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PRIMA (di Pascal Rambert)

Questa recensione fa parte di Cordelia, maggio 2023

Quando l’incontro è vera matrice drammaturgica ed espressiva, allora il teatro ne diviene luogo di possibilità, spazio dell’accadimento ma anche strumento attraverso cui la vita fluisce e si organizza. È questo l’incontro che scandisce la genesi e lo sviluppo della pièce di Pascal Rambert, portata al Piccolo Teatro di Milano: quello con il direttore Claudio Longhi, quello con gli attori, quello con l’arte di Paolo Uccello. Dell’artista quattrocentesco, innovatore della visione prospettica pittorica, Rambert riprende non soltanto la struttura compositiva dell’iconografia che l’ha reso celebre ma anche l’idea di successione del trittico, sviluppando, per l’appunto, un progetto che si divide in tre spettacoli. Attraverso questa scansione per fasi, evidenziata anche dai titoli delle opere Prima, Durante, Dopo, il regista francese porta avanti una personale indagine metateatrale, che vuole sviscerare le dinamiche di costruzione spettacolare attraverso uno sguardo che tenta continuamente di conciliare due prospettive, una esterna alla scena e una interna. È forse questo il problema che si riscontra in Prima: la stratificazione dei ruoli, reali e interpretati, – registi, attori, costumisti – invece di liberare i personaggi li cristallizza, attraverso un linguaggio drammaturgico sicuramente di rilievo, poetico e di una matericità quasi carnale, ma che affatica lo spettatore, incapace di ancorarsi pienamente alla pratica sulla scena perché eternamente scisso sia nello sguardo sia nel respiro. L’unico cardine attivo resta quello visivo, che evidenzia il raffinato gusto estetico dell’autore: l’ambiente creato nelle luci di Yves Godin riflette così un candore tipico delle cose non ancora avvenute e l’ambiguità di qualcosa che sta per accadere, incalzato al tempo stesso dalle inquietanti musiche di Alexandre Meyer. Sullo sfondo, La Battaglia di San Romano permea la scena e le relazioni tra i personaggi – di amore, di amicizia, di professione – e diviene non solo riferimento ma traccia costante, tensione di conflitto, agitazione nervosa dei corpi, intensificando quel rapporto necessario tra rappresentazione e realtà, tra dimensione verbale e dimensione scenica, tra vita e teatro. (Andrea Gardenghi)

Leggi anche l’intervista a Pascal Rambert

Visto al Teatro Piccolo Grassi di Milano. Crediti: testo e regia Pascal Rambert, traduzione Chiara Elefante, scene Pascal Rambert e Anaïs Romand, costumi Anaïs Romand, luci Yves Godin, musiche Alexandre Meyer, assistente alla regia Virginia Landi, con (in ordine alfabetico) Anna Bonaiuto, Anna Della Rosa, Marco Foschi, Leda Kreider, Sandro Lombardi, produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, in coproduzione con structure production e Compagnia Lombardi-Tiezzi. Ph Masiar Pasquali

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Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi
Andrea Gardenghi, nata in Veneto nel 1999, è laureata all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Conservazione e Gestione dei Beni e delle Attività Culturali. Prosegue i suoi studi a Milano specializzandosi al biennio di Visual Cultures e Pratiche Curatoriali dell’Accademia di Brera. Dopo aver seguito nel 2020 il corso di giornalismo culturale tenuto dalla Giulio Perrone Editore, inizia il suo percorso nella critica teatrale. Collabora con la rivista online Teatro e Critica da gennaio 2021.

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