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Il discorso di Francesca Pennini al Premio Ada D’Adamo

Il 14 giugno 2023, presso la Sala Santa Rita, nell’ambito della Festa della Danza di Roma, Francesca Pennini – coreografa, danzatrice e fondatrice della compagnia CollettivO CineticO – ha ricevuto il Premio alla ricerca e all’inclusività nella danza contemporanea “Ada D’Adamo”. Pubblichiamo il discorso pronunciato durante la cerimonia di premiazione

Francesca Pennini durante la lettura del discorso. Foto Culture Roma

Buongiorno a tutte e a tutti.
Sono profondamente commossa da questo Premio, e vi ringrazio con tutto il cuore.
Lo sono per il nome che porta e per il senso profondo che ha al di là di ogni giudizio di merito.
Mi auguro possa essere il testimone di un approccio alla danza in grado di scardinare, sconfinare e valorizzare l’alterità come essenza e fondamento del linguaggio coreografico.

Racconto un aneddoto: quando ero adolescente e studiavo in un’accademia durante le classi di balletto avevo sbagliato la coordinazione tra gambe e braccia nell’arabesque… e ricordo che la mia insegnante, che mi rimproverava costantemente e duramente, con una verve ontologica mi ha detto “Francesca, questo movimento non esiste!”.
“Adesso esiste.” le rispondevo.

Ed è proprio “adesso” forse la parola fondamentale della danza.
La danza è la più fragile delle arti.
O meglio, forse, è la fascinosa declinazione della fragilità nell’arte.
E non parlo della fragilità data da uno scarso supporto da parte delle istituzioni, dalla minima o strabica visibilità mediatica, da un bacino di pubblico non così folto e variegato… Parlo di una fragilità più fondamentale e interessante:
Della danza non resta niente.
Proprio per questo è così fondamentale.
Perché quando è, mentre è, è davvero.
È il presente in tutta la sua pulsante rivelazione.
È un disfarsi costante nell’adesso, dove l’intensità dei ogni gesto sta nel fatto che compierlo coincide con il salutarlo, per sempre.
E in questo disfarsi fa i conti con la morte, costantemente.
Per questo credo davvero che la danza sia un allenamento alla morte.
È rinunciare al corpo finito, disfare continuamente il corpo.
È essere ciò che non è e non sarà mai fatto, ma si starà sempre ancora facendo.
È stare nella metamorfosi, contemporaneamente perdita e creazione.
È lo sfilarsi, un arto dopo l’altro, da ciò che si era un istante prima. Farsi spazio.
Farsi di spazio.
Disfarsi.

Io e Ada D’Adamo ci siamo incontrate l’ultima volta questo inverno, sui due fronti di una
stessa soglia.
Io ero appena sopravvissuta per miracolo a un incidente gravissimo, e dalla morte guardavo la vita.
Lei sapeva che non sarebbe sopravvissuta.
Mi ha detto che anche nei momenti più difficili della malattia è stata la danza a salvarla.
Nel sapere di un contatto, di un gesto, nella qualità del movimento di una carezza.
Mi ha detto “tutto sta nel trovare il proprio modo. Sono certa che troverai il tuo”.

Negli ultimi anni sono stata immobile molte volte e in molti modi.
Alle volte scegli di fermarti e adori una certa postura, convinta che sarà sostenibile a lungo.
Ma non è così, perché non lo sai.
Non sai mai abbastanza.
Altre volte sono rimasta immobile all’improvviso, senza prepararmi.
Senza mettersi comodi. Perché il presente arriva verticalmente e ti ferma proprio così.
Quelle sono le volte in cui scopri tutto quello che non pensavi assolutamente ci fosse.
Scopri che l’impossibile è da qualche parte a disposizione e il facile diventa incredibilmente difficile, ma un difficile senza gloria, fatto solo di verità.
Ho passato anni a ragionare su questo allenamento all’essere vegetale, allo stare nella resistenza, nella lentezza e nel microscopico.
Rimanere fermi immobili in una postura è come essere un albero che cresce aggrappato al dirupo. È un eroismo silenzioso. Tutto compare. Compare l’adesso, la grana del tempo.
Compare il fuori in tutto il suo brulicare.
Ma soprattutto compare il minuscolo, il dentro, il pulsare.
L’esercizio sta nel rimpicciolire la danza fuori da ogni evidenza, fino a farla entrare in un ordine di grandezza microscopico. In quell’ascolto, sotto a quella lente dell’attenzione, la danza è trasformazione.
Non spostamento, non migrazione del corpo e dei suoi pezzi nello spazio.
La danza, sempre e comunque irriducibile sotto l’utopia dell’immobilità, diventa trasformazione.
Pensando alla storia di Ada, a quella del rapporto con la figlia che ci racconta nel suo libro “Come D’Aria”, ripensandola sulla mia storia, sulla nostra e su quella dei tanti corpi che ho avuto la fortuna di incontrare e accompagnare nelle evoluzioni più o meno acrobatiche di una vita, il pensiero che vorrei condividere con voi oggi è questo:

Essere un corpo non è mai cosa data.
Nasciamo così: con un corpo che si separa da un altro corpo, con un corpo che abbiamo in dono. Ecco, abbiamo un corpo.
Ma esserlo non è cosa scontata.
Esserlo nella sua natura più impermanente, misteriosa, eroica, effimera. Essere un corpo è un processo creativo, artistico, politico.
Vorrei pensare la danza come un atto collettivo, condivisibile, come un organo di senso e uno strumento per diventare corpi.
Perché solo in un sistema di controllo regolamentato dei corpi un corpo non può.
Perché solo in un sistema ortogonale dei corpi i corpi non allineati sono chiamati fuori.
Il corpo non è lo strumento della danza, è la danza che è lo strumento del corpo.
Di tutti i corpi.
Perché uno strumento creativo che sente e inventa il corpo è uno strumento di libertà.
Grazie

Francesca Pennini
Roma, 14 Giugno 2023

Ecco, queste erano le parole che mi ero preparata.
A questo punto avrei introdotto la performance “No, non distruggeremo l’Ara Pacis”, avrei dato in mano una tastiera comandi al pubblico per guidare Angelo, Carmine e Simone bendati e con una mazza da baseball all’esplorazione dello spazio.
Per alcuni di noi sarebbe stata la prima volta in scena dopo molto tempo, dopo un mio atto di sparizione di molti mesi e l’immobilità dell’incidente.
La performance, come gli altri spettacoli del festival e di tante altre manifestazioni, non andranno in scena a causa del lutto nazionale per la morte di Silvio Berlusconi.
Perdonatemi se prendo questo spazio, ma a nome mio, di CollettivO CineticO e di tante artiste e artisti che hanno espresso la loro solidarietà su questo tema ci tengo a esprimere dissenso rispetto alla scelta governativa di celebrare un uomo che con il suo operato pubblico e privato ha fatto gravi danni al nostro paese.
Oggi, qui, vogliamo invece ricordare una persona preziosa che ha lasciato luce e una voce che ancora insegna e salva.
Grazie.

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