti sceniche, lo svolgimento ha delle – forse ovvie – ingenuità strutturali, il movimento è talvolta confuso e non sempre funzionale all’immagine prodotta, le parole dette o scritte, certe visioni, la musica che guida l’azione, hanno qualcosa di scolastico che vira alla didascalia. Volano, infine, coriandoli dai sacchi di immondizia, coprono il palco di colori diversi, una pioggia speranzosa, dopo il buio, resta sulla scena. (Simone Nebbia)

Visto al Teatro India. Crediti: di Yong Di Wang e Amadou Diouf; con Yong Di Wang, Aliya Azizi, Sherif Sonko, Camilo Ramirez Reyes, Daniel Ramirez Reyes; Coordinamento Paola Capuano; regia Alessandro Ienzi; Raizes Teatro.

Cordelia, luglio-agosto 2025

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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