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Conversazione su Atlantis, il nuovo viaggio della Compagnia della Fortezza

Nel Carcere di Volterra abbiamo assistito ad Atlantis. Cap. I – La permanenza, il primo passo di un nuovo progetto della Compagnia della Fortezza diretta da Armando Punzo. Una conversazione sui trentacinque anni di lavoro, a margine del Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia 2023.

Sono trascorse trentacinque estati dal 1988, anno di nascita della Compagnia della Fortezza, fondata a Volterra da Armando Punzo, che nel giugno 2023 ha ricevuto dalla Biennale di Venezia il Leone d’Oro alla Carriera. Con Naturae, tappa finale di un progetto durato otto anni, la Compagnia è approdata alle Tese cinquecentesche dell’Arsenale, appena un mese prima di riaprire le porte del Carcere di Volterra a un nuovo titolo, Atlantis. Cap. I – La permanenza, primo passo di un prossimo cammino.
Ammessi nel cortile del carcere, c’è tempo per trascorrere del tempo nella consueta attesa, mentre spettatrici e spettatori fluiscono, e per rendersi conto di quanto, ormai, questo foyer possa e debba assomigliare a tutti gli altri. Il rituale, in fondo, non è diverso.

foto di Stefano Vaja

E poi entriamo. A una ouverture nell’assolato dehors – dove l’intero gruppo si presenta muto e sorridente in abiti eleganti al suono delle musiche di Andrea Salvadori e della voce sognante di Armando Punzo – si assiste seduti in terra con le spalle alle sbarre del recinto, mentre sulla scena diversi pannelli di legno pitturati in nero si riempiono di scarabocchi circolari di gesso bianco; un intermezzo negli stretti corridoi interni invita poi il pubblico a vagare incontrando scene e monologhi che gli interpreti rendono seguendo una voce nell’auricolare; si torna infine nel cortile, dove la Compagnia ricompone una sorta di semovente gruppo statuario, affollato e festoso, con grandi ruote bianche e nere che rotolano da un estremo all’altro dello spazio e la toccante rappresentazione di una nascita.

foto di Stefano Vaja

Armando Punzo generosamente mi dedica un’intera ora di conversazione a fine giornata. Mi racconta di come il cammino di Naturae – che raccontava il faticoso viaggio mistico di un “Lui” oltre i propri stessi limiti e verso una nuova innocenza dalle sembianze di un sogno a occhi aperti – abbia dato inizio a un nuovo lavoro. «Gli attori – racconta – hanno continuato a chiedersi e a chiedermi: “Ma che fa adesso Lui? Ritorna indietro? Raggiunto questo livello, ora che cosa fa?”. Noi umani siamo così. Quando pure arriviamo a sporgerci da una nuova finestra, dobbiamo lottare per tener vivo quel coraggio. Va alimentato, deve diventare un lavoro consapevole, altrimenti si lascia tutto alla casualità».
Ne parleremo solo al termine di una lunga chiacchierata, ma scrivendo mi viene da anticipare qui la relazione sull’attuale status quo della Compagnia della Fortezza, che ora si dedica solo alla ricerca e alla mostra dei risultati una volta l’anno; che non ha più attorno una manifestazione come Volterrateatro (alla cui direzione, nel 2017, Punzo rinunciava per sopraggiunti limiti di sostenibilità del progetto); che è sostenuta dalla Regione Toscana e, seppur in maniera forse insufficiente, dal FUS nel capitolo Promozione; la Fortezza che ora ha però finalmente potuto sfogliare i piani esecutivi per la costruzione di un teatro stabile in carcere. Il progetto vincitore del bando, ora al vaglio della Sovrintendenza, porta la firma dell’archistar Mario Cucinella e prevederà una sala multifunzionale dove programmare una stagione retribuendo gli attori e ospitando altri artisti, e dove svolgere corsi di alta formazione per i mestieri del teatro, per dotare le persone in uscita dal carcere di un accreditamento utile a reinserirsi, vincendo i pregiudizi con la “carte blanche” di una comprovata professionalità.

