Banner “Banner Danza in rete
Banner workshop di critica a inDivenire
Banner “Banner Danza in rete
Banner “Banner Danza in rete
Banner workshop di critica a inDivenire
HomeArticoliAl Teatro Metastasio una poltrona per due. Intervista a D'Ippolito/Civica

Al Teatro Metastasio una poltrona per due. Intervista a D’Ippolito/Civica

Al Teatro Metastasio inizia un nuovo corso di direzione artistica: a Franco D’Ippolito si affianca Massimiliano Civica. Intervista

foto di repertorio dis

Una poltrona per due? Quando la capienza, prima che sotto la scrivania, è della capacità ideativa ecco che si può immaginare un modello diverso, in cui operatori lungimiranti si avvalgono di artisti capaci di una visione concreta del sistema, di intellettuali organici in grado di interagire con la responsabilità pubblica di un teatro pubblico. Franco D’Ippolito è nel suo studio, negli uffici del Teatro Metastasio di Prato, lo raggiungo insieme a Massimiliano Civica, regista pluripremiato, appena nominato consulente per la direzione artistica. Siamo fuori dallo studio, bussiamo e aspettiamo, in religiosa ottemperanza dei ruoli preesistenti, perché se si vuole innovare, la prima cosa da fare è rendere forte quanto già ottenuto e conservarlo per chi arriva dopo.

In un contesto come il Teatro Metastasio di Prato, già da tempo virtuoso laboratorio di modelli di direzione, arriva ora la proposta di un tandem che tenga insieme una parte gestionale manageriale con una di carattere più artistico. Come è nata questa ideale condivisione?

Franco D’Ippolito: Troppo spesso viene messa in secondo piano la “responsabilità pubblica” di un teatro che produce e programma ed i cui soci proprietari sono gli Enti pubblici territoriali (che è cosa diversa dalla “funzione pubblica” che è comune a tutti i soggetti teatrali). Mi sono accorto, nei primi due anni della mia direzione, che il lavoro manageriale-culturale non poteva esaurire questa “responsabilità”. Ho sentito dunque la necessità di avere una controparte portatrice di un pensiero artistico con cui confrontarmi. Pensare a Massimiliano Civica è stato naturale per almeno due motivi: il primo è la sua frequentazione storica con il progetto del Teatro Metastasio; il secondo sta nel fatto che, unitamente alla sua indiscutibile qualità d’artista, si tratta di uno dei pochi intellettuali organici del teatro italiano, che ha cioè un pensiero su ciò che un teatro deve fare e sulla comunità a cui deve indirizzare (dedicare) il proprio progetto culturale.

Massimiliano Civica: Non è inconciliabile tenere contemporaneamente i conti in ordine e sostenere un progetto artistico di alta qualità. Vorrei partire da un esempio cui tengo molto: stiamo strutturando un percorso produttivo che permetta a Claudio Morganti, che, personalmente, considero uno dei maggiori teatranti europei, di realizzare Processo a Woyzeck, lo spettacolo a cui sta lavorando da tempo. Nelle nostre intenzioni lo spettacolo – che vedrà impegnati dieci attori e che andrà in scena nello spazio del Fabbricone riadattato per l’occasione – aprirà la stagione 2019 del Metastasio. Le spese di questa operazione sono in linea con le produzioni tipo di un teatro della nostra fascia, quindi, con una previsione di costi/ricavi “commercialmente” sana, possiamo sostenere un’eccellenza come Morganti, artista il cui valore è riconosciuto da tutti ma che non ha la visibilità che merita. Tutto questo grazie anche ad una collaborazione virtuosa con realtà teatrali diverse dalla nostra ma complementari, come la residenza artistica ARMUNIA e il TPE, che sono nostri partner nel progetto.

Quali altri artisti sono stati coinvolti nei progetti del triennio?

