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The Great Tamer. Papaioannou, all’Inferno e ritorno

A Torinodanza 2018 torna “The Great Tamer” di Dimitris Papaioannou, che presenta anche la video installazione “Inside”. Recensione

Foto Julian Mommert

In The Great Tamer (il grande domatore, ossia il tempo), dedicato al mito di Proserpina, il rapporto tra Aldilà/Ade, e aldiquà/mondo si gioca per Dimitris Papaioannou, su di una sottile striscia di terra. Il regista-coreografo, artista visivo e disegnatore eccelso, ce la propone in uno scabro spazio vuoto, sopra un vasto insieme di plance sconnesse, appena accostate. Verranno sollevate, rialzate come pannelli, sovrapposte e divelte; dalla loro sottostante e ignota profondità usciranno pezzi di corpi e corpi integri, pietre bianche, aride radici (omaggio all’artista visivo Jannis Kounellis), attaccate alle scarpe del primo performer in cui ci imbattiamo all’inizio. Uno spettacolo-trionfo già al Napoli Teatro Festival Italia 2017, nel più adatto Teatro Politeama, e ora a Torinodanza 2018, ospite pure di Inside, magnifica video-installazione firmata dall’artista greco nel 2011.

Foto Julian Mommert

Impietrito in proscenio, il primo performer in scena in The Great Tamer si svestirà e “morirà” nudo per ben cinque volte a terra (con i piedi rivolti a chi guarda, come il Cristo del Mantegna), coperto da un lenzuolo bianco steso da un collega ma allegramente destinato a volar via. È una reiterazione, espediente caro a Pina Bausch, e ripreso anche verso il finale, ma senza ulteriori agganci con la coreografa di Wuppertal – tanto è distante da lei quella sorta di archeologia personale del sé che incontra l’altro, tra sacrificio, violenza, amore, cannibalismo, humour e tragedia, che informa la poetica dell’artista greco. I suoi dieci, impeccabili e più che espressivi interpreti – sette uomini in completi scuri, l’abituale “divisa” scenica di Dimitris, o spesso nudi, e tre donne anche avvolte in drappi colorati – restituiscono spesso quel Body Mechanic System, metodo di sua invenzione – e già molto copiato – per distorcere i corpi in illusorie “macellerie” fisiche, e per farli interagire in quel campo di battaglia che è il palcoscenico.

Foto Julian Mommert

Una danzatrice a petto nudo, infilata tra due uomini, presta alle loro gambe muscolose i suoi tacchi a spillo. Astronauti in bianco – tre, tra cui una donna – strappano dal sottosuolo la bellezza di un giovane à la Botticelli. Nudo ed efebico, il ragazzo attirerà l’attenzione di tre danzatrici in scialli dorati e si muoverà vezzosamente a ogni soffio diretto alla sua nivea carne. Farà però una brutta fine: cadrà nel vuoto (le plance a terra sono sopraelevate e attorno al palco v’è sempre un gran via vai) e tornerà ingessato.

Questa terra senza Proserpina – entrata all’inizio della pièce come una autentica Kore con un vaso contenente un tempietto corinzio con acacie (finezze di un autore ben conscio dei miti e dell’arte del suo Paese) ma non sempre in scena – non merita altro che La lezione d’anatomia del Dottor Tulp in abiti à la Rembrandt, culminante in un banchetto cannibale in cui ci si ciba con le viscere del giovane ex-ingessato e poco prima vivisezionato. Sibili, rantoli, respiri pesanti, addio al Bel Danubio Blu di Johann Strauss – opportuna colonna sonora di questa specie di “Odissea 2017-18 sopra e sottoterra” (anche Kubrick adottò lo stesso valzer viennese), coincidono con l’ingresso di vari mappamondi di diverse grandezze, che qualcuno solleva e qualcun altro cavalca come si cavalcano accalcandosi, uno sopra l’altro, i dieci interpreti in nero per far massa e poi volare su funi pesanti in una follia in trampoli e con bastoni, che ricorda i Caprichos di Goya.

Foto Julian Mommert

Per fortuna il ragazzo ex-Botticelli e non più ingessato inanella una danza spigolosa ma paradisiaca: grazia naturale, poesia in movimento che potrebbe durare all’infinito. Ma Papaioannou, adepto dell’Arte povera, sa bene che «less is more»: nel calibrato dialogo tra tempi lunghi, silenzi, Strauss (anche distorto) e boati, concede al risveglio della terra solo una repentina e folgorante gragnola di spighe di grano che miracolosamente rinverdiscono, dopo essersi conficcate al suolo.