foto di Stefano Vaja

Tra nozioni di algebra, filosofia e astrofisica (che compongono una sorta di rumore bianco di nozioni apprese inconsciamente), il testo pure ricostruisce in un amalgama una poetica cosmogonia, la ricerca di un’origine che si fa passaggio necessario per organizzare la vita che verrà. Se gli chiedo di più sul processo drammaturgico di Atlantis, Armando Punzo risponde che in genere i suoi appunti si raccolgono in “nuvole” tematiche, «invece questo lavoro si è sviluppato a raggi. Siamo appena all’inizio, ma una questione – che già conteneva un’origine in Naturae – è quella di creare e governare un mondo altro. Da qui la ricerca sulle genesi e sulle cosmogonie. Ne abbiamo lette tante, rimanendo affascinati dall’immagine ricorrente, quella di esseri senza storia, abitanti di “un giorno senza ieri”».

foto di Stefano Vaja

Marcando una cifra a cui ormai la Compagnia della Fortezza ci ha abituati, in questo primo passo il testo raccoglie e ridistribuisce, in una maniera fieramente disordinata, estratti di citazioni di nozioni, teoremi, paradigmi, dogmi, tra scienze dure e scienze dell’umano. «Si è presentata presto la questione della conoscenza – spiega Punzo – quando abbiamo letto il teologo Vito Mancuso che, nel suo I Quattro Maestri, invita a crearne un Quinto interiore, promuovendo una sorta di disciplina interna che chiama all’azione. Dalla conoscenza siamo passati al sapere, chiedendoci come la nostra specie lo abbia organizzato. Abbiamo convocato tutte le possibili discipline e ci stavamo subito perdendo in quella vastità».
Rispondo che trovo la sensazione di smarrimento coerente con l’atto stesso della ricerca, di chi la produce e di chi la riceve. Dico che mi ha colpito ascoltare come i teoremi della fisica siano talmente complessi da somigliare a speculazioni filosofiche e, di contro, i postulati filosofici bisognosi di spazializzare e temporalizzare certi concetti per verbalizzarli, facendo ricorso a immagini figurative e misure appartenenti al mondo della fisica. Per concettualizzare l’Altrove, qualcosa di legato non alla razionalità del pensiero e alla materialità, ecco che si comincia a “desiderare”, a guardare le stelle. In fondo c’è chi tra le filosofie più straordinarie annovera quella di Galileo Galilei.

foto di Stefano Vaja

A proposito dell’accumulo di conoscenze e delle maniere per organizzarle, discorriamo del fatto che, negli ultimi anni, il lavoro della Fortezza sui classici si è trasformato nella creazione di drammaturgie sempre più indipendenti, forti di una reale autorialità collettiva. Armando Punzo risponde con estrema chiarezza: «Io ho sempre usato autori classici come fonti, perché appartengono al nostro immaginario». Così, mi pare, si evita la tendenza a fare di esso un modello sul quale le “variazioni sul tema” saranno comunque sempre limitate o polarizzate, per quanto forte possa essere una loro destrutturazione o una contraddizione. Il lavoro della Fortezza vuole invece raccogliere una tradizione del passato per tramutarla in una fonte per la creazione di una tradizione del presente.

foto di Stefano Vaja

È qui che finiamo per evocare un antico e scomodo fantasma che tormenta il lavoro di questa Compagnia: il fatto che sia difficile rimuovere quel pregiudizio della coscienza che copre gli occhi a chiunque veda uno spettacolo in carcere. Per Punzo «è un problema, ma anche una grande fonte per la ricerca. Il carcere è un frammento nero ma potentissimo, se si compie un lavoro consapevole per individuare le trappole ed evitare di finirci dentro. Si tratta di prevedere le mosse del pubblico e della sua cultura». Un po’ come nel pugilato o negli scacchi, rispondo: molto più che ad attaccare, impari innanzitutto a difenderti, prevedendo le mosse dell’altro, sfruttando la dinamica di chi “gioca” con te in modo che – pur se in forma di tenzone – si finisca per giocare insieme. E il teatro è il regno perfetto.
«Sì – conferma Punzo – io ho imparato qui a lavorare innanzitutto con la mente dello spettatore. Metto sempre in scena una sedia nera, mezza bruciata e rovinata, che per me è lo spettatore, sempre presente. È quella persona che non vuole essere infastidita, che non è curiosa, che vuole trovare tutte le possibilità per facilitarsi la vita, che non vuole rischiare niente. Il nemico è quello spirito “conservatore”, molto vicino alla natura umana, e l’inasprirsi di quella natura ha reso pericolose quelle persone, nocive per sé e per gli altri. Sono quelle che ci fanno fuori tutti i giorni, assecondando la ricerca di sicurezza e garanzie».

