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lunedì 29Aprile 2024
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PROSPERO | Ottobre 2023

Schede e segnalazioni di volumi che guardano e parlano al teatro e alla danza, raccontano e analizzano la scena. Per questa nuova rubrica ci siamo lasciati ispirare da un altro personaggio shakespeariano: Prospero, nobile naufrago, esperto di arti magiche e avido lettore. Prospero che ha una “biblioteca grande abbastanza quanto un ducato”

In questo numero

FOCUS - JON FOSSE

  • Caldo, di Jon Fosse, Cue Press (2019)
  • Saggi Gnostici, di Jon Fosse, Cue Press (2018)

SAGGISTICA

  • Scala e sentiero verso il paradiso, di Giuliano Scabia, La Casa USHER (2021) e Il poeta d’oro, di Massimo Marino, La Casa USHER (2023)
  • Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali, di Sergio Lo Gatto, Bulzoni (2022)
  • Teatro La Fenice. Esperienze di Governance, di Giorgio Brunetti, Titivillus (2023)
  • In giro per festival. Guida nomade agli eventi culturali, di Giulia Alonzo e Oliviero Ponte Di Pino, Altreconomia (2023)
  • Il teatro dentro la storia. Opere e voci dalle torri gemelle alla pandemia, di Rodolfo Sacchettini, Anthology Digital Publishing (2023)

TEATRO TRA LE RIGHE

  • Franco Scaldati, Teatro 1975-1979, a cura di Viviana Raciti e Valentina Valentini, Marsilio (2022)

NARRATIVA E TEATRO

  • Avere una musa di fuoco, di Piero Somaglino, Edizioni Seb27 (2021)

Tutti gli articoli

FOCUS - JON FOSSE

Caldo, di Jon Fosse, Cue Press (2019)

È una calda giornata d’estate, c’è un pontile, una casa, ovunque è il mare; ci sono due uomini, forse, poi c’è una donna che appare e scompare. Sarebbe tutto qui il Caldo di Jon Fosse (Cue Press, 2019), ma l’autore norvegese proprio in questa immagine scarna, apparentemente debole, essenzialmente onirica, raccoglie e disvela la ricorrenza delle atmosfere rarefatte in cui si ampliano a dismisura i vasti silenzi, quel deserto in cui si ripetono parole già dette, azioni già svolte a sostituirne altre che non si svolgeranno, parole eventuali che darebbero un senso più compiuto al testo, forse una maggiore distensione nella lettura, mentre invece quella assenza esplicita del tutto lo spaesamento e fa affiorare una complessità inattesa, ispessita sotto la superficie del non detto. Proprio per questo, nel testo del recente Premio Nobel, il fascino più esteso è dato da ciò che non compare ma che, sulla pagina o sulla scena, coinvolgerà il lettore o spettatore in una compresenza inevitabile. La stessa scelta, ricorrente in vari testi, di non esplicitare la punteggiatura, concorre a rendere assertivo un testo pieno di possibili domande, motivando ancor di più uno spaesamento non solo cognitivo ma esperienziale; ne nasce una sospensione, spesso palesata, di tempo e di spazio: i protagonisti si chiedono compulsivamente “quando” e “dove”, nessuna risposta li soddisfa, ricordano e non ricordano, poi tornano allora a domandare e domandarsi ciò che non può avere una definizione: “quanto a lungo” “no non ho idea” “Ma siamo stati qui tanto tempo / forse / È come se non ci fosse / sì tanto e poco” “Noi stiamo qui in ogni caso”. Tutte qui, evidenti, le note pinteriane prima e ibseniane poi individuate dall’introduzione di Franco Perrelli, che cura anche la traduzione: quello di Fosse, scrive, è un “realismo mobile o instabile”, intendendo cioè quella vocazione della sua scrittura a offrire spazi vuoti più che i pieni, ampiezze in cui si situa un teatro, dice l’autore, come “epifania estesa nel tempo”.  

