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HomeProgrammazioneCartelloni TeatriStagione 2013 - 2014 del Teatro Elfo Puccini di Milano

Stagione 2013 – 2014 del Teatro Elfo Puccini di Milano

STAGIONE 2013/2014
TEATRO ELFO PUCCINI DI MILANO

INIZIO STAGIONE DANZA

28 settembre – 13 ottobre 2013
MILANoLTRE 2013 – XXVII Edizione

Dall’improvvisazione al rigore assoluto, dal mito di Orfeo ai Diari Incensurati di Nijinsky, il rock, le punte, le emozioni impalpabili e la poesia trasmesse da straordinarie creature danzanti: miti e pensieri di un Festival con lo sguardo sempre rivolto alle voci più interessanti della danza nazionale e internazionale.
Rino De Pace, direttore artistico

28 settembre – 12 ottobre 2013
Elfo Puccini
VETRINA ITALIA 2013: Compagnia Susanna Beltrami, Sanpapié, Stalker, Balletto Teatro di Torino

1 – 6 ottobre 2013
Elfo Puccini
BALLET NATIONAL DE MARSEILLE

1 – 12 ottobre 2013
Luoghi Vari
INCONTRI, TRAFFICI, CONTATTI, INCROCI, PUNTI DI VISTA… (2013)

7 – 13 ottobre 2013
Elfo Puccini – DanceHaus
VETRINA ITALIA DOMANI: Scuola Paolo Grassi, Compagnia VXP

9 – 11 ottobre 2013
Elfo Puccini
COMPAGNIA VIRGILIO SIENI

PROGRAMMA TEATRO

18 ottobre – 10 novembre 2013
SALA SHAKESPEARE
FROST/NIXON
di Peter Morgan
traduzione di Lucio De Capitani
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani
con Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Luca Toracca, Nicola Stravalaci, Alejandro Bruni Ocaña, Andrea Germani, Matteo De Mojana, Claudia Coli

Bugie e potere. Responsabilità e potere. Frost/Nixon è un match che mette a confronto il potere politico e quello mediatico. Che possono essere al servizio del bene comune e dell’emancipazione dei cittadini, come anche strumenti di asservimento e di sopraffazione.
Il drammaturgo (e sceneggiatore) Peter Morgan punta i riflettori sul primo caso storico di televisione-spettacolo e restituisce splendidamente questi temi. Nucleo della pièce è l’intervista che l’anchorman David Frost fece nel 1977 a Richard Nixon, terminata con la confessione dell’ex Presidente – mai ottenuta prima – sullo scandalo del Watergate e sui limiti morali del potere. Una confessione, negli ultimi secondi della trasmissione, di un Nixon combattivo, orgoglioso, ma messo alle corde dalla precisione delle domande, delle date e dei riscontri. Un episodio storico realmente accaduto.

22 ottobre – 3 novembre 2013
SALA FASSBINDER
LA MIA VITA ERA UN FUCILE CARICO
(being Emily Dickinson)
da Emily Dickinson
traduzioni di Silvio Raffo e Margherita Guidacci
regia di Elena Russo Arman
scene e costumi di Elena Russo Arman
musiche di Alessandra Novaga
con Elena Russo Arman e Alessandra Novaga
luci di Cristian Zucaro
suono Giovanni Isgrò, consulenza suono Giuseppe Marzoli

La mia vita era un fucile carico (being Emily Dickinson) è uno spettacolo su Emily Dickinson e sul suo immaginario poetico ed esistenziale. L’idea registica non si fonda su una ricostruzione filologica dell’ambiente in cui visse l’autrice americana, né vuole ripercorrere in modo lineare la sua biografia, piuttosto vuole restituire tutta la forza esplosiva evocata dal linguaggio senza tempo di Emily che riuscì a dialogare attraverso i secoli con artisti di ogni genere.
Dopo un lungo e approfondito studio sull’opera di Emily Dickinson, giunta fino a noi nella forma di 1775 poesie e circa un migliaio di lettere, ho scelto quei testi che restituiscono l’essenza di un’esistenza unica e irripetibile, di una donna ribelle e anticonformista. Lo spettacolo è dunque composto dalle parole di Emily riunite in un unico flusso allucinatorio, dove la protagonista agisce sulla scena alternando diverse “maschere” di se stessa, quelle “tante Emily” che con astuzia e senso dell’ironia prendono vita a seconda degli altrettanti interlocutori ai quali si rivolge. Per questo ho scelto di servirmi dell’amplificazione, strumento che modifica e deforma la voce moltiplicandone le possibilità espressive. La chitarra elettrica permette inoltre di passare dal concetto di melodia alla realizzazione dei suoni della natura, nella quale Emily era immersa, e alla creazione di un tessuto sonoro capace di restituire il “ringhio” nella sua testa.

5 novembre 2013
SALA FASSBINDER
• Orari: 19:00 e 21:30
LA GENTILE CLIENTELA
Milano audiodays
scritto da Andrea Bajani
adattamento e regia di Sergio Ferrentino

Sono le dieci di sera, dentro e fuori del museo di Anne Frank, ad Amsterdam. Per tutto il giorno, come ogni giorno dell’anno, migliaia di persone si sono assiepate davanti alla casa nascondiglio di Anne Frank, per poterla visitare. Sono turisti di tutto il mondo arrivati fin lì con le guide turistiche in mano: bambini che reclamano i mulini a vento invece dell’ennesimo museo, adolescenti annoiati che chiedono ai genitori di mostrargli sulla mappa i coffee shop, maestre di scuola con in borsa il diario più popolare del mondo, famiglie, single, cani sciolti.
Sono le dieci di sera, e si avvicina l’ora della chiusura. Uno dopo l’altro, i visitatori si avviano verso l’uscita, mentre una voce, in tutte le lingue, avvisa la gentile clientela che è giunto il momento di recuperare giacche e borse e avviarsi verso la porta che si affaccia su Prinsengracht 263. Eppure, nonostante i ripetuti richiami ci sono tre persone che, per distrazione o volontà, non raggiungono l’uscita. Poi le porte si chiudono, e loro restano lì per tutta la notte, dentro quel posto in cui si è nascosta la Storia, e in cui ora sono loro a essere intrappolati, volenti o nolenti, cinici e paurosi. Soltanto loro tre, tra i fantasmi di ieri e le loro presenze in carne ed ossa di oggi. E la notte non sembra finire mai.

5 – 9 novembre 2013
SALA BAUSCH
ELENA
Tragedia lirica sulla deriva del mito
di Maddalena Mazzocut-Mis
regia di Alessia Gennari
assistente alla regia Luca Marucchi
musiche di scena Azio Corghi edite da Casa Ricordi
direttore del coro M° Pietro Ferrario
con Elena Russo Arman, Sara Urban e Ensemble vocale Calycanthus
disegno luci Marco Grisa

La musica, le sonorità, le voci si intrecciano in questo spettacolo che è teatro e insieme partitura musicale pura. In scena il coro vocale Calycanthus (tre soprani, 3 contralti, 3 tenori e 3 bassi) diretti da Pietro Ferrario canta polifonie a cappella su spartiti originali di Azio Corghi, insieme a due attrici, Elena Russo Arman e Sara Urban, che interpretano i ruoli di Elena e Medea e ci accompagnano in un viaggio teatrale e musicale nella rivisitazione, in chiave contemporanea, del celebre mito. Echi classici e quotidianità coesistono nello spettacolo: la guerra di Troia scivola in piccole storie di ordinario adulterio, che mietono meno vittime, ma con risultati altrettanto scioccanti. Elena si tramuta in un’annoiata casalinga della provincia italiana, alle prese con amanti, figlia e rivali in amore, esseri fragili che si affannano a cercare una vacua felicità e che del mito conservano i nomi e il destino di lutto, ma non l’eroismo. La regia astratta e surreale di Alessia Gennari gioca con l’eco dei fantasmi del mito, rievocando la vicenda di Elena, come all’interno di un teatrino delle marionette, dove tutti gli interpreti sono destinati alla morte, in nome di un valore, quello della bellezza, di cui viene dichiarata la vacuità e l’inconsistenza.