Foto Julian Mommert

È un invito alla rinascita della natura, alla procreazione con tanti organi maschili in evidenza dal sottosuolo, uniti in una scultura non volgare, mentre una coppia a terra si stringe in meravigliosi e contorti abbracci acrobatici percorrendo tutto il proscenio, o quasi. Ben presto, però, il primo performer comparso in scena sprofonderà lentamente nella terra, richiamato da un cenno quasi impercettibile di Proserpina. Sul palco ormai desertificato, due interpreti si incaricano di far scorrere uno scheletro lungo un pannello e di gettarlo via. Nell’ultima immagine, un superstite estrae dalla giacca un piccolo foglio luccicante e dorato, frutto della lotta con un precedente tubo di metallo e vi soffia sopra.
The Great Tamer è una vanitas, più che un funerale della bellezza, ed è colma di speranza. Forse il tempo, grande domatore, ha per noi, nell’Aldilà, sorprese inattese.

INSIDE video-installazione

Inside. Foto Julian Mommert

Quanto ad Inside, video-installazione senza inizio e senza fine (6 ore camera fissa), presentata da Torinodanza nel grandioso spazio OGR, è un invito a meditare. In una stanza vanno e vengono performer che compiono gli stessi gesti, tra bagno, piccolo angolo di cucina, letto e una vetrata continuamente spalancata e chiusa che da su di un balcone e su scorci di Atene mutante nelle prospettive più che nelle ore del giorno. Tra possibili assonanze con Edward Hopper e Andy Warhol, l’originalità nella solitudine interiore e straziante della quotidianità, è screziata di umorismo: tutti i performer, quando stesi sul niveo lettone, vi spariscono dentro, dopo aver incolonnato un bicchiere su di un calorifero e l’ultimo cade, raccolto da una mano nascosta. Lo sguardo si posa sui gesti e i movimenti reiterati e immagina possibili racconti, oppure si sofferma sulla perfetta geometria formalista e drammatica: opera d’arte in sé.

Marinella Guatterini

Fonderie Limone Moncalieri, Torino (Torinodanza Festival), settembre 2018

THE GREAT TAMER
ideazione e regia Dimitris Papaioannou
con Pavlina Andriopoulou, Costas Chrysafidis, Ektor Liatsos, Ioannis Michos, Evangelia Randou, Kalliopi Simou, Drossos Skotis, Christos Strinopoulos, Yorgos Tsiantoulas, Alex Vangelis
set designer e collaborazione alla direzione artistica Tina Tzoka
collaborazione artistica per costumi Aggelos Mendis
collaborazione al disegno luci Evina Vassilakopoulou
corraborazione artistica per il suono Giwrgos Poulios
installazione disegno audio Kostas Michopoulos
musiche Johann Strauss II, An der schönen blauen Donau, Op. 314
adattamento musicale Stephanos Droussiotis
disegno sculture Nectarios Dionysatos
costumi e pittura oggetti di scena Maria Ilia
produttore creativo-escecutivo e assistente alla regia Tina Papanikolaou
assistente alla regia Stephanos Droussiotis
direttore prove Pavlina Andriopoulou
direttore tecnico Manolis Vitsaxakis
direttore di scena Dinos Nikolaou
assistente ingegnere del suono Nikos Kollias
assistente scenografo- pittore scene Mary Antοnopoulou
assistente scultore Maria Papaioannou + Konstantinos Kotsis
assistente alla produzione Tzela Christopoulou
tour manager e relazioni internazionali Julian Mommert
assistente produttore esecutivo Kali Kavvatha
produzione Onassis Cultural Centre – Athens (Greece)
in coproduzione con CULTURESCAPES Greece 2017 (Switzerland), Dansens Hus Sweden (Sweden), EdM Productions, Festival d’Avignon (France), Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia (Italy), Les Théâtres de la Ville de Luxembourg (Luxembourg), National Performing Arts Center-National Theater & Concert Hall
NPAC-NTCH (Taiwan), Seoul Performing Arts Festival
SPAF (Korea), Théâtre de la Ville – Paris / La Villette – Paris (France)
produttore esecutivo 2WORKS
con il sostegno di Alpha Bank e Megaron – The Athens Concert Hall

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