Civica: Il nostro obbiettivo è quello di sostenere quei teatranti che, nei fatti, rappresentano le nuove eccellenze artistiche del teatro italiano ma che, per l’inerzia connaturata al nostro ambiente, non sono ancora ospitati stabilmente nei grandi palcoscenici e nei circuiti maggiori a cui ormai dovrebbero appartenere di diritto. Per questo motivo nel prossimo triennio produrremo o coprodurremo, tra gli altri, Deflorian/Tagliarini, Roberto Latini, Antonio Latella, Frosini/Timpano, Anagoor, Licia Lanera, Oscar De Summa, Roberto Abbiati, Babilonia Teatri (con un progetto meraviglioso su Giulio Regeni). Metteremo dunque in campo una serie di produzioni per dare la giusta visibilità agli esponenti del nuovo teatro, proprio perché crediamo che un teatro pubblico abbia l’obbligo di essere un po’ più avanti degli spettatori e offrire loro proposte artistiche di cui potranno riconoscere in un futuro più che prossimo la grandezza.

D’Ippolito: A queste proposte si affianca una rinnovata e ampliata apertura internazionale che non corrisponde soltanto alla voglia di confrontarsi con il resto del teatro europeo e non, ma anche al desiderio di misurare il “fare teatro” in una società globale, affrontando i limiti naturali della differenza linguistica accogliendo quei cambiamenti nelle modalità produttive che sono già in atto all’estero. Stiamo lavorando su importanti coproduzioni assieme a grandi teatri e festival stranieri, scambiandoci modalità e processi secondo le diverse caratteristiche. Saranno coinvolti artisti europei come Katie Mitchell insieme al Théâtre des Bouffes du Nord e una miriade di soggetti internazionali -un po’ come succede nel cinema-, come Jan Fabre per il suo primo spettacolo in italiano con Lino Musella, o Roberto Romei, emigrato a Barcellona, in un progetto bilingue italo-catalano su un grande classico, con quattro attori italiani e quattro catalani. Ma c’è un esempio su tutti che mi piace sottolineare e riguarda una Turandot con l’Opera di Pechino – che ci vede coproduttori insieme con ERT – in cui saranno impegnati attori della Compagnia dell’Opera di Pechino in un allestimento che realizzeremo a Pechino con una regista italiano e una squadra tecnica fornita da noi per le repliche in Europa: la cosa sarebbe in sé insostenibile sul piano organizzativo e dei costi se ognuno dei partner non condividesse il rischio e integrasse le proprie funzioni. Mi sembra un esempio di collaborazione produttiva che dovremmo favorire, liberando le coproduzioni da inutili vincoli e limitazioni, perché è mia convinzione che coprodurre – come accade in tutto il mondo – sia il modo migliore per rispondere alle difficoltà del presente.

Oltre a queste grandi produzioni avete immaginato anche progetti di sostegno per teatranti ancora in formazione?

Civica: Abbiamo appena varato un progetto a cui teniamo molto, Davanti al pubblico, che permetterà ogni anno ad un regista neodiplomato di una delle migliori scuole di regia italiane di realizzare il sogno di mettere in scena il suo primo spettacolo. Il regista che verrà selezionato avrà un’occasione che in Italia è senza precedenti: il suo spettacolo sarà prodotto dal Metastasio e ospitato nella stagione ufficiale del teatro, avrà dei pre-debutti in festival estivi importanti come Inequilibrio a Castiglioncello e Kilowatt a Sansepolocro, e farà dieci repliche nei teatri del circuito regionale della Toscana. Non imporremo tematiche o autori da noi scelti, quindi ogni giovane regista potrà proporci lo spettacolo che ha cuore di realizzare, e avrà la possibilità, una volta uscito dalla scuola, di fare il suo debutto in condizioni di lavoro e in circuiti professionali. Ovviamente siamo consci di assumerci un rischio, perché non è detto che, a un progetto sulla carta interessante, corrisponda un lavoro finito esente da pecche e difetti, ma è un rischio dovuto se si vuole dare l’occasione alle giovani leve di mettersi alla prova. L’abilità di Franco D’Ippolito è stata quella di costruire un progetto produttivo che, dividendo i rischi tra i vari enti coinvolti, renda l’operazione economicamente sostenibile, ribadendo la nostra convinzione che qualità e rischio artistico non comportano inevitabilmente un deficit di bilancio.