6 novembre 2013
SALA FASSBINDER
• Orari: 19:00 e 21:30
L’ETICA DEL PARCHEGGIO ABUSIVO
Milano audiodays
scritto da Elisabetta Bucciarelli
adattamento e regia di Sergio Ferrentino

Cosa sta succedendo nel parcheggio sotto la grande quercia al centro della Metropoli? È il territorio del Mario, parcheggiatore abusivo che esercita la sua professione seguendo un’etica del tutto particolare. Il diritto a sostare nelle linee blu va meritato e per ottenere la possibilità di lasciare ferma la vettura non basta un gratta e sosta, è necessario superare una prova. Oggi però oltre al traffico d’auto di tutti i giorni c’è anche una concentrazione umana insolita. La giovane Olga dalle grandi forme, sarta alla Scala, il Bancario cialtrone, che tiene per il guinzaglio la vita di molti, la Bellezza Ordinaria, sempre a dieta anche cerebralmente e il Proprietario del suv, alto un metro e cinquantacinque ma con un cane alano il doppio di lui. Un poliziotto li sta interrogando, proprio lì, nel grande posteggio dove il Mario segue logiche meritocratiche anziché solamente economiche. A qualcuno però le regole vanno strette, nella vita come sulla strada…

7 novembre 2013
SALA FASSBINDER
• Orari: 19:00 e 21:30
IL GIARDINO DI GAIA
Milano audiodays
scritto da Massimo Carlotto
adattamento e regia di Sergio Ferrentino

Gaia Convento Bruni è una donna con le idee chiare. Si è creata una sorta di mondo perfetto dove gestisce con mano ferma marito e figlio e il ruolo della famiglia in paese. Si ritiene una persona di buon senso e non si ferma di fronte a nulla per impedire che qualcosa possa turbare la quiete della sua esistenza.
Quando scopre che il marito vuole lasciarla per un’altra, Gaia non si dispera ma reagisce per salvare il suo matrimonio. Non tanto perché ama alla follia il marito ma perché nella sua visione del mondo la separazione non è ammessa. Al centro di questa storia ci sono le relazioni tra le persone stritolate da convenzioni sociali che non sono più in grado di sostenere progetti di vita reali e che la crisi ha reso ancora più “invivibili”.
Le persone cercano alternative nella doppiezza, nel replicare clandestinamente affetti e relazioni per reggere la condanna a un’ineluttabile infelicità.
Gaia ne è perfettamente cosciente ed è convinta che imporre il suo modo di concepire la vita sia l’unico modo per salvare le persone che ama. Il problema è che Gaia non fa sconti e soprattutto non si rende conto di essere circondata da vittime anche se non del tutto innocenti.
In questo intreccio di relazioni si annida anche la violenza familiare, perfettamente occultata grazie all’indifferenza degli altri. Famiglia, amiche e amici. E amanti. Questo è il mondo che Gaia riunisce nel suo giardino per testimoniare al paese la perfezione del suo modello.

8 novembre 2013
SALA FASSBINDER
• Orari: 19:00 e 21:30
LE MADRI ATROCI
Milano audiodays
scritto da Sandrone Dazieri
adattamento e regia di Sergio Ferrentino

Doveva essere una semplice settimana di lavoro, ma dal viaggio Daria non è più tornata. È stata trovata impiccata nella camera di un albergo scalcinato, suicida senza nemmeno un biglietto d’addio. In cerca di una spiegazione al gesto della moglie, Fabio parte per Amsterdam scoprendo che Daria ha trascorso i suoi ultimi giorni sotto l’effetto di sostanze allucinogene, cercando dentro di sé le risposte che i libri non erano più in grado di darle. Cercando di capire che cosa Daria abbia provato, Fabio si sottopone alla stessa esperienza, venendo risucchiato un po’ alla volta in un mondo affascinante e pericoloso. Un mondo dove si sussurra dell’esistenza di un fungo sciamanico, dagli effetti devastanti. Un fungo chiamato il Dio della Nausea, capace realmente di aprire le porte a quella che è un’altra dimensione. Ma per varcarla c’è un prezzo da pagare, superare le prove cui Le Madri Atroci, le guardiane della soglia, sottopongono i penitenti. Un noir psichedelico e antiproibizionista.

9 novembre 2013
SALA FASSBINDER
• Orari: 19:00 e 21:30
RADIOGIALLO
Milano audiodays
scritto da Carlo Lucarelli
adattamento e regia di Sergio Ferrentino
produzione Fonderia Mercury

1940, in un piccolo studio dell’E.I.A.R., l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche sta per iniziare la diretta del radiodramma Il mistero del Labirinto quando per ordine del Ministero della Cultura Popolare, su direttiva del Duce stesso, bisogna cambiare il finale.
L’assassino non può essere un italiano. È così che, tra la comparsata di un’attrice famosa e l’ispezione di un Console Generale della Milizia, attori, rumorista e il regista cercano di trovare un colpevole. Il microcosmo della radio diventa lo specchio di una realtà sotto censura nella quale il raccontare è l’ingegnarsi a trovare scappatoie.
Dieci anni dopo, nello stesso piccolo studio, la stessa troupe e una nuova produzione. Poco prima della diretta lo stesso problema: bisogna cambiare il finale. L’Onorevole non vuole che l’assassino sia un prete.

11 – 17 novembre 2013
SALA SHAKESPEARE
ASPETTANDO GODOT
di Samuel Beckett copyright Editions de Minuit – Paris
traduzione di Carlo Fruttero
regia di Jurij Ferrini
scenografia Samuel Backett
costumi Michela Pagano
con Natalino Balasso, Jurij Ferrini, Angelo Tronca, Michele Schiano di Cola

Abbiamo cercato a lungo un testo che potesse rappresentare una coppia comica così equilibrata e la scelta si è indirizzata sul grande capolavoro di Beckett. I protagonisti di Aspettando Godot non hanno più nulla da dire e nulla da fare e involontariamente raccontano la loro misera attesa di un destino (migliore?) solo perché si trovano in un teatro davanti ad un pubblico, sera dopo sera.
In due atti strutturalmente molto simili passano sulla scena Pozzo e il suo servo Lucky e alla fine di ogni giorno un misterioso ragazzo annuncia che “il signor Godot non arriverà oggi, ma di sicuro domani”. Così che i due protagonisti si appenderanno nuovamente a una sempre più flebile speranza di ottenere dal signor Godot qualcosa di nuovo o almeno diverso…
Si tratta quindi di un teatro ben poco assurdo ma semmai estremamente allegorico, almeno da quando l’assurdità della vita ha di gran lunga superato il non senso apparente di ciò che viene detto in scena. In questa versione di Aspettando Godot – ci dicono gli spettatori – si ha la sensazione d’aver capito qualcosa in più, divertendosi molto. Questa è per noi la migliore recensione che si possa ricevere.
Jurij Ferrini

12 – 17 novembre 2013
SALA BAUSCH
LA MERDA [ARTICOLI E RECENSIONI] di Cristian Ceresoli
con Silvia Gallerano

La Merda è un assolo che nasce dall’intuizione di un’attrice di selvatico talento, come Silvia Gallerano, di sviluppare dentro a nuove scritture una maschera (fisica e vocale) di sua invenzione. Ne La Merda questa maschera (tragicomica) vive su di una ripida partitura letteraria concepita su misura. Attraverso un’ulteriore deviazione di un percorso creativo in cui la parola suona e si fa carne, Cristian Ceresoli costruisce una scrittura originale ispirata allo stream of consciousness (da Joyce a Céline a Hrabal) in cui si scatena la bulimica e rivoltante confidenza pubblica di una “giovane” donna “brutta” che tenta con ostinazione, resistenza e coraggio, di aprirsi un varco nella società delle cosce e delle libertà.
Nel corpo dell’interprete, attraverso la sua maschera e la vocalità delle parole, emerge una partitura fisica minimale in cui l’attrice si offre come in un banchetto, pronta a venire sbranata da tutti, nelle sue escursioni vocali, nelle sue cadute tonali, nella sua progressiva umiliazione. Una scrittura che nasce così dalla carne e alla carne ritorna, pur dentro ad una rigidissima confezione estetica. Applausi obbligatori.

12 – 24 novembre 2013
SALA FASSBINDER
L’IMPRESARIO DELLE SMIRNE
di Carlo Goldoni
adattamento e regia di Roberto Valerio
con Valentina Sperlì, Roberto Valerio, Antonino Iuorio, Nicola Rignanese
e con Massimo Grigò, Federica Bern, Pierluigi Cicchetti, Roberta Mattei, Peter Weyel

Composta nel 1759, L’impresario delle Smirne è una grottesca e divertente commedia che presenta un impietoso ritratto dell’ambiente degli artisti di teatro, ambiente che Goldoni conosce a fondo: può a ragione “parlarne per fondamento”, come egli stesso dichiara nella prefazione dell’opera.
La vicenda, ruota attorno ad un gruppo di attori, uomini e donne, tutti pettegoli, invadenti, boriosi e intriganti che, disperati e affamati, vivono per un breve attimo l’illusione della ricchezza nella speranza di riuscire a partire per una favolosa tournée in Oriente con Alì, ricco mercante delle Smirne intenzionato a formare una compagnia d’Opera, e tornare carichi d’oro e di celebrità.
Facili prede di mediatori intriganti, di impresari furbi e rapaci, i poveri artisti scoprono a loro spese che le regole del Teatro sono eterne e che la loro vicenda scritta 250 anni fa ha un sapore grottesco di attualità. Distratti dalle loro piccole beghe e rivalità, occupati a farsi la guerra per far carriera, invidiosi di una posizione nella gerarchia di palcoscenico, di un costume più o meno sfarzoso, di un privilegio in più e soprattutto di avere una paga l’uno più alta dell’altro, non si accorgono di essere delle piccole sciocche marionette i cui fili vengono manovrati da chi il potere veramente ce l’ha, per la sua posizione o per il suo denaro.