Saggi Gnostici, di Jon Fosse, Cue Press (2018)

Dichiarazioni, asserzioni lampo si intrecciano a brevissimi cenni autobiografici, considerazioni definitive, senza intermediazione. Nei “Saggi Gnostici” Jon Fosse si muove sui temi della poesia, della letteratura, dell’arte quasi senza rispetto, con una prosa informale e schietta, brutale. Nella raccolta di scritti redatti tra il 1990 e il 2000 e curata da Franco Perrelli per Cue Press la parola teatro compare pochissimo. Circa 80 volte, togliendo titoli e note, di cui 30 soltanto nell’introduzione di Perrelli. Nella vita di Fosse il teatro interviene in maniera molto più concreta, quasi rubando l’autore alla letteratura e alla narrativa, ma molto tardi. Per caso, o meglio, per economia. Fosse detesta il teatro, e sostiene che non farà mai il drammaturgo, non perché non si senta in grado di scrivere un dramma, questo non l’ha mai turbato, bensì per una forma di protesta nei confronti del teatro. Con tutta la schiettezza della sua prosa dichiara che è stato l’esclusivo bisogno di soldi a portarlo ad accettare la commissione del suo primo dramma. Un primo dramma, che “grazie a Dio”, ha funzionato, e che ha sorpreso lo scrittore nel piacere di scrivere le didascalie e i dialoghi in quello spazio e tempo limitato, minimalista. «È soprattutto l’essere umano», scrive Fosse, «che il teatro cerca, cerca e manca, di trasformare in arte». E forse qui qualcosa di religioso, di mistico, avviene: come dicono in Ungheria, c’è un momento, nel teatro quando il teatro funziona, in cui “un angelo attraversa la scena”. Un istante di comprensione emozionale collettiva, di armonia totale, nel quale il teatro è capace di possedere “il più intimo, grande e indicibile segreto”. Un momento soltanto, che porta lo scrittore, lo “spregiatore del teatro” ad abbandonare, almeno per un po’, la narrativa, e dedicarsi alla drammaturgia. Un uomo pratico, uno scrittore pratico, che si sforza di scrivere nel limbo tra tragedia e commedia, tra lacrime e risa, sapendo che un drammaturgo non può mai barare e che può solamente tentare tutto quello che può perché un angelo possa, per un solo istante, attraversare la scena. 

Titoli consigliati

Teatro

(Editoria & Spettacolo, 2006) Questo volume raccoglie sei drammi: "Il nome" (1995), "Qualcuno arriverà" (1996), "E la notte canta" (1998), "Sogno d’autunno" (1999), "Inverno" (2000), "La ragazza sul divano" (2002).

L'altro nome

(di Jon Fosse, La Nave di Teseo, 2021) In corso di pubblicazione in 14 paesi, "L’altro nome" è il romanzo toccante, ipnotico, indimenticabile del maestro della letteratura scandinava, una storia in cui passato e presente confluiscono, per lambire come onde del mare la grandezza dell’uomo.

Quel buio luminoso. Sulla drammaturgia di Jon Fosse

(di Leif Zern, Titivillus, 2012) Leif Zern è fra i maggiori critici e scrittori di teatro del nostro tempo. In questo sorprendente saggio sul grande autore drammatico norvegese Jon Fosse Zern coinvolge il lettore non solo nella poetica di Fosse, ma anche nell’esperienza teatrale e scenica dei più significativi registi attivi a cavallo tra il XX e il XXI secolo

SAGGISTICA

Scala e sentiero verso il paradiso e Il poeta d’oro, due volumi per ripercorrere il viaggio di Giuliano Scabia