Secondo questo nuovo corso che sappia andare incontro alle esigenze degli artisti, ci saranno cambiamenti strutturali per ciò che riguarda il sistema residenziale della creazione?

D’Ippolito: Abbiamo pensato di fare tutto il possibile per dare spazio ai nuovi modelli di creazione, che si sono radicalmente modificati negli ultimi 30 anni, e per accoglierli nei processi produttivi di un teatro a “responsabilità pubblica”. Strehler, ad esempio, creava i propri spettacoli passando per qualche giorno di lettura a tavolino e 4 o 5 settimane di prove in palcoscenico, cui seguiva il debutto e la tournée. Da anni ormai le modalità di creazione sono diverse e rispondono a una diversa intenzione artistica: si procede per fasi di prova in periodi non continuativi, per rispondere all’esigenza di creare in un modo meno demiurgico, più riflessivo e analitico.

Civica: Il vero nemico è l’inerzia mentale degli addetti a lavori, che rende difficile aggiornare le pratiche produttive alle nuove modalità creative degli artisti di oggi. I grandi protagonisti della regia critica si misuravano con un testo dato, il più delle volte un “classico”, e molte delle spese andavano nella scenografia, che era essenziale per illustrare la personale chiave esegetica che di quel testo dava il regista. Oggi, artisti come Deflorian/Tagliarini, Oscar De Summa, Babilonia Teatri ecc. sono insieme registi, attori e drammaturghi che, in un faccia a faccia immediato con la realtà presente, “scrivono” il loro spettacolo con/su/attraverso gli attori con cui lavorano. Bisogna dunque dare loro il tempo di scrivere, in sala di lavoro, un testo (spettacolare), che non precede, ma nasce nel tempo delle prove. A questi teatranti non è giusto proporre i 30/35 giorni di prova canonici, perché sarebbe stato come chiedere a Castri di realizzare nello stesso lasso di tempo uno spettacolo senza avere un testo da cui partire. E non bisogna pensare che questa modalità produttiva costi più della vecchia. Visto che questi artisti spesso lavorano con lo spazio vuoto o con oggetti scenici minimi, perché non dare loro, sotto forma di un periodo di prove più lungo, la stessa cifra – spesso ingente – che prima si spendeva volentieri per le scenografie?
Forse una possibile risposta a questo atteggiamento, a questa resistenza mentale al cambiamento, è nel preconcetto che gli spettacoli di questi nuovi artisti, mancando appunto di apparati visivi grandiosi, non possano “reggere” i grandi palcoscenici. E Deflorian/Tagliarini che hanno successo nel palco sconfinato dell’Odéon a Parigi? Prima di vietar loro il “salotto buono”, non sarebbe il caso di verificare se sanno abitarlo a modo loro?

E quale sistema lo renderebbe possibile?

Civica: Queste nuove modalità produttive richiedono un sistema teatrale integrato che, paradossalmente, esiste già, ma che non lavora in sinergia come è stato concepito per fare. Mi spiego meglio. I teatri di produzione, le residenze teatrali e i circuiti teatrali regionali sono progettati per svolgere funzioni complementari, collaborando tra di loro per produrre e distribuire spettacoli di qualità. Un teatro come il Metastasio (dunque un Tric o un Nazionale) ha il compito di fornire il sostegno produttivo: le paghe agli attori, al regista e al personale tecnico. Una residenza teatrale ha il compito di offrire lo spazio, il vitto e l’alloggio per il tempo laboratoriale delle prove. Infine, una volta che lo spettacolo è pronto, un circuito regionale ha il compito di distribuirlo in modo che raggiunga il pubblico più ampio e differenziato possibile.
Se questi soggetti lavorassero insieme, ognuno svolgendo la funzione che gli è propria, ci sarebbe la concreta possibilità di diminuire il rischio economico e di rendere commercialmente sostenibili quegli spettacoli di qualità che il teatro pubblico deve portare davanti a più spettatori possibili.
È in quest’ottica che abbiamo attivato progetti come Davanti al pubblico, che vedono collaborare assieme teatri di produzioni, residenze teatrali, festival e circuiti regionali.