27 novembre – 1 dicembre 2013
SALA FASSBINDER
SANGUE SUL COLLO DEL GATTO [RECENSIONE] di Rainer Werner Fassbinder
traduzione di Roberto Menin
regia di Fabrizio Arcuri
con Miriam Abutori, Michele Andrei, Matteo Angius, Gabriele Benedetti, Fabrizio Croci, Emiliano Duncan Barbieri, Pieraldo Girotto, Francesca Mazza, Fiammetta Olivieri, Sandra Soncini

Una retrospettiva dedicata all’Accademia degli Artefatti, gruppo nato all’inizio degli anni ’90, che lavora sulle contaminazioni fra arte figurativa, performance e installazioni, ma dichiara di non volere essere etichettato in «una cifra stilistica rigida e una coerenza estetica predefinita».
Non poteva mancare all’Elfo Sangue sul collo del gatto di Fassbinder. Un autore a cui il regista Fabrizio Arcuri si è rivolto per la prima volta in questa occasione. «Adesso vogliamo leggere il contemporaneo con altri testi e altri autori, che del contemporaneo ci sembrano ancora interpreti straordinari. Questo con Fassbinder e Brecht (Orazi e Curiazi e Fatzer) non è un incontro occasionale, o recente: è, in qualche modo, la soddisfazione di un’attesa. In particolare la poetica, dura, necessaria di Fassbinder incarna il senso di un teatro, che è politico o non è, anche quando non parla “politico”. Fassbinder, come Pasolini, illumina e scandalizza il suo presente. Fassbinder, come Pasolini, illuminerebbe e scandalizzerebbe il nostro. È una questione non solo d’impegno lucido, ma anche di sentimento spudorato».

3 – 5 dicembre 2013
SALA FASSBINDER
TAKING CARE OF BABY  [RECENSIONE] di Dennis Kelly
traduzione Pieraldo Girotto
regia di Fabrizio Arcuri
materiali sonori Subsonica tratti da mentale/strumentale (inedito nel cassetto)
con Isabella Ragonese e Matteo Angius, Francesco Bonomo, Pieraldo Girotto, Francesca Mazza, Sandra Soncini

Taking care of baby testimonia l’interesse della compagnia per la drammaturgia anglosassone, scandagliata con grande rigore in questi anni. Il testo, che ha consacrato il drammaturgo Dennis Kelly (non ancora quarantenne) sulla scena mondiale, è una sorta di Medea contemporanea. Anomalo nella forma, se si guarda al panorama delle scritture in Italia, è costruito come un verbatim-drama o “teatro documentario”, utilizzando reali interviste e materiali relativi a casi di cronaca. Una donna – la bravissima Isabella Ragonese – viene accusata di aver assassinato i suoi due bambini. Una voce, la cui origine è sempre incerta (dentro o fuori dalla storia, o dallo spettacolo), pone domande ai protagonisti della vicenda, nel tentativo di ricostruire la storia di cui si conoscono solo i tragici esiti e rimettere insieme i pezzi di un incerto mosaico.

6 – 8 dicembre 2013
SALA FASSBINDER
LO SHOW DEI TUOI SOGNI [INTERVISTA] parole di Tiziano Scarpa
regia di Fabrizio Arcuri
suoni e sogni Luca Bergia e Davide Arneodo (Marlene Kuntz)

Chiude il trittico all’Elfo Lo show dei tuoi sogni dove le parole dello scrittore Tiziano Scarpa dialogano con i suoni e le musiche di Luca Bergia e Davide Arneodo dei Marlene Kuntz per raccontare di un uomo che riesce a ipnotizzare un’intera nazione facendola sognare quello che vuole lui. «All’inizio il narratore sembra quasi una voce esterna alla vicenda, e la musica un commento ironico. Ma progressivamente – sottolinea l’autore – le parole e la musica convergono fino a diventare un amalgama emotivo intensissimo, in un crescendo di percussioni, batteria, tastiere, suoni campionati, loop station, chitarre e violini elettrici, con un volume sonoro e una ricchezza timbrica sorprendenti rispetto alle persone effettivamente presenti sulla scena. Narratore e musicisti sono sempre più coinvolti nella storia, sprofondando drammaticamente dentro il grande sogno collettivo che ipnotizza gli italiani, con l’effetto di risucchiare anche il pubblico del teatro, insieme a loro, dall’altra parte dello schermo televisivo».

7 – 31 dicembre 2013
SALA SHAKESPEARE
ALICE UNDERGROUND
da Lewis Carroll
uno spettacolo scritto, diretto e illustrato da Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
scene e costumi di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
direzione e arrangiamento delle canzoni Matteo De Mojana
con Elena Russo Arman [Alice], Ida Marinelli [lo spazio, il piccione, la duchessa, il ghiro, il due di cuori, la capra dammelo, la regina bianca], Ferdinando Bruni [il tempo, il bruco, il lacchè pesce, la cuoca, il gatto, il cappellaio matto, la regina rossa, il controllore, dimmelo, humpty dumpty, la voce dell’unicorno], Matteo De Mojana [il coniglio bianco, il lacchè rana, la lepre marzolina, il sette di cuori, l’uomo di carta, il cavaliere bianco, l’unicorno] luci di Nando Frigerio
suono e programmazione video Giuseppe Marzoli

Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie e Al di là dello specchio sono state rivisitate da generazioni di artisti, ma da questi testi continuano ad emergere una moltitudine – o piuttosto una “moltezza” come dice il Cappellaio Matto – di possibili interpretazioni.
Anche Ferdinando Bruni e Francesco Frongia ne sono stati catturati e hanno ripercorso la realtà ‘insensata’ e sovvertita del testo: Alice Underground, debuttato nel dicembre 2012, ha sorpreso per le invenzioni sceniche, sospese tra tecnologia dei video e arte del disegno. Una lanterna magica d’acquarelli ed effetti “speciali”. Una sorta di cartoon teatrale che viene proiettato su una struttura bianca, un mondo di magia che prende vita interagendo con gli attori in carne e ossa.

10 – 31 dicembre 2013
SALA FASSBINDER
THE HISTORY BOYS [RECENSIONE] di Alan Bennett
traduzione di Salvatore Cabras e Maggie Rose
regia di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani
con Elio De Capitani, Gabriele Calindri, Debora Zuin, Riccardo Bocci, Giuseppe Amato, Marco Bonadei, Angelo Di Genio, Loris Fabiani, Andrea Germani, Vincenzo Zampa, Alessandro Lussiana, Giacomo Troianiello

La commedia mette in scena un gruppo di adolescenti all’ultimo anno di college, impegnati con gli esami di ammissione all’università. Sono ragazzi molto diversi tra loro ma affiatati: dal leader della classe, il donnaiolo Dakin, al fragilissimo Posner, innamorato – per nulla segretamente – di lui, fino al poco convenzionale Scripps, in crisi spirituale. L’insegnante d’inglese, Hector (“irresistibile”, “strabiliante e memorabile” Elio De Capitani) e quella di storia, Mrs Lintott (interpretata da Debora Zuin dal 2013), cercano di stimolare la loro curiosità al di là dei percorsi consueti e preconfezionati, infischiandosene del prestigio, delle tradizioni, dei primati e dei punteggi scolastici, mentre il preside (Gabriele Calindri), per buon nome della scuola, li vorrebbe tutti a Oxford o Cambridge. Si apre così uno scontro che vedrà scendere in campo anche un giovane professore, cinico e ambizioso (Riccardo Bocci nell’edizione 13/14), incaricato dal preside di dare una “ripulita” allo stile dei ragazzi, renderlo più brillante, “giornalistico” e più spendibile al “supermercato del sapere”, con buona pace della ricerca storica e dei dibattiti di metodologia.

