Questa recensione fa parte di Cordelia di luglio-agosto 25
Nell’ambiguità di uno spazio reso volutamente scarnificato ed essenziale, mani guantate di un livido velluto purpureo accompagnano con la loro gestualità sinuosa il dispiegarsi dell’intreccio di parole strettamente avvinghiate che scivolano via dalle labbra di Piergiuseppe Di Tanno, avvoltolate su di sé come cavi indisciplinati. A volte liquide, schioccanti, vibranti, altre affaticate, trascinate, spezzate, le parole compongono versi che aleggiano nell’aria e prendono forma e concretezza, come formule magiche che potrebbero far apparire oggetti dal nulla, materializzandoli dalle pieghe sottili dell’aria. E come un prestigiatore, un mago dalla lingua sottile e gli occhi viperini, Piergiuseppe ammalia gli ascoltatori tra fruscii e schiocchi, tra carezze e schiaffi. La delicatezza di alcune immagini contrasta con la carnalità insita in altre, evidente e pulsante. La declamazione poetica è affiancata dalla proiezione di immagini sullo schermo, senza un’apparente connessione tra le due componenti: le parole scorrono veloci, torrente in piena senza argini e fondale, rispetto alla reiterazione lenta e sistematica degli stessi frammenti audiovisivi sullo schermo. Più che essere accompagnata dalla proiezione, la poesia prevale su di essa con il suo ritmo anapestico e strozzato, in corsa, un fluire denso che si snoda come le anse di un fiume, nel fare battaglia alla sequela di immagini che non sembra stare al passo con la velocità impazzita che la anima da dentro e si riduce al solo suono, oltre il senso delle singole affermazioni. Piergiuseppe regala allo spettatore la possibilità di prendere posto e godere della purezza abbacinante della parola sviscerata e del suo potenziale evocativo, ma al tempo stesso di perdersi tra le sillabe, di farsi cullare dalla litania dell’incastro verbale, senza per questo fruire in maniera ridotta dell’opera. “Bisogna amarmi”, dice Di Tanno, verso la fine, e quell’imperativo, come balsamo su una ferita, ci culla fino in fondo, fino all’ultima sillaba. (Letizia Chiarlone)
Foto Luca Del Pia