Inizia oggi al Teatro India Dominio Pubblico, l’esperienza di direzione artistica partecipata giovanile arrivata quest’anno alla decima edizione. Incontriamo Tiziano Panici, ideatore e fondatore, e i ragazzi e le ragazze dell’attuale direzione artistica tra bilanci e prospettive.
“Come ti immagini da grande? Se la risposta a questa domanda dieci anni fa era già difficile, oggi diventa sempre più faticosa e si fa sempre più pressante”. Eppure, lo slancio di questa edizione del festival Dominio Pubblico è in avanti: Oltreverso è il claim che accompagna la settimana di eventi che avranno luogo negli spazi del Teatro India dal 27 giugno al 2 luglio. L’esperienza di direzione artistica partecipata ideata nel 2013 da Tiziano Panici, Fabio Morgan e Luca Ricci arriva al decimo compleanno con consapevolezze nuove e nuove responsabilità. La sfida è trovare l’equilibrio tra una vocazione intrinseca alla giovinezza (intesa come apertura, permeabilità, cambiamento) e la maturità e solidità necessarie a preservare presupposti e obiettivi. “Se la parola chiave di un progetto come questo è sempre stata l’audience development, oggi occorre affiancarle il concetto di legacy, eredità, indispensabile nell’ambito dei processi di formazione e attivazione delle comunità”, spiega Tiziano Panici. Eredità è una parola bifronte: utilizzarla significa guardare insieme al passato e al futuro, a ciò che si è ricevuto e a ciò che si lascerà.
La fisiologica evoluzione della squadra stessa del festival contiene un seme di cambiamento significativo: se nelle precedenti edizioni la squadra di lavoro era arrivata a coinvolgere fino a venti o trenta giovani, quest’anno la direzione under25 è composta da dieci ragazzi e ragazze, coordinati da quattro veterane/i, come Clara Lolletti: “questo è per me il quarto anno di DP. Il fatto che il gruppo si sia notevolmente ristretto ha reso necessario rimodulare il percorso, vista la concentrazione delle energie e del carico di lavoro molto diverso. Quest’anno DP si è focalizzato su una formazione specifica e più profonda in ambito amministrativo/organizzativo. Il gruppo è diventato così più consapevole, partecipe e dunque responsabile”. L’esperienza è sempre più professionalizzante per chi vi partecipa approdando al progetto da strade diverse: Saverio e Lorenzo sono attori, Chiara viene da un’accademia di belle arti, Roberta e Viviana sono studentesse universitarie ma già orientate all’organizzazione più che alla creazione artistica. Questa consapevolezza sembra nelle loro parole provenire da una necessità comune: la volontà di captare nell’arte una narrazione del mondo più vicina alla propria. Non solo dire, ma prima di tutto ascoltare qualcosa che parli di loro, che aiuti a comprendere il mondo. Il gancio principale che attira ragazze e ragazzi nel mondo di DP è un abbonamento a prezzo speciale per la programmazione del teatro di Roma. Nella platea del teatro Argentina nascono i semi (aspettative, volontà, gusto) che verranno poi piantati durante il lavoro di programmazione del festival di giugno. Se da una parte l’etichetta “under 25” ha raggiunto la sua data di scadenza, come già altrove si è verificato (recentemente nell’ambito di Fuori Luogo, ne scriveva qui Andrea Gardenghi), parallelamente rimane evidente la necessità di uno spazio protetto. Come sottolinea Roberta Marolla, responsabile della relazione con gli artisti: “non dovrebbe servire un’etichetta che garantisca visibilità a una generazione, ma purtroppo resta necessaria. Se mancano ascolto e riconoscimento, ritrovarsi all’interno di una bolla assicura uno spazio di coesione in cui sentirsi uniti. Io vado a teatro per riconoscere una parte di me, ascoltare la mia storia raccontata diversamente, declinata diversamente. Ma oggi il teatro non parla con me, non parla di me: probabilmente perché dà per scontato che non ci sia pubblico giovane in platea”. In questo punto convergono le tante prospettive del progetto DP. La sfida è proteggere la fragilità della crescita dei giovani artisti quanto dei giovani operatori e non ultimi degli spettatori: una comunità che oggi come dieci anni fa fatica a conquistare uno spazio nell’establishment culturale, al netto di esperienze come le piattaforme di rappresentanza giovanile che tuttavia ancora non riescono ad essere integrate con intelligenza dalle istituzioni culturali.