17 – 22 dicembre 2013
SALA BAUSCH
PARKIN’SON
concept e direzione Giulio D’Anna
creazione e performance Giulio e Stefano D’Anna
musiche originali Maarten Bokslag
disegno luci e scene Theresia Knevel e Daniel Caballero

L’urgenza e l’idea di questo spettacolo nascono da mie necessità personali e umane. Mentre io facevo base in Olanda a mio padre è stato diagnosticato il morbo di Parkinson. Come figlio volevo fare qualcosa e c’erano solo due possibilità: tornare a casa, oppure trasportare lui nel mio mondo. Ho scelto la seconda strada, per dare nuovi impulsi alla sua vita, che fino a quel momento era trascorsa lontana dalla danza. Il Parkinson si combatte con aiuti farmacologici, ma anche coltivando grandi interessi, quindi è stata una scelta esistenziale e, se vogliamo, egoistica. Corpi danzanti non convenzionali sono la mia scelta: corpi che esistono e che sanno raccontare in maniera più diretta cose capaci di colpire lo spettatore. Mi sono anche interrogato sul rapporto tra genitori e figli, oltre gli stereotipi di convenzionalità e ribellione. Così storie individuali sono diventate universali, nella convinzione che se riesco a toccare le corde personali riesco anche a dialogare con il pubblico. Poi ho chiesto a mio padre quali fossero le sue motivazioni e mi ha risposto, con chiarezza, che questa potrebbe essere una delle ultime possibilità attraverso cui farmi sentire il suo sostegno.

7 – 12 gennaio 2014
SALA FASSBINDER
IL VECCHIO PRINCIPE
testo e regia César Brie
ispirato a Il piccolo principe di Saint Exupery
scene Daniele Cavone Felicioni, Giacomo Ferraù, Catia Caramia
costumi Anna Cavaliere
musiche Chango Spasiuk
con Manuela De Meo, Vincenzo Occhionero, Pietro Traldi
tecnici Daniele Cavone Felicioni, Giacomo Ferraù

In un ospedale geriatrico Vecchio, un paziente anziano, dice di venire da una stella dove ha lasciato un fiore. Antoine l’infermiere lo ascolta, a volte si spazientisce perché Vecchio si alza di notte, parla con persone che non ci sono ed è preoccupato per un fiore che ha abbandonato. Il giorno delle visite arrivano il primario, un nipote ubriacone, una nipote donna d’affari sempre attaccata al cellulare e un altro visitatore che accende e spegne le luci di continuo. Vecchio si sente solo nell’ospedale, cerca gli uomini nei corridoi deserti, confonde i lampioni con le stelle e sogna il suo fiore col quale contemplava i tramonti. Antoine comincia a capire che Vecchio è fedele ai propri ricordi e che il mondo gli sembra assurdo senza amicizia, amore e tempo per guardarsi intorno. Quando Antoine capisce che Vecchio gli sta insegnando a vivere in un’altra forma, Vecchio si accorge che è ora di tornare al suo pianeta.
César Brie attraversa in punta di piedi, insieme a un cast di giovani attori, il testo più famoso di Antoine de Saint Exupéry, capovolgendo il ruolo del protagonista. Nella rilettura del regista argentino, la storia del Piccolo Principe, che diventa, appunto, “Vecchio”, con i suoi incontri immaginifici, viene raccontata all’interno di una residenza per anziani, rivelando tutto il dramma dell’esistenza e insieme la gioia di vivere e l’universalità delle domande poste dal racconto.

10 gennaio – 2 febbraio 2014
SALA SHAKESPEARE
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE
di Arthur Miller
traduzione di Masolino d’Amico
regia di Elio De Capitani
scene e costumi Carlo Sala
con Elio De Capitani, Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Federico Vanni (fino al 20 gennaio), Massimo Brizi (dal 21 gennaio), Andrea Germani, Gabriele Calindri, Alice Redini, Vincenzo Zampa, Marta Pizzigallo
luci di Michele Ceglia
suono di Giuseppe Marzoli

Miller racconta gli ultimi due giorni di vita di un commesso viaggiatore, prima del suo suicidio, riuscendo a mettere in luce, oltre alla precarietà della sua condizione socio-economica – oggi di grande attualità – il dramma di un fallimento esistenziale. Brillante venditore dalla lingua sciolta che ha fondato la sua vita sulla rincorsa del successo e sull’aspirazione alla “popolarità”, Loman si ritrova escluso dal ‘sogno americano’: a 63 anni non riesce più a piazzare la merce, non regge più la fatica dei viaggi attraverso l’America (che un tempo avevano per lui il sapore della conquista). Soprattutto non riesce più a illudersi e illudere, vede sgretolarsi il castello di grandi sogni e piccole bugie che ha faticosamente costruito: «Ormai è ridicolo, fuori moda, ma è così», ammette la moglie Linda che da una vita lo sostiene. Nei figli Biff e Happy ha alimentato le stesse illusioni, proiettando su di loro aspettative e fallimenti, fino a minarne la felicità. Ormai incapace di stare nella realtà – con i piedi ben piantati “sui gradini della metropolitana” – Willy non distingue più tra presente e passato, sogni e ricordi, tra quanto si agita nella sua testa (il titolo avrebbe dovuto essere proprio The inside of his head) e la vita vera.

14 – 19 gennaio 2014
SALA FASSBINDER
L.I. | LINGUA IMPERII
violenta la forza del morso che la ammutoliva

drammaturgia Simone Derai, Patrizia Vercesi
traduzione e consulenza linguistica Filippo Tassetto
regia Simone Derai
costumi Serena Bussolaro, Silvia Bragagnolo, Simone Derai
musiche originali Paola Dallan, Simone Derai, Mauro Martinuz, Marco Menegoni, Gayanée Movsisyan, Monica Tonietto
con Anna Bragagnolo, Mattia Beraldo, Moreno Callegari, Marco Crosato, Paola Dallan, Marco Menegoni, Gayanée Movsisyan, Eliza Oanca, Monica Tonietto
e con Hannes Perkmann, Hauptsturmbannführer Aue, Benno Steinegger, Leutnant Voss
video Moreno Callegari, Simone Derai, Marco Menegoni

L’ultimo spettacolo testimonia con chiarezza i linguaggi e i temi di cui si nutre la ricerca della compagnia. Utilizzando video, parola, gesto e musica, il gruppo ha sviluppato una ricerca a partire dalle prime pagine dei Sommersi e i salvati di Primo Levi e dalle sue riflessioni sulla sfuggente memoria umana e sulla memoria specifica dell’olocausto, per costruire “un percorso teatrale in grado di stimolare una riattivazione della memoria su un piano diverso da quello dell’informazione o della narrazione attraverso i documenti; in grado di suscitare l’immemorabile, quel sepolto che lascia sgomenti e che proprio per questo – o per la natura stessa che accomuna tutti i fatti umani – è sottoposto ad un processo di oblio”. Quasi una storia del potere della lingua nel mondo occidentale, ripercorsa attraverso frammenti di autori apparentemente distanti (tra i quali W.G. Sebald, Jonathan Littell, Eschilo, René Girard, Tzvetan Todorov, Bruno Bettlheim, August Sander, Victor Klemperer): si parte dalla follia nazionalsocialista per incontrare il mutismo di Ifigenia e ritrovare quel silenzio in altre prede, altre cacce, altri genocidi.
Lingua Imperii è la lingua dell’impero inteso come dominio coercitivo. È la lingua povera, bruta e ingannevole delle propagande fasciste. Sono gli alfabeti e le lingue insegnate a forza. Ma è anche il bavaglio o l’assenza di voce imposti come un dono violento dai dominatori. Infine è il linguaggio stesso della violenza.

14 – 19 gennaio 2014
SALA BAUSCH
LA FABBRICA DEI PRETI
elementi di scena Francesca Laurino
con Giuliana Musso
assistenza e ricerche fotografiche Tiziana De Mario, realizzazione video di Giovanni Panozzo e Gigi Zilli
ricerche bibliografiche Francesca Del Mestre
consulenza musicale Riccardo Tordoni

«Come si può esattamente definire Giuliana Musso, la ficcante autrice-interprete friulana, creatrice di spettacoli che affrontano temi scomodi, inconsueti per il teatro?», si chiede Renato Palazzi parlando dello spettacolo che l’ha resa famosa, Sexmachine. «Certo, è una vera forza del palcoscenico, ma la sua attività sembra piuttosto quella di un palombaro che si cala in profondità nelle zone oscure del nostro vivere sociale, che ne esplora zone d’ombra e contraddizioni, risalendone con dei reperti che documentano fedelmente le situazioni nelle quali sono state ripescate». Sono dunque tutti da vedere i suoi lavori proposti nella stagione 13/14.
I tre personaggi interpretati dalla Musso in La fabbrica dei preti sono uomini anziani che si raccontano con franchezza: la giovinezza in un seminario, i tabù, le regole, le gerarchie, e poi l’impatto col mondo delle donne, le frustrazioni ma anche la ricerca e la scoperta di una personale forma di felicità umana. Lo sfondo di ogni racconto è quella stessa cultura cattolica che ha generato il nostro senso etico e morale e con esso anche tutte le contraddizioni e le rigidità che avvertiamo nei nostri atteggiamenti, nei modelli di ruolo e di genere, nei comportamenti affettivi e sessuali. E così mentre ridiamo di loro, ridiamo di noi stessi e mentre ci commuoviamo per le loro solitudini possiamo, forse, consolare le nostre.

