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Hatealy. Vite senza vita nel centro commerciale

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Hatealy
Foto di Olimpia Nigris

Cosa ti aspetti che succeda adesso? Dopo aver confezionato i sentimenti e averci incollato targhette trepperdue, innalzato torri inscatolate di frasi già dette pari solo all’ansia di metterle in gioco, dopo aver trascinato carrelli di relazioni squilibrate e aver chiuso la propria verità nell’armadietto all’entrata. Cosa ti aspetti che succeda adesso? Di quali speranze sapranno gli amori illanguidire i margini dell’esperienza? Un livido sottopelle pulsa il sangue rappreso, è un grumo, non scorre più, ristagna nelle pose delle nostre ambascerie. In quel livido è un odio represso, disprezzo pneumatico che in una bolla rinchiude miseramente le proprie certezze e solo sa farne mostra ma mai, davvero, le mostra. Una vita reclusa è quella di Hatealy, un recinto emotivo di uomini e donne senza speranza, perduta anche l’intenzione all’oltre vivono una vita come un ipermercato, misurano nei suoi confini tutto quanto possano o meno diventare.

Hatealy è uno spettacolo, l’abbiamo visto al Teatro Tordinona di Roma che quest’anno sta facendo una stagione importante, di lancio, sta cercando a modo suo e tra mille difficoltà di far rinascere un sentimento soppresso ma vitale in una città che di vitalità conserva la memoria recente, non già un presente. L’hanno scritto Fortunato Cerlino (anche regista) ed Ester Tatangelo, due che quando lo spettacolo è finito si avvicinano e chiedono confronto, ti guardano in silenzio e in fondo a tutto ti lasciano una frase che suona ancora: «Grazie, per aver avuto attenzione al nostro lavoro». Ecco è così che quell’attenzione cerca di moltiplicarsi e farsi sguardo di ritorno, laddove una necessità la palesa.

Hatealy
Foto di Olimpia Nigris

La geometria del palco disegna le pareti color panna di un grande centro commerciale, il sogno delle masse quando convertite alla socialità mercantile. Le sue linee covano solo sotterraneamente la sinistra volontà di delimitare, mentre a benedire la relazione ci sono il colore riposante e le aperture, le presunte fontane e le scale che si ergono nel vuoto, gli alti soffitti e gli stucchi decorati che celebrano l’architettura e la sua negazione asfittica.
La vicenda prende corpo dalle relazioni: c’è un negozio di design che sta per ospitare l’esposizione del più grande tartufo del mondo, 2013 grammi per un valore di duemilamiliardi di euro. La direttrice Carla (Antonella Gullo), austera ma fragile, il giorno della morte di sua madre resta al lavoro per preparare la sala che accoglierà l’evento, Benito (Edoardo Pesce) è l’uomo che vorrebbe amare ma è un guitto che ha con lei un rapporto superficiale e disinteressato, Tina (Elena Cucci) è la giovane neo assunta con un passato da dimenticare e di cui sfruttare la voglia di riscatto. Ma è attorno a lei che la vicenda cercherà una via d’uscita, la sua redenzione passa per il tratto umano che, pur derivando da una tragedia orribile, saprà sollevare il manto e innestarvi un soffio d’aria, organica, interiore, ma pura. Poi Eddy e Vittoria (Massimo Zordan e Irma Carolina Di Monte), due clienti agli antipodi che misurano la propria nascente amicizia in un luogo impossibile, scardinando cioè quel che la rende necessaria.

Una struttura a quadri è uno spazio che i personaggi sono in grado di rendere vivo, innestandovi le proprie bassezze e spigolando i meccanismi di contatto. Nell’impianto qualche scena di troppo conserva un che di televisivo, un eccesso di spunti drammaturgici confonde un po’ l’andatura e le intenzioni; il disagio della ragazza si presume da indagare maggiormente e i personaggi “psicologici” dei lavoranti funzionano meno dei clienti “stilizzati”, ma vivo è il corpo di chi vi recita e sa anche stimolare sentimenti in contrasto, da una certa verve comica (Edoardo Pesce su tutti) all’intensità tragica di Tina, Elena Cucci, fulcro e catarsi dell’azione che vediamo e di quella che non vedremo, oltre il nostro spettacolo e l’esperienza. «Spazi dove la gente non solo compra e vende, ma vive», così recita una battuta del testo. Cosa ci aspettiamo che succeda adesso? La voce off continua a ripeterla, questa frase. Forse che quella gente inizi a compiere le prime due azioni, comprare e vendere, dimenticando mai che per ogni superfluo c’è una necessità. Un centro commerciale non è un centro esistenziale, viverci dentro non è vivere.

Simone Nebbia

Visto in dicembre 2013 al Teatro Tordinona
Roma

Guarda lo spettacolo su e-performance.tv

Fattore K. – Fortunato Cerlino – Hermit Crab
HATEALY
di Fortunato Cerlino e Ester Tatangelo
con Elena Cucci – Irma Carolina Di Monte – Antonella Gullo – Edoardo Pesce – Massimo Zordan
e con Marina Guadagno (voce Hatealy)
Regia di Fortunato Cerlino

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