Questa recensione fa parte di Cordelia, ottobre 2022
Reporters de guerre è l’esordio alla regia di Sébastien Foucault, piéce che apre la stagione teatrale al Piccolo di Milano e che, a partire da alcune citazioni del film Blade Runner, filtra il teatro documentario attraverso l’utilizzo di diversi media, dalla telecamera, alla proiezione video, all’elemento radiofonico. Visione ed ascolto diventano i cardini di una forte esigenza narrativa, tradotta nella drammaturgia di Julie Remacle, curata dalle luci di Caspar Langhoff e dal suono di Kevin Alf Jaspar. In scena, Françoise Wallemacq, Vedrana Božinović e Michel Villée sono ex-giornalisti che hanno vissuto sul campo le tragedie del conflitto scoppiato nelle regioni della ex-Jugoslavia. Le loro documentazioni, riportate in tre lingue – inglese, francese e bosniaco – creano una dimensione internazionale, si intrecciano ai racconti personali, alle interviste, alle ricostruzioni di fatti atroci realmente accaduti e che incontrano ora lo scoglio, doloroso, della spiegazione. Tuttavia, è nel finale che il tentativo di verismo si sgretola e cede, ripiegandosi nella ricerca di una roboante spettacolarizzazione e nella finzione di una messa in scena che cerca invano di colpire allo stomaco dello spettatore con un eccesso di visione: la platea è così una piazza di giovani. Qui, una bomba esplode, le orecchie fischiano per poi scoppiare e un post-it decreta chi perde la vita, ma sul palco, a raccogliere il dolore collettivo, è il corpo feticcio di un bambino, che è un manichino, una bambola, un corpo finto per un lutto che, nell’iperbole di un’immagine ricostruita, continua a sfuggire alla profondità del sentimento. (Andrea Gardenghi)