21 – 23 gennaio 2014
SALA FASSBINDER
TANTI SALUTI [RECENSIONE] un progetto di teatro civile clownesco di Giuliana Musso
regia di Massimo Somaglino
ricerca e drammaturgia Giuliana Musso
direzione clown Maril Van Den Broek
con Beatrice Schiros, Gianluigi Meggiorin, Giuliana Musso

Tanti saluti porta in scena tre clown e a loro consegna il non dicibile: il racconto delle paure, degli smarrimenti e delle soluzioni paradossali che mettiamo in atto di fronte alla morte. Unici oggetti di scena: tre nasi rossi e una buffa cassa da morto. Non si ride della morte, ma degli atteggiamenti verso la morte, di un’umanità che si pensa eterna. L’attimo supremo depositato nelle mani guantate di lattice di medici e infermieri, quegli attimi che forse ci possono far intravedere il mistero che siamo, il senso che cerchiamo. Ma la medicina ha maglie molto strette, non può contemplare la variabile umana, non conosce protocolli di com-prensione, com-passione.

24 – 26 gennaio 2014
SALA FASSBINDER
SEX MACHINE [SGUARDI DI QUINTA] di e con Giuliana Musso e con “Igi” Gianluigi Meggiorin
regia Massimo Somaglino
collaborazione al soggetto Carla Corso
suono e luci Claudio Poldo Parrino

In Sexmachine, l’attrice e un musicista danno voce e anima a sei personaggi che, visti in sequenza, formano un quadro di contemporanea umanità, complessa, multiforme, ridicola, sincera. Dino, pensionato, nostalgico delle case chiuse. Vittorio, agente di commercio, il cliente perfetto. Monica, mamma di Cristian, castigatrice dei costumi. Silvana, una professionista. Igor, ventenne, magazziniere, un arlecchino appassionato di lap-dance. Sandro, imprenditore nordestino, fallito. Hanno tutti in comune due cose: appartengono alla cultura del nord-est e trovano soddisfazione ai loro bisogni e ragione alle loro paure nel variegato e complesso mondo dei rapporti sessuali a pagamento.

28 – 29 gennaio 2014
SALA FASSBINDER
ORFANI
la nostra casa

testo di Fiammetta Carena
regia di Maurizio Sguotti
scene e costumi Francesca Marsella
con Alessandro Bacher, Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Alex Nesti, Maurizio Sguotti
luci e musiche Enzo Monteverde

Con la trilogia teatrale Familia (Orfani _ la nostra casa, Pater Familias _ dentro le mura e Hi Mummy _ frutto del ventre tuo), Kronoteatro propone un’attenta indagine circa i meccanismi di interazione, attorno ai quali si costituiscono le relazioni parentali proprie della cornice familiare classica. L’analisi ruota per lo più attorno ai rapporti di potere e soggezione che s’instaurano tra i componenti delle differenti generazioni.

In un tempo e un luogo indefiniti e claustrofobici cinque ragazzi vengono tenuti reclusi da un uomo che viene definito “il Maestro”. I ragazzi non hanno nome, né storia. Sono sperduti e immemori. L’unica percezione che hanno del mondo esterno è quella di una minaccia oscura e informe, attraversata da echi di guerra. Non ricordano da dove vengono, né perché sono lì. Sono gli Orfani messi in scena da Kronoteatro nel primo spettacolo della loro trologia. Orfani di padre, di madre, di memoria di realtà.

30 – 31 gennaio 2014
SALA BAUSCH
PATER FAMILIAS
dentro le mura

testo di Fiammetta Carena
regia di Maurizio Sguotti
movimenti Davide Frangioni
scene e costumi Francesca Marsella
con Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Alex Nesti, Nicolò Puppo, Maurizio Sguotti
luci e musiche Enzo Monteverde

Con un’andatura incalzante e vorticosa, scandita dai battiti di una cupa musica elettronica e dalla fisicità febbrile dei protagonisti, questo spettacolo – come il precedente Orfani – indaga il rapporto tra generazioni, la ferocia e il richiamo all’omologazione che viene esercitato dal gruppo.
Sulla scena si muovono tre entità: un padre, un figlio e il branco degli amici del figlio. Il registro narrativo è duplice. Da una parte una realtà contemporanea scarna e afasica: un padre vedovo e di estrazione sociale modesta, un figlio rabbioso e dall’identità incerta e un gruppo di giovani di buona famiglia ferocemente uniformati ai riti imperanti. Dall’altra un mondo onirico e astratto che trova rappresentazione in un labirinto, un labirinto che in chiave simbolica diventa un luogo fantastico, un paesaggio della mente in cui prendono vita impulsi, paure e desideri dei personaggi.

1 – 2 febbraio 2014
SALA FASSBINDER
HI MUMMY
frutto del ventre tuo

testo di Fiammetta Carena
regia di Maurizio Sguotti
movimenti Davide Frangioni
scene e costumi Francesca Marsella
con Tommaso Bianco, Alberto Costa, Vittorio Gerosa, Alex Nesti, Maurizio Sguotti
luci e musiche Enzo Monteverde

L’indagine circa i meccanismi che costituiscono le relazioni parentali della cornice familiare classica, pone questa volta al centro della scena la figura della madre, la cui interpretazione è tuttavia affidata a un soggetto maschile. Un uomo non più giovane, dall’identità confusa, incapace di emanciparsi dalla propria condizione primordiale di figlio e smarrito nel desiderio di ricongiungimento materno che si traduce in nevrotica imitazione. Attorno a lui un gruppo di giovani: forse figli, personificazioni di ricordi o di momenti diversi della sua stessa vita.
Nascita e morte si confondo in questa danza macabra, mentre colui che ha generato si accinge a distruggere e distruggersi e l’impressione è quella di uno scorrere del tempo che non conosce progresso.
È nel conflitto, indagato in chiave intergenerazionale, che Kronoteatro riconosce il percorso principale che conduce alla coscienza di sé.
Un “Teatro del martello” volto a spazzar via, senza esitazioni le placide certezze e convenzioni in cui siamo soliti rifugiarci. Un teatro che ci invita a guardare dentro noi stessi, per sbarazzarci di quella collezione di immagini sacre che funge da pilastro alla nostra auto comprensione.

4 – 9 febbraio 2014
SALA SHAKESPEARE
GIOCANDO CON ORLANDO
adattamento teatrale e regia di Marco Baliani
con Stefano Accorsi e Marco Baliani

Stefano Accorsi e Marco Baliani di nuovo insieme a giocare con i versi dell’Ariosto, dopo l’esperimento del Furioso Orlando del 2012, un successo teatrale che – a differenza di questo secondo “capitolo” – vedeva Baliani solo in veste di regista. Lo spettacolo debutta il 19 novembre 2013 al Teatro della Pergola di Firenze.

La giostra è quella dei cavalieri paladini e maomettani che duellando, amando, scontrandosi e scornandosi, tradendo e infuriando, girano in tondo come figure di una macchina giostrante apparendo e scomparendo a seconda del girotondo che il gioco impone.
Giostra è l’intera impalcatura dell’Orlando Furioso, un girovagare ciclico, rotondo, fiabesco dove le storie principiano a girare guidate dalla musica delle parole in rima e di colpo si interrompono, si perdono, restano sospese, in attesa del prossimo giro, ritrovando il bandolo perduto, riprendendo il filo del racconto.
Giostra è la sarabanda di parole, sempre cercate in rima, con cui vorticano e volteggiano, nel gioco antico del teatro, mondi, paesaggi, personaggi, sentimenti, passioni, furie e tradimenti.

