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La riforma del teatro di prosa e il sogno lucido

La riforma del teatro di prosa è ormai entrata nei sogni di artisti e operatori. Parte da questo spunto Franco D’Ippolito, direttore del Teatro Metastasio di Prato, per una lucida riflessione

fus riforma teatro sogno d ippolito grid 450Accade a volte di ricordare i sogni che facciamo; forse perché il sogno è l’appagamento sostitutivo di un desiderio inconscio?

Ho sognato in una delle prime notti del nuovo anno la presentazione della riforma del teatro di prosa. Di fronte ad una sala gremita di volti noti, ci veniva spiegato l’impianto della riforma. Al sistema dello spettacolo dal vivo è affidato il compito di realizzare il dettato dell’art.9 della Costituzione, riconoscendo ai soggetti finanziati la funzione pubblica di favorire la crescita culturale dei cittadini attraverso pari opportunità di fruizione delle attività. I Teatri Nazionali sono riconosciuti direttamente dal Ministro (in un numero limitato che non ricordo precisamente, ma che era indicato dalle dita di una sola mano) e ad essi si applica uno statuto speciale che prevede che sia lo Stato ad assumersi, in misura prevalente rispetto agli altri sostenitori, l’onere finanziario e, conseguentemente, i poteri di nomina degli organi di gestione e di controllo.

Si distinguono poi, sulla base della proprietà del soggetto, i teatri “a responsabilità pubblica” e quelli “a gestione privata: per i primi spetta a Comune e Regione ripianare eventuali deficit e a Stato, Comune e Regione la rappresentanza maggioritaria negli organi di gestione e controllo; per i secondi l’onere di ripianare gli eventuali deficit, nonché la gestione e il controllo restano in capo ai privati.

Il Ministro o il Direttore (confesso che mi confondo perché il ministro aveva tagliato la barba) spiegavano che i soggetti sarebbero stati classificati rispetto alla propria funzione: quella di produzione (finalizzata alla valorizzazione dei talenti artistici e delle professionalità tecniche ed organizzative per sostenere e sviluppare l’occupazione qualificata nel settore), quella di programmazione (indirizzata alla valorizzazione dell’offerta, garantendo pari opportunità a tutti i cittadini in tutto il territorio nazionale) ovvero entrambe (per quei soggetti che assolvono ambedue le funzioni). Nell’ambito di ciascuna funzione, la riforma individua differenti attività (per tipologia di impresa o di destinatario dell’attività) cui corrispondono differenti risultati (minimi di attività con specifiche modalità di realizzazione e natura delle relazioni con il sistema dello spettacolo dal vivo), il cui raggiungimento viene verificato a consuntivo di attività. Al di là di questi risultati, ogni soggetto è libero di svolgere qualsiasi ulteriore attività spettacolare secondo la propria progettualità.

Venivano quindi spiegati (credo dal Direttore) i criteri di valutazione per la quantificazione del contributo ministeriale, che si basa sulla cosiddetta “storicità del finanziamento ministeriale”, rapportata ad una percentuale garantita della media degli ultimi due anni, percentuale che si riduce per ognuna delle annualità del triennio. Al valore finanziario della storicità si aggiunge il prodotto del “valore punto” (non ricordo come si calcola…) moltiplicato per il punteggio che l’Amministrazione e la Commissione assegnano a ciascun soggetto/progetto. L’Amministrazione determina il punteggio riferito alla quantità dell’attività rendicontata rispetto a quella preventiva, mentre la Commissione fissa il punteggio della qualità artistica e culturale in considerazione della funzione assegnata, della relazione con il sistema dello spettacolo dal vivo, del valore artistico della produzione e/o della programmazione, della direzione. Fatti, per esempio, 100 i punti a disposizione, sia l’Amministrazione che la Commissione possono assegnarne fino a 50, così che un soggetto capace di documentare lo svolgimento di un’attività quantitativamente importante abbia le stesse possibilità di punteggio di un soggetto che, fatti salvi i minimi, decida invece di investire sul rischio culturale delle proprie scelte artistiche. Affinché i criteri di valutazione colgano la dinamicità del sistema, il Direttore annunciava che il compito principale dell’Amministrazione si sarebbe spostato dal controllo formale a preventivo a quello sostanziale a consuntivo (e mi sembra di ricordare che proprio a questo punto alcuni presenti sono usciti senza più rientrare). Per completare le assegnazioni annuali, la Direzione si riserva una quota del FUS per promuovere, d’intesa con la Commissione, i soggetti nei primi loro due anni di finanziamento e le attività non classificabili all’interno delle funzioni della produzione e/o della programmazione.

Nel sogno, poi, il Ministro concludeva lanciando la proposta di concertare con le Regioni, che ne facessero richiesta e che si impegnassero a finanziare il proprio sistema regionale almeno con lo stesso importo, un finanziamento congiunto Stato/Regione destinato a quel territorio, con risultati attesi integrati e con l’obiettivo di riequilibrare i finanziamenti alla produzione e quelli alla programmazione (ma i rappresentanti regionali in sala si contavano sulle dita di una mano…).

Il sogno finiva con un gruppo di attori, registi, critici, organizzatori, che davanti ad una birra gelata (forse era estate) discutevano degli ultimi spettacoli visti e di come i teatri erano pieni. Eh già, l’importante è chi il sogno ce l’ha più grande!

Franco D’Ippolito

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