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Ritratto di una Capitale. Incontriamo Fabrizio Arcuri

Abbiamo incontrato Fabrizio Arcuri, regista e curatore del progetto Ritratto di una Capitale, prodotto dal Teatro di Roma

Foto Ufficio Stampa
Foto Ufficio Stampa

Ci diamo appuntamento di mattina, all’indomani del debutto di Ritratto di una Capitale. Ma niente caffè, per noi, Fabrizio Arcuri è ancora molto impegnato e mi invita a seguirlo dall’entrata artisti del Teatro Argentina, in Via dei Barbieri. Tra corridoi e quinte, incontriamo attori e tecnici diretti nei camerini, sbirciamo Stefano Ricci e Gianni Forte che provano il loro episodio Raw, Reclutant and Rome, al debutto quella sera. In mezzo alla mattinata, il teatro intero brulica di attività. Finalmente troviamo un angolo tranquillo in sartoria, tra ferri da stiro e lavatrici. Cominciamo così:

Qual è la genesi di Ritratto di una Capitale?

Dopo poco che il direttore Antonio Calbi si era insediato, quindi a fine giugno, mi ha chiamato e mi ha detto che aveva in mente di realizzare questo progetto, che aveva già visto una prima “edizione” a Milano. In quell’occasione, però, aveva commissionato dei testi scritti ad hoc su Milano e li aveva dati in mano a delle compagnie del territorio, installando il tutto sul palco con i La Crus che suonavano dal vivo. Il format è dunque lo stesso da un punto di vista tematico, ma questa volta è stato chiesto a me di occuparmi della cura dell’intero progetto, riunendo dunque tutte le scene sotto una sorta di macro-regia unica, che si è occupata anche della scelta del cast. Abbiamo poi aggiunto un set virtuale – curato da Luca Brinchi, Roberta Zanardo/Santasangre e Daniele Spanò, ndr – per costruire paesaggi e architetture visive. Era necessario visti gli strettissimi tempi di produzione. Siamo entrati i primi di ottobre con a disposizione economie piuttosto modeste, rispetto a quello a cui puntavamo. La sfida è anche quella: non abbiamo realizzato nulla ad hoc, abbiamo utilizzato solo il materiale disponibile, lavorando con tante persone con prestazioni al minimo sindacale.

Scorrendo la lista degli autori [vedi crediti a fondo pezzo, ndr], si trovano alcuni tra i nomi più rappresentativi della scrittura contemporanea, non solo quella prettamente teatrale, ma anche gli stampi più letterari. In quanto tempo hanno preso forma? E come hai scelto di confrontarti con scritture così diverse?

Sono stati commissionati a fine luglio e consegnati intorno alla metà di settembre. Il direttore ha messo dei paletti tematici e, in qualche modo, stilistici: ha chiesto loro di scrivere un testo relativo a una precisa ora del giorno e a un preciso quartiere e che costituisse un approfondimento sulla città di Roma. Con me si è consultato per scegliere gli autori, tentando di dar forma a una panoramica il più vasta possibile, dai poeti fino ai drammaturghi, passando da letterati, romanzieri, giornalisti e attraversando le generazioni.

ANGELI CACACAZZI di Elena Stancanelli
ANGELI CACACAZZI di Elena Stancanelli

Immaginando l’esperienza dello spettatore, che sabato 22 avrà modo anche di “attraversare l’intera città” in una maratona di 12 ore, come lo hai pensato? Come tanti contenitori a tenuta stagna o un flusso unico?

Ogni sera vanno in scena da tre a cinque scene. Sono ovviamente separate tra loro, ma il commento musicale e il paesaggio visivo rende il passaggio da una all’altra più fluido. Tuttavia capita anche che alcuni pezzi confluiscano dentro altri, non c’è un format rigido. È fruibile a blocchi di due ore e ogni blocco possiede una logica interna, regolata da un pensiero comune che agisce dietro un’unica visione, che è la mia, e che si è espressa attraverso la gestione dei mezzi scenografici, delle musiche dal vivo eseguite dai Mokadelic, delle durate e dell’ordine in cui i pezzi vengono presentati.

Anche senza avanzare giudizi e anzi restando neutri, a guardarlo da fuori e a misurarlo con l’attuale fermento (buono e meno buono) del panorama culturale italiano, sembra quasi che questo Ritratto della Capitale arrivi proprio a inizio stagione per offrire alla città e al suo pubblico una sorta di “spot” di Roma, investendo nuovamente lo Stabile del ruolo di “teatro comunale”. Come ti sei misurato con il fatto che, almeno dall’esterno, potesse essere letto come un progetto molto “istituzionale”? Sappiamo bene entrambi che questa è una questione quasi esclusivamente italiana, che all’estero nessuno storce il naso se una compagnia o un artista autonomi svolgono un incarico istituzionale. Tu che idea ti sei fatto?

Prima parlavo di una sfida, e lo è stata in tutto e per tutto. Si tratta di un progetto davvero militante, che ho accettato volentieri. È una questione che non mi riguarda, in fondo. E soprattutto Roma ne esce devastata e dolorante, non c’è davvero nessuna edulcorazione, è rappresentata per quel che realmente è, un luogo su cui bisogna mettere seriamente le mani al più presto possibile. In nessun testo ho ravvisato alcun tipo di sguardo indulgente. Forse proprio non avrebbe senso, ma la cosa più impressionante è che non c’è neppure un testo che riveli una qualche possibilità di salvezza.

Rispetto al tuo percorso, come hai vissuto questa esperienza? È stata solo una commissione o pensi di poterla inserire all’interno della tua poetica? Hai avuto esigenza e modo di “dire la tua”?