5 – 16 febbraio 2014
SALA FASSBINDER
LA PACE PERPETUA
di Juan Mayorga
traduzione Antonella Caron
regia di Jacopo Gassmann
movimenti Marco Angelilli
scene Alessandro Chiti
costumi Sandra Cardini
con Pippo Cangiano, Enzo Curcurù, Giampiero Judica, Davide Lorino e un attore da definire
lightdesigner Gianni Staropoli
suono David Barittoni

Il grande dono di Mayorga è quello di sapere offrire a tutti noi, senza mai volerci educare, delle possibili chiavi di lettura, dei possibili spunti di riflessione rispetto ai conflitti e ai paradossi che ci abitano e che ci dominano. Immanuel, John-John, Odìn e Casius, i cani protagonisti della nostra opera, sono tutti parte e parti di noi stessi. Sono cani parlanti e pensanti, come in una moderna allegoria kafkiana, che però preservano il loro istinto, il loro fiuto e il loro cuore animale, e il cui silenzio spesso ci pone di fronte alla nostra impotenza (vergogna?) di non avere soluzioni di fronte alle nostre stesse contraddizioni, alla nostra “zona grigia”. Le loro storie, le loro domande ci pongono dei conflitti della ragione, del sentimento, dell’istinto e dell’idealità e che, solo nel finale, nel momento della responsabilità collettiva, chiamano ciascuno dei protagonisti a compiere una scelta, forse indicibile, forse irrappresentabile ma soprattutto, ed è quel che conta, invitano ciascuno di noi ad assumere comunque un punto di vista critico.

15 – 23 febbraio 2014
SALA SHAKESPEARE
AQUILONI
due tempi di Paolo Poli liberamente tratti da Giovanni Pascoli
regia Paolo Poli
coreografie Claudia Lawrence
scene Emanuele Luzzati
costumi Santuzza Calì
musiche Jacqueline Perrotin
con Paolo Poli, Fabrizio Casagrande, Daniele Corsetti, Alberto Gamberini, Giovanni Siniscalco

Paolo Poli, ultimo grande interprete del varietà all’italiana, da quasi cinquant’anni sfoglia la letteratura tra otto e novecento (e non solo) per rivelare i risolti ironici e i sottintesi corrosivi e dissacranti che si nascondono anche nelle pagine più innocenti. Il suo sguardo diabolico, i suoi toni maliziosi non hanno risparmiato Gozzano, Fogazzaro, Niccodemi della Nemica, Savinio, Palazzeschi, Parise e Anna Maria Ortese.
Poi è stata la volta di Pascoli, cui ha dedicato l’ultimo spettacolo Aquiloni, debuttato nel novembre 2012. Il titolo è preso dalla celebre poesia Aquilone, a ricordare un giocattolo antico e preindustriale e un mondo contadino e gergale.

18 – 23 febbraio 2014
SALA FASSBINDER
INVIDIATEMI COME IO HO INVIDIATO VOI
scritto e diretto da Tindaro Granata
scene e costumi Eliana Borgonovo
elaborazioni musicali Marcello Gori
con Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Paolo Li Volsi, Bianca Pesce, Francesca Porrini, Giorgia Senesi
voce fuori campo Elena Arcuri
disegno luci Matteo Crespi

Quando sono sul tram o in metropolitana, ascolto la gente. Per la strada, guardo la gente. A volte, guardando e ascoltando mi rivedo in ciò che guardo e sento almeno 32 parole che utilizzerò, o che ho utilizzato, quel giorno. Mi blocco. Sono come loro! Quest’idea, mi blocca. In questo fermo, sto appeso ad un filo tristanzuolo. Sgocciolo che siamo gente sola, che lottiamo troppo troppo per noi stessi e troppo poco per gli altri, uccidendo quell’organo che sta tra la valvola tricuspide e la valvola aortica. Stiamo morendo per far vivere i nostri desideri, dimenticando come sia bello vivere per far vivere i desideri degli altri.
Egoismo genera Solitudine…
Solitudine genera Invidia…
Invidia genera Infelicità.
Infelicità cerca Felicità per infilzarla; Felicità si nasconde, ha paura. Infelicità spinge gli uomini a cercare Felicità in “Ogniccosa”. “Ogniccosa” è composta da “Ogni” e da “Cosa”, una è bianca e l’altra è nera; insieme diventano: Invidiatemi come io ho invidiato voi.
Tindaro Granata

24 febbraio – 2 marzo 2014
SALA FASSBINDER
ALDO MORTO [RECENSIONE] Tragedia
drammaturgia, regia, interpretazione Daniele Timpano
collaborazione artistica Elvira Frosini
aiuto regia Alessandra Di Lernia
disegno luci Dario Aggioli
registrazioni audio Marco Fumarola
rediting audio Marzio Venuti Mazzi
elaborazioni fotografiche Stefano Cenci

Un attore nato negli anni ’70, che di quegli anni non ha alcun ricordo o memoria personale, partendo dalla vicenda del tragico sequestro di Aldo Moro, trauma epocale che ha segnato la storia della Repubblica italiana, si confronta con l’impatto che questo evento ha avuto nell’immaginario collettivo. In scena, assieme al suo corpo e a pochi oggetti, solo la volontà di affondare fino al collo in una materia spinosa e delicata senza alcuna retorica o pietismo.
«Desolato, io non c’ero quando è morto Moro» precisa Daniele Timpano. «Aldo è morto senza il mio conforto. Era il 9 maggio 1978. Non avevo ancora quattro anni. Quando Moro è morto, non me ne sono accorto. Ma dov’ero io quel 9 maggio? E cosa facevo? A che pensavo? E soprattutto a voi che ve ne importa? È una cosa importante cosa facevo e che pensavo io a tre anni e mezzo? Aldo è morto, poveraccio. Aldo Moro, lo statista. Che un certo Moro fosse morto l’ho scoperto alla televisione una decina di anni dopo, grazie a un film con Volontè. Un film con Aldo morto. Ci ho messo un po’ a capire fosse tratto da una storia vera. Oh, mio Dio! Hanno ammazzato Moro? E quando? Perché? E come? Lo hanno trovato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, undici colpi sparati a bruciapelo addosso. Oh, mio Dio! Hanno ammazzato Moro! Brutti bastardi. E vabbè, pazienza. Niente di importante. Cose che capitavano negli anni ’70. Bisognava fare la rivoluzione. Chi? Brigate rosse. Era il 9 maggio del 1978. Non avevo ancora quattro anni. Brigate rosse, sì. Ma rosse in che senso?».

25 febbraio – 2 marzo 2014
SALA SHAKESPEARE
EDUCAZIONE SIBERIANA
di Nicolai Lilin e Giuseppe Miale di Mauro
da un’idea di Francesco Di Leva e Adriano Pantaleo
regia di Giuseppe Miale di Mauro
aiuto regia Andrea Vellotti
scene Carmine Guarino
costumi Giovanna Napolitano
cura del movimento Roberto Aldorasi
musiche Francesco Forni
con Luigi Diberti e con Elsa Bossi, Ivan Castiglione, Francesco Di Leva, Giuseppe Gaudino, Stefano Meglio, Adriano Pantaleo, Andrea Vellotti
luci Luigi Biondi

Quando Lilin nasce in Transnistria, regione dell’ex Unione Sovietica oggi Moldova, la criminalità dilagante è l’unica certezza per un bambino come lui, cresciuto nel culto delle armi. Nel suo quartiere, Fiume Basso, si concentrano i criminali espulsi dalla Siberia e la scuola della strada è l’unica che vale per Nicolai, un’educazione che passa attraverso i “vecchi”, i criminali anziani ai quali la comunità riconosce il ruolo di «nonni» adottivi. Sono loro a trasmettere valori che paiono in conflitto con quelli criminali: l’amicizia, la lealtà, la condivisione dei beni. Ma anche la cultura dei tatuaggi che dicono il destino di ognuno, e che ricoprono la pelle di Nicolai adulto. E quando la cultura dei nuovi delinquenti, giostrata dalle autorità russe, fa breccia a Fiume Basso, nulla sarà più come prima.
L’adattamento teatrale di Educazione siberiana si muove intorno alla storia di due fratelli molto diversi tra loro: il primo è Boris, il giusto. Legato agli insegnamenti della tradizione siberiana, rispetta gli anziani e cerca di somigliare in tutto a loro. Il secondo è Yuri, il ribelle. Ha lo sguardo proiettato nel futuro, pronto ad infrangere ogni regola e a tradire la sua stessa famiglia per amore del Dio denaro, così rapito nel suo sogno americano. In mezzo il vecchio Nonno Kuzja, che cerca di far resistere la tradizione dei criminali onesti, nonostante il devastante impatto della società con il moderno delirio del consumismo occidentale.