«Solo il teatro salverà il mondo - / visto che non è in grado di cambiarlo». Giuliano Scabia se ne va la mattina del 21 maggio 2021, accompagnato dall’affetto di colleghi, studenti, amici – una nostalgia felice, un calore che avvolge anche quelli che, troppo giovani, non hanno potuto incontrare quest’uomo poeta. “Scala e sentiero verso il paradiso. Trent’anni di apprendistato teatrale attraversando l’università” è l’ultimo libro di Scabia: raccoglie le trascrizioni, a cura di Francesca Gasparini, delle registrazioni realizzate al Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo della Sapienza, il 26 e 27 settembre 2012. In queste lezioni/racconto, Scabia ripercorre la sua esperienza di docente “allievo in prova”, come si definisce, al DAMS di Bologna dal 1971 al 2005; un uomo dell’arte travestito da cavaliere e da diavolo che viene chiamato nel mondo scottante che è l’università degli anni ’70, e che si trova a dirigere, accompagnare gli studenti di quegli anni per le strade della città, per paesi e villaggi, con tutti i loro fermenti, moti, umori agitati in una società sul punto di esplodere. Nel 2023 esce, invece, di Massimo “Il poeta d’oro. Il gran teatro immaginario di Giuliano Scabia”. Il volume si promette di ripercorrere il lavoro teatrale di Scabia tra poesia e teatro, dai manicomi alle università, alle esperienze nelle comunità rurali, ai rari, perigliosi esperimenti nei grandi teatri. Questi due volumi hanno il merito di accompagnarci nel viaggio mai compiuto di un poeta tra la poesia, la musica, il teatro, il teatro magazzino, luogo della verità incompleta, del trauma, dell’azione più che della visione, di un teatro che è dialogare continuo alla ricerca del senso del teatro, che vuole portarsi violentemente fuori dal “giro dei teatranti”. Un teatro rifondato che a volte smette di essere teatro esso stesso e assume forme impreviste, aperte, uno “schema vuoto” da riempire di volta in volta, di situazione in situazione. E che ha saputo lasciare incisioni, squarci, memorie indelibi nella storia contemporanea e successiva come nelle testimonianze di chi ha partecipato a quei vuoti da colmare. L’elemento forse più affascinante di questi due volumi è l’apparato di immagini che li correda: fotografie d’epoca, locandine, ma soprattutto schizzi, disegni, appunti dello stesso Scabia. Un pensiero grafico, geometrico e estemporaneo, che sa restituirci l’ironia e il tracciato di un instancabile percorso di ricerca; traspare, dal racconto, dalle lettere, dagli appunti, un Novecento del cambiamento, sempre sull’orlo della rivoluzione, un passaggio sfumato ai nostri anni duemila. E quella nostalgia che ci prende. Di un’università viva. Di un manicomio rifondato. Di un gorilla che aspira a navigare il Po. Di giganti, cavalli e ippogrifi. Di una comunità che si lascia guidare per dare vita al drago che, inesorabilmente, vincerà sul cavaliere. Indicazioni bibliografiche: Scala e sentiero verso il paradiso. Trent'anni di apprendistato teatrale attraversando l'università, di Giuliano Scabia, La Casa USHER (2021); Il poeta d'oro. Il gran teatro immaginario di Giuliano Scabia, di Massimo Marino, La Casa USHER (2023)

Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali, di Sergio Lo Gatto, Bulzoni (2022)

In mezzo al fumo innalzato da carri e calzari, appena dopo la battaglia per gli antichi viene il poeta, lo scrittore, colui che sa dare conto di cosa resta quando il fumo sarà diradato, cosa invece sarà perduto per sempre dopo l’ultimo tuono di cannone. Dopo la battaglia, dunque, viene la scrittura, la testimonianza. Deve aver pensato a questo Sergio Lo Gatto, per dare nome alla sua ricerca sulla critica teatrale dal titolo Abitare la battaglia (Bulzoni Editore, 2022), identificando nella critica la funzione di chi, oggi diversamente che in passato, dovrà partecipare in qualche forma alla battaglia, per poterne dare testimonianza. Colpisce, più di tutto, la natura confortevole del verbo “abitare”, rispetto invece al contesto disagevole in cui si situa la parola “battaglia”. Il mestiere della critica sembra riflettere in maniera limpida questa dicotomia: l’osservazione convoca allo stesso tempo i diversi punti da cui si esercita e i meccanismi plurimi della sensibilità, dunque ogni elemento della partecipazione concorre ad avere un rapporto con l’opera, capace di cambiare chi osserva e, forse, anche l’opera. Non somiglia dunque ciò all’abitare? Entrare di una casa, valutarne i confini visibili o meno, prendere via via possesso del tempo all’interno dello spazio? La sua relazione - "da dentro" come la definisce Gaia Clotilde Chernetich nella prefazione - fa storia contemporanea della critica, per come essa ha visto trasformarsi i propri strumenti lungo più di un ventennio, passando cioè dalla pagina cartacea di un quotidiano generalista sempre più verso una comunità virtuale specialistica, riunita attorno al web. L’indagine poi delle opportunità dell’ipertesto e della multimedialità, la contrastante natura del web come archivio e dispersione di contenuti, la trasformazione dei linguaggi con l’avvento dei social media e dello storytelling, l’apertura alla relazione con il contesto internazionale e, soprattutto, la riflessione sulle peculiarità di comunità reali e virtuali, ne fanno uno strumento decisivo per gli studi sul contemporaneo, perché anche di questi tempi caotici e decadenti resti traccia, perché siano cariche le armi del coraggio, della competenza, della misura, per la nuova battaglia futura. 