Quello che inserisco all’interno della mia poetica è che è un’esperienza incredibile e irripetibile. Mettere in scena 26 testi e costruire un percorso che sia fruibile, che abbia degli andamenti precisi e via dicendo. Ma non è questo il luogo in cui mi è chiesto di “dire la mia”, i testi sono tutti originali e nessuno li conosce, dunque non ho condotto alcuna operazione ulteriore intorno a quei testi. È chiaro che poi mi immagino che in qualche modo si vedrà la mia mano, che l’interpretazione di questi testi porterà la mia impronta, avendo pesato più su un lato che sull’altro. Immagino che questo sarà stato naturale.

FLAMINIA BLOCCATA di Fausto Paravidino
FLAMINIA BLOCCATA di Fausto Paravidino

Hai avuto modo e tempo di lavorare con gli attori portando avanti la tua ricerca sulla recitazione?

Non moltissimo, ma fortunatamente lavoro con 40 super-professionisti, molto diversi tra loro ma che sono stati scelti da me come i più adatti ai vari ruoli, proprio perché non dovesse poi esserci la preoccupazione di lavorare sull’interpretazione. Spesso gli autori hanno anche partecipato alle prove, un aiuto molto importante perché ci introduceva alle intenzioni della recitazione.

Rispetto al rapporto tra teatro e città e al ruolo di uno Stabile, che cosa pensi di un progetto come questo?

È un’occasione importante per ricucire un certo rapporto tra spettatore, territorio e palcoscenico. Non è facile vedere un palcoscenico istituzionale abitato da figure come transessuali, extracomunitari, senzatetto, storie di cronaca e fatti che viviamo quotidianamente, non traslati dalla metafora o che si è andati a recuperare tra le righe di un testo classico che forse ci parla ancora di noi, ma proprio noi lì davvero in quel momento. Una fotografia in tempo reale. Questa operazione non va nemmeno giudicata come uno spettacolo teatrale, secondo me, ma va un po’ oltre per la sua eccezionalità, è come se tutti quanti avessimo dato tutto per mettere insieme queste schegge di specchi in cui uno può guardarsi. Le modalità sono diverse da quelle di uno spettacolo, che avrebbe avuto bisogno di un budget di tempo e denaro dieci volte maggiori. È una sorta di happening di 12 ore in cui si incontrano diverse dimensioni ed elementi che entrano in sintonia o in dissonanza con lo spettatore proprio perché certe cose vuoi vederle e altre le rifiuti.

Che tipo di opportunità vi sono in questo progetto per il futuro del teatro qui a Roma e oltre?

Un po’ come fu per Perdutamente, che nel 2012 diede ad artisti tra loro sconosciuti l’opportunità di lavorare insieme (e alcuni di loro continuano a farlo, incrociando linguaggi e visioni) la cosa secondo me più interessante qui è avvenuta sulla drammaturgia, che è il vero cuore del progetto. Molti di questi autori non si erano mai confrontati prima con il teatro e quindi il Ritratto rappresenta un passo avanti anche nella conoscenza di questo linguaggio.

Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982

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RITRATTO DI UNA CAPITALE

Ventiquattro scene di una giornata a Roma
un progetto di Antonio Calbi e Fabrizio Arcuri
regia di Fabrizio Arcuri
colonna sonora composta e eseguita dal vivo da Mokadelic
set virtuale di Luca Brinchi, Roberta Zanardo/Santasangre e Daniele Spanò
prologhi di e con Corrado Augias, Claudio Strinati, Franca Valeri
testi di Eraldo Affinati, Ascanio Celestini, Eleonora Danco, Giancarlo De Cataldo, Anna Foa, Valerio Magrelli, Giuseppe Manfridi, Fausto Paravidino, Lorenzo Pavolini, Tommaso Pincio, Paola Ponti, Christian Raimo, Lidia Ravera, Ricci/Forte, Andrea Rivera, Letizia Russo, Roberto Scarpetti, Igiaba Scego, Elena Stancanelli, Claudio Strinati, Francesco Suriano, Daniele Timpano/Elvira Frosini, Emanuele Trevi, Mariolina Venezia
interpretati da Daniele Amendola, Claudio Angelini, Matteo Angius, Antonella Attili, Anna Bonaiuto, Giovanna Bozzolo, Giorgio Caputo, Tiziano Caputo, Francesca Ciocchetti, Maddalena Crippa, Silvia D’Amico, Eleonora Danco, Roberto De Francesco, Anna Ferraioli, Elvira Frosini, Pieraldo Girotto, Anna Gualdo, Gamey Guilavogui, Liliana Laera, Roberto Latini,
Lorenzo Lavia, Sandro Lombardi, Simon Makonnen, Giuseppe Manfridi, Vinicio Marchioni, Lucia Mascino, Francesco Montanari, Danilo Nigrelli, Filippo Nigro, Fabrizio Parenti, Constance Ponti, Alessandro Riceci, Andrea Rivera, Giovanni Scifoni
Daniele Timpano, Elodie Treccani, Josafat Vagni, Federica Zacchia, Paolo Zuccari e con la partecipazione straordinaria di Leo Gullotta e Milena Vukotic; con gli allievi del terzo anno dell’Accademia d’Arte Drammatica Cassiopea, Chiara De Concilio, Luana Locorotondo, Agnese Lorenzini, Laura Nardinocchi, Bruno Petrosino, Nicole Petruzza, Francesco Sannicandro, Federica Spinello
Pina Vergara e gli ex allievi del Centro Internazionale La Cometa Marianna Arbia, Marco De Bella, Lorenzo La Posta, Stefano Lionetto, Benedetta Rustici, Alessio Stabile
break dancers Davide Nicoletti, Daniele Vergos, Andrea Conversano, Alessio Signore

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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