4 – 9 marzo 2014
SALA BAUSCH
PER FAVORE NIENTE EROI
Ispirato ai racconti di Raymond Carver
drammaturgia e regia Corrado Accordino
assistente alla regia Valentina Paiano
scene e costumi Maria Chiara Vitali
con Corrado Accordino, Daniele Ornatelli e Alessia Vicardi

Raymond Carver (1938-1988) è stato un maestro della narrativa breve ed è considerato il capostipite del minimalismo letterario americano. Con la sua scrittura lineare, asciutta e incisiva, Carver indirizza il lettore attraverso la grigia quotidianità per svelargli quel poco di poesia che resta nelle piccole vite descritte.
Una vita familiare, tanti lavori diversi alle spalle, l’alcolismo, gli arresti e i ricoveri. L’intera arte di Carver si nutre di queste esperienze: i suoi racconti hanno per protagonisti individui umili, spesso disperati, che si dibattono e si trascinano tra le difficoltà della vita dell’America di provincia.
I ritratti graffianti dei personaggi di Carver producono fatti di vita che esplodono, come in un grande boato che non fa rumore. Storie minimali, come la sua scrittura, che si sviluppano sulla scena come in un film di Robert Altman. Il grande regista si ispirò proprio ai racconti e a una poesia di Carver per il suo capolavoro America oggi (1993).

Lo spettacolo ha due piani di lettura. Da un lato c’è l’autore. Immaginiamo che Carver si presenti al pubblico in una sorta di conferenza-confessione. Racconta di sé, della sua vita, del percorso creativo che sta dietro alla sua scrittura. Mentre Carver racconta, accanto a lui appaiono e accadono delle storie, in un continuo alternarsi tra vita dell’autore e personaggi che prendono vita.
Mi interessava raccontare la forza di Carver, le sue storie in apparenza molto piccole, ma ricche di una grandissima vitalità. Non quelle di eroi da prima pagina, ma di personaggi normalissimi che splendono nella loro quotidianità.
Dall’intervista di Claudio Lo Russo a Corrado Accordino, La Regione Ticino

4 – 9 marzo 2014
SALA SHAKESPEARE
FOTOFINISH
di Flavia Mastrella, Antonio Rezza
(mai) scritto da Antonio Rezza
allestimento scenico Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
con Antonio Rezza e con Ivan Bellavista
disegno luci Mattia Vigo

Una ‘personale’ dedicata a Flavia Mastrella e Antonio Rezza con le loro ultime quattro opere. Un percorso nel tempo che chiarisce ancora meglio il legame inconfutabile tra l’arte contemporanea e la performance.
Fotofinish (2003), il primo spettacolo proposto, è la storia di un uomo che si fotografa per sentirsi meno solo. Apre così uno studio dove si immortala fingendosi ora cliente ora fotografo esperto. E grazie alla moltiplicazione della sua immagine arriva a credersi un politico che parla alla folla. Una folla che non c’è.
Ma che lo galvanizza come tutte le cose che non avremo mai. Tra un comizio e l’altro arriva a proclamarsi costruttore di ospedali ambulanti che si spostano direttamente nelle case dei malati. E all’interno di questi ospedali c’è sempre lui: sotto le vesti del primario, sotto quelle del degente e sotto quelle delle suore cappellone che sostituiscono la medicina con gli strumenti della fede. Ben presto, grazie all’inflazione della sua immagine, è̀ convinto di non essere più solo. E continua nelle sue scorribande politiche delegando se stesso alla cultura per costruire impossibili cinema dove l’erotismo differisce dalla pornografia solo per qualche traccia labile di dialogo.
E ipotizza incendi e sciagure, ipotizza uscite di sicurezza per portare in salvo lo spettatore medio che lui stesso rappresenta. Di tanto in tanto torna dal fotografo che è per costringersi a scattarsi nuove foto. E impazzisce a poco a poco.
Ma mai completamente.

5 – 23 marzo 2014
SALA FASSBINDER
CASSANDRA
da Christa Wolf
traduzione di Anita Raja
regia, video, scene e costumi di Francesco Frongia
fondale “stasi del tempo” disegnato da Ferdinando Bruni
con Ida Marinelli
luci Nando Frigerio, suono Gionata Bettini

Eroina classica per eccellenza, Cassandra rivive nella scrittura di Christa Wolf, la più nota scrittrice dell’ex DDR – nata nel 1929 e scomparsa il 1 dicembre 2011 – autrice nel 1983 di un romanzo che ha commosso e ispirato generazioni di lettori in tutto il mondo (edito in Italia per i tipi di e/o).
La sacerdotessa troiana, figlia di Ecuba e Priamo, attende la morte nella fortezza di Micene, dove l’ha condotta prigioniera Agamennone. Nelle pagine della Wolf il suo racconto scivola all’indietro, lungo i dieci anni della guerra di Troia, dalla rovina della sua città fino alla fanciullezza, attraverso gli orrori della guerra e i suoi inarrestabili meccanismi. Le sue parole non sono semplici ricordi, ma rivelano la potenza del suo sguardo, la capacità di vedere e prevedere – seppure inascoltata – di sognare e immaginare una società incruenta e femminile. Ida Marinelli, dopo il debutto nel gennaio 2012, torna in scena con la sua intensa Cassandra diretta da Francesco Frongia, autore anche di scene, costumi e video.

11 – 16 marzo 2014
SALA SHAKESPEARE
BAHAMUTH
di Flavia Mastrella, Antonio Rezza
liberamente associato al Manuale di zoologia fantastica di J.L. Borges e M. Guerrero
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat e disegni di Flavia Mastrella
collaborazione alla regia e all’ispirazione Massimo Camilli
con Antonio Rezza
e con Ivan Bellavista e Giorgio Gerardi
disegno luci Maria Pastore
consulente tecnico Mattia Vigo

Un uomo steso fa le veci del tiranno. E cede il passo all’atleta di Dio che volteggia sulle sbarre con le braccia della disperazione. E poi un nano, più basso delle sue ambizioni, che usa lo scuro per fare, e la luce per dire. Frattanto qualcuno cade dall’alto e si infila i piedi nella gola. E quindi la realtà figurata delle vittime del povero consumo, connotate da assenza di astrazione, con il padrone unto dall’autorità del denaro.
Ma si affaccia Bahamuth, l’essere supremo, che dopo breve apparizione si sottrae al tempo e al giudizio. Mentre la merce si mescola a corpi fatti a pezzi. Pezzi di uomo ancora da nascere ma già immolati alla meschinità costituita.
E viaggiatori dell’anima con il corpo stanco, alloggiati come bestie a copulare nel grande albergo della carne mozza. Intanto le sfilate della vanità su corpi zoppi e deceduti. E un amico che parla senza voce e sente senza orecchie.
Ma il senso della vita si incontra solo all’infinito dove l’uomo fa la fine del capretto da sgozzare. Brufoli e depressioni tristemente accomunati con le bibite a ghiacciare le parole nella gola. Ma la corsa al vestire il corpo nudo e verme non dà tregua all’uomo pellegrino, mentre le braccia del padrone, camuffate da proletariato, saltano al ritmo di una danza di classe.
E l’orologio segna sempre l’ora in cui un passerotto castrato, si affaccia e grida la sua costernazione sotto forma di cucù, per poi rientrare diligente nella trappola del tempo. Editti a favore di chi non ha. Urla squassanti di chi non è. Urla come indiani, urla che non vengono capite perché non le si vuol capire.
Ma come Bahamuth sostiene il mondo, così le immagini si sovrappongono. E il gran finale, con i personaggi a fare la figura degli sguatteri mentre l’autore che li muove è il gerarca dalla lingua biforcuta. L’autore è il male dell’opera.

18 – 30 marzo 2014
SALA SHAKESPEARE
IL SERVITORE DI DUE PADRONI
da Carlo Goldoni
regia di Antonio Latella
assistente alla regia Brunella Giolivo
drammaturgia Ken Ponzio
scene e costumi Annalisa Zaccheria
con (in o.a.) Marco Cacciola, Giovanni Franzoni, Federica Fracassi, Roberto Latini, Annibale Pavone, Lucia Perasa Rios, Massimiliano Speziani, Rosario Tedesco, Elisabetta Valgoi
suono Franco Visioli
luci Robert John Resteghini

Antonio Latella con il drammaturgo Ken Ponzio si confronta con un classico del teatro, l’Arlecchino goldoniano qui filtrato attraverso il tema della menzogna.
La menzogna è il tema che appartiene totalmente a questa commedia.
Dietro la figura di Arlecchino (Truffaldino) la commedia si nasconde a se stessa, mente. Dietro agli inganni, ai salti, alle capriole del servitore più famoso del mondo la commedia mente agli spettatori: il personaggio che tanto li fa ridere è insieme tutte le menzogne e i colori degli altri personaggi. È uno specchietto per le allodole e sposta il punto di ascolto dell’intera commedia. Non c’è una figura onesta, tutto è falso, è baratto, commercializzazione di anime e sentimenti.
Nessuno piange il morto eppure quel morto era fratello e futuro sposo. Nessuno chiama le cose per quello che sono. Non c’è un luogo che accoglie, ma tutto resta di passaggio e la storia scopre le magagne del servitore in una taverna, i padroni tornano a vivere e i servi a vivere servendo.
Cosa resta? Il vuoto, graffiato dal sorriso beffardo delle maschere. Se togliamo i salti, gli ornamenti, la recitazione meccanica fatta di suono ma mai di testo e sottotesto, se togliamo le maschere, cosa resta?
Il vuoto, forse l’orrore della nostra contemporaneità. L’orrore dell’uomo che davanti al peso del denaro perde peso, diventa anoressico: non è corpo in un costume che tutto permette ma scheletro in un corpo che tutto limita.

