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HomeVISIONIRecensioniLo sfumato tellurico. Danza e realtà secondo Ouramdane

Lo sfumato tellurico. Danza e realtà secondo Ouramdane

Sfumato - foto di Jacques Hoepffner
Sfumato – foto di Jacques Hoepffner

«La danza è un altro modo per raccontare quel testo che avete sentito». Questa l’intenzione di Rachid Ouramdane per il suo Sfumato appena andato in scena sul palco del Teatro Eliseo che, assieme alla bravura dei suoi artisti e una scena essenziale ma dal forte impatto emotivo, ha voluto attraversare le storie di alcuni rifugiati, fuggiti a causa di improvvisi cambiamenti ambientali. Non si tratta di teatro sociale, né tanto meno è un teatro documentario dall’algido taglio scientifico ciò che è venuto fuori dalle ricerche sul campo operate dal gruppo nell’arco di due anni. Il progetto presentato nell’ambito del Romaeuropa Festival 2013 fa capo semmai a una rielaborazione poetica di certi vissuti post-traumatici, mettendo in atto più che uno scontro una compenetrazione dell’uomo stesso all’elemento naturale.

La catastrofe costringe a non farti trovare impreparata: «mai dormire nuda, o se arrivasse un uragano non potrei mica fuggire» ci suggerisce una voce off; nel frattempo si danza, ed è un lungo roteare su se stessi, estasi dell’attesa e di un pensiero che pesante com’è sembra al contrario scivolare addosso, come qualcosa a cui dedicarsi distrattamente. I vortici sono sempre più rapidi come sospinti da un vento ad ogni giro più forte, sono presenza sonora; sembrano quasi incarnarsi nella danzatrice diventando sintesi compiuta (magia del teatro e dell’immaginazione), rappresentazione di quella natura incombente dove gli estremi di un’equazione – forza agente e soggetto che subisce – trovano spazio in quell’unico corpo. Questi o altri pensieri potrebbero affacciarsi alla mente di uno spettatore disposto ad accettare il gioco della durata, perché se è vero che il teatro sa come concentrare l’azione abbreviando tempi, facendo cernita dei momenti meno dinamici in favore di quelli più significativi, in questo caso la scelta coraggiosa del regista franco-algerino è di lasciar andare l’immagine creata tanto a lungo da potersi fissare nella mente, permettendo di ragionarvi sopra, perdendosi in essa, andando poi oltre il suo significato sia letterale che metaforico, passando dalle implicazioni morali alla ricerca di un ricordo sepolto, di qualcosa in cui riconoscersi. Regalando tempo, non facendolo perdere.

Sfumato - foto di Jacques Hoepffner
Sfumato – foto di Jacques Hoepffner

Questa tensione si mantiene lungo diversi momenti dello spettacolo, costruito rispettando la linea tematica e in cui la narrazione delle storie ( o meglio, delle atmosfere e dei sentimenti ad esse legate) scorre invisibile, lasciando sulla superficie un affresco quasi abbozzato di situazioni: dall’iniziale coltre di fumo che si sprigiona dai corpi di due giovani distesi di spalle, fino alla pioggia torrenziale che cade sulla coda aperta di un pianoforte e sulle evoluzioni dei danzatori; dalle proiezioni di volti – tutti occhi che parlano – fino al canto spezzato dal sospiro affannato. Il tessuto sonoro acquista così un ruolo considerevole: la melodia di un pianoforte, le voci di alcuni rifugiati, il fragore di un temporale; suoni per la maggior parte registrati che contribuiscono in modo quasi paritetico alla danza nella costruzione di significati, nel momento contrario diventano manifestazione del processo di creazione performativa, scaturita dall’incontro con l’altro (sia esso un danzatore, un oggetto o un elemento naturale). Come la pioggia che copiosamente cadrà dal traliccio per una buona parte della pièce modificando inesorabilmente la qualità della danza, è evidente come voce e movimento si modellino allora direttamente in scena, in una coreografia che per quanto precisamente definita si realizza momento dopo momento disegnando lo spazio che da vuoto è nave barcollante, scenario devastato, casa in cui attendere il disastro imminente.

Sfumato - foto di Jacques Hoepffner
Sfumato – foto di Jacques Hoepffner

È sfumata la differenza se si tratti di luoghi dell’anima o di strade deserte in cui poter cantare a perdifiato Singing in the rain. Anche qui l’accadimento acquisisce molteplici sfaccettature: si ride per l’effetto inevitabilmente buffo della performance, ma si ride di cuore perché la situazione potrebbe attestarsi semplicemente per ciò che è: un uomo che sta cantando sotto la pioggia, nonostante l’acqua, l’affanno, egli è ancora lì che danza. È una fatica sì, ma non per la disgrazia, che se riportata fedelmente non potrebbe che fallire al più in una pallida imitazione didascalica. È fatica concreta di un tip-tap ora canonico nel suo ritmo costante e ora volutamente sgraziato; affinché quel corpo e quella voce vivano di un’esperienza reale in grado di raccontare con altri mezzi – attraverso quello scarto metaforico che l’arte è in grado di compiere – un sentimento inspiegabile solo a parole.

Viviana Raciti

Visto presso il Teatro Eliseo il 5 ottobre 2013

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SFUMATO
Ideazione, Coreografia Rachid Ouramdane
Regia Laurent Lechenault
Interpreti Jean-Baptiste André, Brice Bernier, Lora Juodkaite, Deborah Lennie-Bisson, Klara Puski, Ruben Sanchez
Testo Sonia Chiambretto
Musiche Jean-Baptiste Julien
Canto Deborah Lennie-Bisson
Sound management Laurent Lechenault
Scene Sylvain Giraudeau
Luci Stéphane Graillot
Video Aldo Lee, Jacques Hoepffner
Costumi La Bourette
Assistente alla creazione Erell Melscoët

Ringraziamenti Handicap International, Mathilde Burille, Charlotte Giteau, Alice Kinh, Tidiani N’Diaye, Virginie Vaillant
Amministrazione Anaïs Métayer
Produzione e touring Erell Melscoët
Comunicazione Eve Beauvallet
Il testo è estratto dall’opera “La Taïga court” di Sonia Chiambretto Produzione Erell Melscoët
Produzione L’A.
L’A. è sovvenzionata dal Ministère de la Culture e de la Communication / DRAC Île-de-France a titolo di sostegno alla compagnia sovvenzionata dalla Regione Île-de-France per la residenza artistica e culturale e dall’Institut français per i progetti esteri
Rachid Ouramdane è un artista associato al Théâtre de la Ville de Paris e a Bonlieu – Scène nationale Annecy
Coproduzione Biennale de la danse de Lyon, Bonlieu – Scène nationale Annecy, Le Quai – Angers, Kaaitheater – Bruxelles
Nell’ambito del réseau Imagine 2020 – Art et changement climatique, King’s Fountain, Théâtre de la Ville – Paris, Théâtre national de Bretagne – Rennes, Centre chorégraphique national de Tours e nell’ambito dell’accoglienza per le prove – studio
Con il sostengo del MC2 – Grenoble, del Musée de la danse/Centre chorégraphique national de Rennes et de Bretagne e del Centre national de danse contemporaine – Angers per la residenza artistica
Con il sostegno dell’associazione association Beaumarchais – SACD au titre de l’aide à l’écriture e di SPEDIDAM
Sonia Chiambretto è rappresentata da l’Arche, agenzia teatrale www.arche-editeur.com

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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