Se in passato è servito denunciare questa condizione, riflettere su questo stato di asfissia, riconoscerlo, oggi la propulsione è orientata all’evoluzione, al futuro. Il fil rouge che unisce le opere selezionate per questa edizione del festival parte dal concetto di abitare: “abitare lo spazio e abitare il corpo, come presa di consapevolezza: noi siamo questo e vogliamo andare oltre, uscire dalla comfort zone”. Flavia Di Muro, che insieme ad Andrea Speranza (responsabile tecnico del festival) ha iniziato un percorso in Dominio Pubblico per approdare alla dimensione professionale all’interno del Teatro Argot, nota un cambiamento di approccio anche da parte degli artisti: “Se nelle passate edizioni c’era un’adesione più forte a problematiche e tematiche concrete (precariato, lavoro, pandemia), quest’anno abbiamo riscontrato una necessità di mettere alla prova i linguaggi sforando i confini del messaggio. La multidisciplinarietà che ha sempre caratterizzato la programmazione di Dominio Pubblico coniuga l’esigenza di rappresentare la complessità delle istanze espressive con il bisogno di una comunicazione con il pubblico il più possibile trasversale. Così accanto al teatro c’è la musica, le arti visive, il cinema, l’arte digitale. Come sottolinea Tiziano Panici, “i mondi virtuali aprono uno squarcio inedito. Il fascino dell’arte passa soprattutto da soglie tecniche piuttosto ardue; non tutti possono attraversarle ed è questo che genera quell’effetto di meraviglia che sta alla base dello scambio con il pubblico e che fornisce all’artista uno spazio d’espressione ampio. Riccardo Galdenzi ha consolidato e ampliato la proposta artistica iniziata già durante la scorsa edizione di DP. Quest’anno ha curato una mostra virtuale allestita appositamente per il festival e costruita su opere di artisti chiamati a ragionare e rielaborare il concetto di Oltreverso”.
Accanto ai lavori selezionati da bando, il programma ospita una serie di artiste e artisti che sono transitati in passato dal festival e che oggi vi riportano esperienze più mature. La compresenza di artisti più strutturati ed esperienze al debutto è, per voce della direzione under 25, un grande valore aggiunto: “Nonostante il livello dei progetti selezionati da bando sia alto, i prodotti che arrivano sono quelli di artisti ancora acerbi. Aver avuto la possibilità di integrarli con esperienze più consolidate aiuta anche gli emergenti. Esibirsi in un contesto condiviso li espone ad un pubblico che diversamente non avrebbero avuto e li mette alla prova concretamente”. La buona pratica evidente è quella del mutuo soccorso: più volte emerge la responsabilità assunta dalla direzione artistica partecipata verso i propri coetanei artisti. Come racconta ancora Clara Lolletti, “dall’anno scorso ci siamo presi la responsabilità di fornire feedback dettagliati e consigli a tutti i 150/170 progetti arrivati tramite bando. Come direzione artistica avere un target ristretto (quello under25) significa avere maggiore cura delle persone prima che degli artisti”. Viviana Bergamasco, responsabile amministrazione, Siae e contratti, aggiunge: “per chi si affaccia a un mondo creativo ma anche estremamente pratico mettersi alla prova è indispensabile perché nella formazione spesso mancano le occasioni. Lo abbiamo notato nell’esperienza del bando. Molti giovani artisti davanti alla possibilità di esporsi in un ambiente importante si rivelano del tutto impreparati a proporre il loro lavoro, valorizzarlo, perché magari non si sono mai trovati prima a farlo, non hanno idea di quali siano gli aspetti pratici e organizzativi”.