Franco D’Ippolito, l’operazione che hai promosso sembra un po’ come autoiniettarsi nel proprio organismo una componente diversa da sé stessi, per produrre qualcosa di forse ignoto, molto simile proprio a questa forma d’arte. Quale esempio vorresti fornire al sistema teatrale?

D’Ippolito: Una cosa su tutte: “si può fare”! Non ho l’ambizione di delineare un modello virtuoso assoluto, dire ciò che deve fare il teatro pubblico, ma più semplicemente e concretamente di praticare un modo nuovo, perfettamente sostenibile, di coniugare gestione e creazione. Vorrei riuscire a testimoniare così la possibilità di assumersi realmente il rischio culturale di spostare in avanti il gusto e l’abitudine del pubblico, la ricerca degli artisti per un linguaggio che abbia le dinamiche del pensiero contemporaneo e che sappia portarle in scena, davanti al proprio pubblico. Con la massima ambizione di riconquistare una centralità dell’esperienza teatrale nella vita quotidiana, nel confronto fra artisti e cittadini/spettatori.

Civica: Per cambiare un sistema e per costruire un pubblico “di qualità” bisogna capire che ci vuole tempo: una politica culturale andrebbe sostenuta per un decennio, e valutata alla fine di questo periodo. Se ogni anno riuscissimo a realizzare il 52% di quello che idealmente vorremmo fare, dopo 10 anni, di 2% in 2%, arriveremmo a realizzare il 70% del nostro progetto ideale, che non è poco!
Dobbiamo essere consci che oggi a teatro c’è un numero incredibile di artisti che portano avanti un discorso profondissimo sull’uomo e sulla realtà. Mi permetto di dire che oggi in Italia il teatro è la punta avanzata dell’umanesimo: è a teatro che ci si interroga sulla vita, sulla morte, sulla religione, sul senso dell’esistenza, su i temi più controversi della società, della politica e della civiltà. E se la maggioranza degli italiani non è informata di questo fermento, non è perché la gente va meno a teatro di prima (i dati reali dicono tutt’altro), ma perché al teatro mancano i “risuonatori”: quegli intellettuali tout court che, come Nicola Chiaromonte, Natalia Ginzburg, Albero Moravia, Elsa Morante, dalle pagine dell’Espresso, dei giornali e dei grandi periodici, avvertivano la gente che accadeva qualcosa di fondamentale nella “cantine romane”, negli spettacoli di Carmelo Bene, di Grotowski e di Kantor. Oggi invece i mâitre à penser televisivi non vanno a teatro, se non per farlo essi stessi.

Simone Nebbia

Prato – Marzo 2018

Telegram

Iscriviti gratuitamente al nostro canale Telegram per ricevere articoli come questo

Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Pubblica i tuoi comunicati

Il tuo comunicato su Teatro e Critica e sui nostri social

ULTIMI ARTICOLI

Valerio Binasco nelle ferite di Jon Fosse

Recensione. Dopo aver debuttato in prima assoluta al Teatro Carignano di Torino, La ragazza sul divano di Jon Fosse con la regia di Valerio...

Media Partnership

Contemporaneo Futuro: nel tempo della nuova visione

Presentiamo con un articolo in media partnership la IV edizione del festival Contemporaneo Futuro dedicato ai nuovi autori e ai nuovi pubblici a cura di Fabrizio Pallara che si svolgerà al Teatro India - Teatro Torlonia dal 10 al 14 aprile .