Teatro la Fenice. Esperienze di governance, di Giorgio Brunetti, Titivillus (2023)

Ripercorrendo l’evoluzione gestionale e amministrativa del Teatro La Fenice di Venezia, il nuovo volume pubblicato da Titivillus ci restituisce in sintesi la più generale evoluzione delle fondazioni lirico-sinfoniche italiane dagli anni Novanta alla nuova riforma del FUS del 2014. Un percorso di relazioni complesse tra pubblico e privato, di adeguamento alle nuove normative, di impegno soprattutto dedicato alla ricerca, talvolta disperata, di soci e finanziatori privati, nuova necessità che però stimola una gestione innovativa sia nel rapporto con il pubblico e i territori, sia nell’immaginare una rinnovata sostenibilità economica. La Fondazione Fenice, orfana del suo principale palcoscenico dal 1996 al 2003, si è ristrutturata attraverso una stagione in continua espansione, con un ragionamento profondo nell’equilibrio tra produzione e repertorio, divenendo un esempio, si può dire, felice nella gestione delle economie; per chi abbia un poco di confidenza con i bilanci, ad esempio, è facile notare una distribuzione virtuosa delle risorse, con incassi invidiabili (circa il 23% del rendiconto annuale), e costi fortemente destinati al lavoro e agli organici piuttosto che agli allestimenti scenici. Un percorso messo in grave difficoltà, tuttavia, dalla crisi finanziaria del 2007-2008, che intaccò pesantemente i finanziamenti pubblici agli enti culturali causando un dissesto finanziario generalizzato che lo Stato tentò di contrastare con commissariamenti e pesanti interventi sull’autonomia delle Fondazioni precedentemente privatizzate. Brunetti ci accompagna in questo percorso come osservatore coinvolto ma critico, lasciandoci al 2015 con una grande enfasi sulle misure che portarono quello della produttività a farsi perno del ragionamento ministeriale sullo spettacolo dal vivo, approccio che ha generato effetti diversi e contrastanti, che sarebbe interessante analizzare, sui diversi settori. Sebbene il libello richieda un poco di confidenza con il lessico amministrativo e gestionale, restituisce uno spaccato affascinante, affatto pacifico, del maggior ambito di intervento culturale del nostro Paese, che forse meriterebbe un approfondimento e un approccio più attento a intercettare buone pratiche amministrative e di gestione.

In giro per festival. Guida nomade agli eventi culturali, di Giulia Alonzo e Oliviero Ponte di Pino, Altreconomia (2023)