Al supporto reciproco si rende necessario affiancare una costante cura nella trasmissione di saperi, appannaggio della direzione di Panici, il quale resta il punto di congiunzione tra generazioni ed esperienze analoghe. “Quale ruolo hanno e a cosa servono i modelli e le esperienze under 25 che in Italia si sono moltiplicati in maniera impressionante negli ultimi anni? È la domanda che continuiamo a farci, consapevoli della necessità di rimanere sintonizzati su un mondo in continua evoluzione. Da questa domanda è nato Fruitor Passiv, il lavoro del regista Roger Bernat che tramite la rete Risonanze ha incontrato e intervistato tutte le direzioni under25 della penisola per tracciare una mappa e stimolare una riflessione. L’esito di questa ricerca convergerà in un dispositivo ospitato tra gli appuntamenti del festival per simulare e testimoniare questi processi. La necessità di autoanalisi e ricerca nasce dallo scontro che c’è sempre stato anche con la critica nella lettura del nostro progetto. C’è chi pensa che lo strumento della direzione artistica partecipata non sia adeguato, ma è chiaro che la differenza la fanno le persone. Sono necessarie responsabilità, lucidità e consapevolezza. Ad esempio, il Teatro di Roma è un’istituzione fiaccata da tante cose, che stenta a tenersi in piedi, per questo il tavolo di lavoro comune dopo tanti anni non ha raggiunto il livello di compenetrazione sufficiente a renderlo uno strumento valorizzato al cento per cento. Ma non è tutto inutile, si creano processi d’attenzione: occorre essere lucidi e consapevoli di quali strumenti vanno promossi e cosa si può tentare di migliorare”. Tanto più nell’ambito di una realtà da valorizzare e proteggere non solo teoricamente, ma nel pratico del colossale cartellone dell’Estate Romana nella quale è inserita. La sovrabbondanza di offerta culturale impone di rimodulare continuamente le modalità operative. Dice ancora Panici: “C’è un grande problema di impreparazione. Le persone che gestiscono a livello istituzionale progetti come l’Estate Romana non sono preparate. È stato evidente da subito che quest’estate sarebbe stata un’accozzaglia di eventi, tutti sulla stessa soglia di partenza. Dominio Pubblico, Attraversamenti Multipli, Fuori Programma sono già delle piccole istituzioni, ma rispetto ai grandi eventi della città rimangono sempre in una fascia quasi invisibile. Non solo sono sovrapposti tra loro, ma in più si sovrappongono ai grandi eventi musicali e all’offerta “localara”. In questa dimensione è difficile creare un giardino che abbia un certo tipo di valore, riuscire a farlo abitare in un certo modo. Questo è un problema da affrontare nei prossimi anni”.
Questa sovrabbondanza di offerta appare in maniera lampante al Teatro India, nel cui cortile campeggia il tendone da circo della compagnia El Grito che ospiterà gli eventi della rassegna CircoInFest del Teatro di Roma, contemporanea a Dominio Pubblico. “Siamo consapevoli che il genere festival così come DP l’ha interpretato fino ad oggi va ripensato. La dimensione festivaliera è fin troppo diffusa e per riuscire a centrare degli obiettivi che il festival stesso si prefigge devi avere delle formule extra forti e senza una certa mole di economie difficilmente riesci ad ottenerle. In DP si possono vedere cose che altrove non si trovano: prima di tutto per l’anagrafica delle proposte, con le loro fragilità ma totalmente inedite”.
Sabrina Fasanella
Dominio Pubblico – Youth Fest OLTREVERSO qui il programma
X edizione
dal 27 giugno al 02 luglio 2023 al Teatro India – Lungotevere Vittorio Gassman, 1