foto di Stefano Vaja

Concordiamo però su quanto possa essere pericolosa anche la natura “progressista”, quella che vuole emanciparsi in maniera manifesta e orgogliosa da quella parte conservatrice. «Certi “progressisti” – aggiunge – hanno creato degli stereotipi, etichette e scatole dentro cui riporre una certa espressione artistica per poterla sempre trovare riconoscibile. E rassicurante».
Mentre il teatro non dovrebbe mai essere rassicurante. Allora, forse, a scartare lo strato autoritario di una visione schiava del relativo contesto può arrivare proprio quel passaggio che tramuta il modello in una fonte “bibliografica” per ragionamenti ulteriori e verso un nuovo livello di autorialità condivisa, che è in nuce già in questo primo frammento di Atlantis.
In questo modo si rende chiaro che non c’è una mente superiore che sta applicando il proprio immaginario governando l’azione di corpi altri (che a quel contesto e solo a quel contesto appartengono). Quelle tradizioni, quegli immaginari, quelle testualità vengono piuttosto tenute presenti come concrezioni che, accumulandosi, costruiscono lo spessore di un pensiero logico, scenico, e soprattutto politico.

Sergio Lo Gatto

ATLANTIS. CAP. I – LA PERMANENZA

regia e drammaturgia Armando Punzo
musiche originali e sound design Andreino Salvadori
scene Alessandro Marzetti, Armando Punzo
costumi Emanuela Dall’Aglio
movimenti Pascale Piscina
aiuto regia Laura Cleri
assistente alla regia Alice Toccacieli
collaborazione drammaturgica Rossella Menna, Alice Toccacieli, Laura Cleri, Paul Andrei Cocian, Lucio Di Iorio, Francesca Tisano, Elisa Betti, Giulia Guastalegname

in scena Luca Abate, Abd Al Monssif Abd Arahama, Ciro Afeltra, Roberto Agnello, Kalif Bashik, Nicola Maria Giuseppe Bella, Elisa Betti, Isabella Brogi, Nay Tunoo Bustos, Daniel Chukwuka, Paul Andrei Cocian, Giovanni Colombo, Pasquale Concas, Salvatore Costantino,
Maurizio Di Bella, Lucio Di Iorio, Fabrizio Dipasquale, Armando Di Puoti, Giovanni Fontana, Giulia Guastalegname, Antonio Iazzetta, Nik Kodra, Urim Laci, Antonio Lanzano, Li Jin Jie, Giuseppe Licata, Alessandro Lorena, Luca Matarazzo, Arjon Nezhaj, Marian Iosif Petru, Fernando Poruthoutage, Fabio Prete, Domenico Propero, Armando Punzo, Andrea Salvadori, Ivan Savic, Saimir Serjani, Marian Jan Stamate, Salvatore Stendardo, Timon Tarantino, Francesca Tisano, Tommaso Vaja, Kuytim Veliu, Alessandro Ventriglia, Stefano Vezzani

stage supervisor Andrea Berselli
sound engineering Alessio Lombardi
collaborazione alle scenografie Luca Dal Pozzo, Marian Iosif Petru, Luisa Raimondi,  Alessandro Lorena, Pasquale Concas
assistenti ai costumi Sara Fazio, Marta Balduinotti, Eleonora Risso, Pasquale Concas,  Salvatore Stendardo, Paul Andrei Cocian, Ciro Afeltra, Li Jin Jie, Giovanni Colombo
collaborazione artistica Isabella Brogi, Elena Turchi, Eden Tosi, Adriana Follieri
direzione organizzativa Cinzia de Felice
responsabile amministrativa e progettazione Elina Pellegrini
coordinamento Eva Cherici
contabilità e segreteria Giulia Bigazzi
responsabile attività formative Marzia Lulleri
accoglienza Silvia Pasquinucci
assistenza organizzativa Irene D’Alò
collaborazione organizzativa Francesco Zollo
driver Emiliano Gabellieri
assistente stagista Irene Gazzarri
ufficio stampa PepitaPuntoCom – Rossella Gibellini, Annamaria Manera
media e comunicazione Simone Pacini
graphic design Funambulo lab
foto di scena Stefano Vaja
video Nico Rossi, Gabriele Ciandri

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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