È uscita in primavera la seconda edizione della guida In giro per festival, sommario cartaceo della piattaforma Trovafestival. Un libro agile, tascabile, che accompagna spettatori, lettori, appassionati di cinema e arte in un percorso di oltre 350 festival italiani. La prefazione di Paolo Fresu dedicata alla contagiosità della cultura ci introduce alle sezioni regionali, ognuna delle quali si conclude con un’ulteriore proposta di itinerario tematico: per categorie artistiche, certo, ma anche per sentieri meno scontati, come i festival al femminile o LGBTQ+, i festival interculturali, quelli in alta quota, quelli “per nerd” e tanti altri. La pubblicazione, anche quest’anno sostenuta dalla collaborazione con Altreconomia e da una curata campagna di media partnership, ci restituisce la ricchezza, quasi la sovrabbondanza, delle iniziative culturali festivaliere italiane. L’estate è il cuore dei Festival, che si rincorrono e sovrappongono da una città all’altra; tuttavia, per il turista appassionato, non mancano le occasioni invernali o di mezza stagione per immergersi in vere e proprie maratone culturali. All’incessante lavoro di mappatura e censimento che Alonzo e Ponte di Pino instancabilmente conducono, si affianca un’azione trasversale importante di dialogo e incontro tra le realtà organizzatrici, come per esempio è avvenuto con gli incontri primaverili che hanno dato vita alle Linee guida per festival sostenibili: un punto di partenza per ragionare sulla sostenibilità, non solo ambientale, delle iniziative festivaliere in relazione e al pubblico e ai territori. La dimensione dei festival in Italia è in continua espansione: le cause di questa proliferazione sono numerose ed eterogenee, come è emerso nel corso di iniziative come il seminario Fuoco cammina con me organizzato nel 2022 da Kilowatt Festival. Un ambito non semplice da comprendere e analizzare, composto da istanze e organizzazioni con obbiettivi, proporzioni, impatti molto diversificati, e che necessita di essere costantemente monitorato per non sfuggire di mano. In questo la guida nomade è utile sia per avere una panoramica di questo fenomeno, sia per accompagnare lo spettatore spaesato in viaggio per paesi e città, all’insegna di un più cosciente turismo culturale.

Il teatro dentro la storia. Opere e voci dalle torri gemelle alla Pandemia, di Rodolfo Sacchettini, Anthology Digital Publishing (2023)

“Opere e voci dalle Torri Gemelle alla pandemia”, con questo sottotitolo Rodolfo Sacchettini mette in evidenza la temporalità che perimetra questo volume. Edito nel 2023 da Anthology Digital Publishing si apre con una corposa e importante introduzione che in realtà è il cuore teorico e storico dell’analisi. L’autore parte da un’immagine di Vacancy Room, spettacolo di Motus del 2001 con il quale comincia a intrecciare una riflessione sull’ingresso della realtà feroce nella scena del teatro e del mondo: Genova 2001 e l’attacco alle Twin Towers, tutto nel giro di pochi mesi. Incrocia i fatti con maestria Sacchettini, accostando questioni che potrebbero apparire lontane ma che in realtà appartengono a un tessuto comune, l’entrata in coma di De Berardinis chiude forse un’epoca mentre comincia ad emergere un altro panorama, che viene definito come un “periodo di estrema vitalità per il teatro contemporaneo”. Qui l’autore traccia le linee di congiunzione tra le compagnie giovani e le realtà che arrivavano alla piena maturazione, come i soggetti della mitica Romagna Felix. Nel racconto non vengono messi in fila solo i nomi dei protagonisti, è anche il contesto ad essere definito, quello relativo ai teatri istituzionali, l’esplosione dei festival, la centralità del Premio Scenario. Rodolfo Sacchettini è un critico (oltre ad essere uno studioso), ecco allora che lo scheletro vero e proprio del libro si definisce attraverso una carrellata degli spettacoli che hanno segnato la visione dell'autore in questi anni. Sono analisi talvolta nate dall’aggiornamento di recensioni e articoli: Motus, Virgilio Sieni, Kinkaleri, Societas, Civica, Deflorian/Tagliarini, Compagnia della Fortezza, per citarne solo alcuni. Il volume si chiude con una serie di conversazioni con artiste e artisti, qui con qualche fuoristrada dai territori della ricerca, come la presenza di Milena Vukotic o maestri di altre generazioni come Giuliano Scabia.

TEATRO TRA LE RIGHE

Franco Scaldati, Teatro 1975-1979, a cura di Viviana Raciti e Valentina Valentini, Marsilio (2022)

Si parla spesso di declino del teatro in Italia, accadeva anche prima dell’articolo di Franco Cordelli con cui si è attivato un lungo dibattito estivo sulle pagine de La Lettura, più difficile è mettere in evidenza certe imprese che invece rappresentano punte di eccellenza, come accade in questo caso di operosità editoriale. Marsilio ha infatti dato alle stampe i primi due volumi dell’opera di Franco Scaldati, più di ottocento pagine per il libro con i testi degli anni Settanta e oltre seicento per la raccolta relativa agli anni Ottanta. Nei prossimi mesi verranno pubblicati altri tre degli otto volumi totali, insomma parliamo di un’impresa incredibile per un Paese dove la drammaturgia non ha una relazione strettissima con l’editoria. Le protagoniste di questa odissea tra le opere del drammaturgo siciliano più importante del Secondo Novecento e scomparso nel 2013 sono Valentina Valentini e Viviana Raciti, a loro dobbiamo il lavoro di scavo effettuato nell’archivio di Scaldati a Palermo. Le due studiose si sono trovate di fronte non solo a un corpus di decine di drammaturgie (di cui solo 13 sono state pubblicate), ma anche a una serie di varianti dei testi originari. Vale la pena immergersi nelle avvertenze e nelle introduzioni dei volumi per tentare anche solo di avvicinarsi alla complessità del progetto. Il cuore dell’opera è il corpo a corpo con la lingua teatrale di Scaldati, intesa come forma letteraria di un palermitano “non addomesticato”, che “non viene utilizzato secondo un gusto folklorico, nostalgico”, e come idea di teatro che nasce “tra improvvisazioni e discussioni collegiali”. “Scaldati ritrae spesso gobbi, ciechi, senza un arto o senza dita. Violenti e goffi, lottano per la propria vita una guerra tra poveri dove nessuno è vincitore”. L’accesso alla sfilata di personaggi assurdi, ai margini, o ai confini tra vita e morte è possibile grazie a un lavoro imprescindibile di traduzione, ogni testo viene infatti pubblicato con la versione in italiano a  fronte.

NARRATIVA E TEATRO

Avere una musa di fuoco, di Piero Somaglino, Edizioni Seb27 (2023)

È il 1894 in una Torino che ha già smesso di essere capitale di un’Italia ancora fresca di Risorgimento e dove si rincorrono le ragioni del regno e quelle del socialismo sotterraneo, brulicante. Qui la famiglia d’arte di marionettisti Lupi intraprende l’esperienza ambiziosa del teatro stabile: acquista il Teatro d’Argennes, in una stagione che vivrà rigogliosa fino al 1936: protagonista il piemontese Gianduja, maschera e burattino che i Lupi hanno già reso cardine del loro teatro di marionette. Proprio grazie all’accoglienza di personaggi popolari, voce del popolo minuto e specchio di una società in mutamento, e ad una struttura spettacolare sempre più sofisticata, questo settore teatrale è stato ormai capace di svincolarsi dal contesto nobiliare per conquistare il grande pubblico, divenendo un fenomeno di proporzioni stupefacenti. Mentre i Lupi debuttano al d’Argennes, sono attesi in Italia “I fantocci” dell’inglese Thomas Holden, compagnia e famiglia d’arte “di giro” tra le più rinomate, impegnata in una tournée internazionale da capogiro con centinaia di repliche in Europa, in Asia, nelle Americhe. In questi anni, compagnie come quella dei Lupi ancora utilizzano un sistema tradizionale di animazione che prevede un perno centrale in ferro rigido (come quello dei pupi siciliani, per intendersi). Sarà proprio dall’incontro e dallo studio degli spettacoli di Holden che i Lupi mutueranno il nuovo metodo di animazione “a fili”, che permette di realizzare acrobazie e finezze fino ad allora inimmaginabili. Dalla Val d’Aosta, a Torino, fino al sud America, nei circoli operai con Edmondo De Amicis, nei carugi genovesi con Giuseppe Verdi, per accompagnarci Piero Somaglino ci affida a Jean, il vero protagonista di questo racconto. Una presenza costante, un “onomanzia”, come la definisce Alfonso Cipolla, che ci rimanda a tanti Jean e Giovanni reali, primo tra tutti Giovanni Moretti, e che, filo rosso del viaggio immaginativo, riesce a mettere insieme i frammenti di una storia che oscilla continuamente tra la minuzia di una vita quotidiana e la grande Storia, del Piemonte, d’Italia e di questo piccolo grande teatro. Un viaggio nelle epoche ai confini di un mondo che precipita verso il Novecento, sui passi di una “musa di fuoco” che è ora l’acrobata Elaine, la figlia adottiva di Thomas Holden, ora la grande idea di un teatro che si evolve in teatro delle genti. Uno spaccato storico e documentario fedele che sa, tuttavia, trascinarci con la raffinatezza del romanzo.. Angela Forti