24 – 29 marzo 2014
SALA FASSBINDER
BERKOFF’S WOMEN
da Steven Berkoff
regia di Josie Lawrence
con Linda Marlowe

Linda Marlowe, attrice dalle potenzialità interpretative straordinarie, musa di Steven Berkoff e icona del teatro inglese, da anni ospite della Stagione Sperimentale Europea del Teatro della Contraddizione, piccolo ma tenace luogo di sperimentazione in Porta Romana, debutta all’Elfo Puccini con un suo cult, forse il lavoro più poetico e scandaloso. Berkoff’s women (1999) è un’esplorazione teatrale nell’universo dell’autore inglese per indagare e incarnarne con ironia i suoi più apprezzati personaggi femminili: dalla donna epica della tragedia greca fino alla moderna femminista vendicatrice, otto frammenti estratti dai suoi lavori più celebri.
Alla messa in scena saranno affiancati momenti di riflessioni e convivio sul lavoro di Linda Marlowe, proiezioni di video inediti e introvabili, tra cui Decadence, interpretato da Steven Berkoff e Linda Marlowe, Metamorphosis con un giovanissimo Tim Roth nel ruolo del protagonista e spezzoni delle Sadista Sisters, gruppo musicale punk rock di cui la Marlowe ha fatto parte a metà degli anni settanta.

1 – 13 aprile 2014
SALA FASSBINDER
GOLI OTOK
Isola della libertà

testo di Renato Sarti
da un progetto di Elio De Capitani e Renato Sarti
musiche Carlo Boccadoro
con Elio De Capitani e Renato Sarti
luci di Nando Frigerio

Aldo Juretich, un anziano nato a Fiume negli anni venti, abitava a Monza. Dopo la Seconda Guerra mondiale visse la terribile esperienza di Goli Otok, il peggiore dei campi di internamento di Tito, in cui furono rinchiusi – dopo la rottura fra la Jugoslavia e l’URSS – quei “traditori” che rimasero fedeli a Stalin.
Nell’inferno di Goli Otok finì una parte importante dell’eroica Resistenza jugoslava: semplici resistenti ma anche eroi di Spagna, comandanti partigiani, membri di primo piano del Partito Comunista Jugoslavo, scrittori, poeti, artisti e persino ex agenti dell’Udba, la spietata polizia segreta.
Fra mille altre sofferenze (fame, sete, malattie, atroci violenze) il principio fondamentale su cui si reggeva il sistema di Goli Otok era quello del “ravvedimento”. Il prigioniero doveva rivedere la propria posizione e per dimostrarlo c’era un modo molto semplice: massacrare gli ex compagni, gli amici, a volte i fratelli, i figli, i padri.
Una volta finito l’internamento a Goli Otok per gli ex-prigionieri cominciava un secondo inferno: quello del completo isolamento dalla società. «Il sospetto è più forte della certezza. Una volta che sei finito nelle grinfie della polizia segreta quella non ti molla». Aldo, nonostante l’esperienza vissuta, era rimasto ancora saldamente legato a quei principi (traditi e disattesi) che lo avevano spinto ad aderire alla lotta partigiana, al Partito Comunista: l’internazionalismo, la pace, la libertà.

2 – 6 aprile 2014
SALA SHAKESPEARE
FACCIAMO CHE IO ERO IO
di e con Maurizio Lastrico
regia di Gioele Dix

Nel teatro ci sono leggi non scritte che regolano da sempre i rapporti fra chi sta sul palco e chi si trova in platea, una sorta di patto basato sulla mutua fiducia. Ecco, quando Maurizio Lastrico entra in scena, il pubblico si predispone istintivamente a ridere, perché capisce che è arrivato un attore comico di cui si può fidare. E subito si lascia conquistare dalla sua elegante figura dinoccolata, dalla sua originale e ariosa gestualità, da quella particolare fisicità che lo contraddistingue, generosa, a tratti debordante, eppure mai invadente, segno indiscutibile della sua innata, civile educazione.
Lastrico sovverte l’idea della comicità tutta di pancia, impulsiva, fisiologica. La sua carta vincente è nella qualità dei testi e nell’energia comunicativa, quella famigerata e tanto rara vis comica che gli permette di far ridere grazie a parole che prendono letteralmente corpo. Una ricetta speciale, frutto del suo talento, che ha per ingredienti risolutivi un’intelligenza vivace, un’inesorabile e feroce ironia, una discreta dose non esibita di cultura, che non guasta mai.
Nel suo nuovo spettacolo, Maurizio Lastrico intreccia fra loro resoconti sulle sue origini, cronache su incontri e personaggi del presente, riflessioni su sogni e sfide per il futuro. Costruisce così un racconto teatrale dal peso specifico molto superiore a quello di un puro monologo di intrattenimento, grazie a una lingua mai sciatta e a una recitazione consapevole dei propri mezzi.
Gioele Dix

7 – 10 aprile 2014
SALA SHAKESPEARE
7-14-21-28 [RECENSIONI E ARTICOLI] di Flavia Mastrella, Antonio Rezza
(mai) scritto da Antonio Rezza
un habitat di Flavia Mastrella
con Antonio Rezza e con Ivan Bellavista
disegno luci Maria Pastore, consulente tecnico Mattia Vigo

7, 14, 21, 28, terzo appuntamento con Mastrella e Rezza, è un lavoro del 2009.
Civiltà numeriche a confronto. La sconfitta definitiva del significato. Malesseri in doppia cifra che si moltiplicano fino a trasalire: siamo a pochi salti di distanza dalla sottrazione che ci fa sparire. Oscillazioni e tentennamenti in ideogramma mobile.
Improvvisamente cessa il legame con il passato: corde, reti e lacci tengono in piedi la situazione. Si gioca alla vita in un ideogramma. Il tratto, tradotto in tre dimensioni, sviluppa volumi triangolari diretti verso l’alto che coesistono con linee orizzontali: ma in verticale si muove solo l’uomo.
Qui non si racconta la storiella della buona notte, qui si porge l’altro fianco. Che non è la guancia di chi ha la faccia come il culo sotto. Il fianco non significa se non è̀ trafitto. Con la gola secca e il corpo in avaria si emette un altro suono. Fine delle parole.
Inizio della danza macabra.

11 – 16 aprile 2014
SALA SHAKESPEARE
FRATTO_X [RECENSIONE] di Flavia Mastrella, Antonio Rezza
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
con Antonio Rezza e con Ivan Bellavista
disegno luci Mattia Vigo

Si può parlare con qualcuno che ti dà la voce? Si può rispondere con la stessa voce di chi fa la domanda? Due persone discorrono sull’esistenza. Una delle due, quando l’altra parla, ha tempo per pensare: sospetta il tranello ma non ne ha la certezza. La manipolazione è alla base di un corretto stile di vita. Per l’ennesima volta si cambia forma attraverso la violenza espressiva. Mai come in questo caso o, per meglio dire, ancora come in questo caso, l’odio verso la mistificazione del teatro, del cinema, della letteratura, è implacabile. Il potere sta nel sopravvivere a chi muore. Noi siamo pronti a regnare. Bisognerebbe morire appena un po’ di più.
Antonio Rezza

L’habitat Fratto_X è un impeto da suggestioni fotografiche. Le immagini raccontano la strada che corre e l’impossibilità di agire. Scie luminose si materializzano con l’inquietante delicatezza dei fiori visti da vicino. Come 7, 14, 21, 28 anche Fratto_X è un ideogramma, insegue la leggera freschezza vibrante del tratto e il colore saturo dell’immagine in 3d. Una distesa di pelle calda organizza figure antropomorfe, sommerse dalla carne e dalla carnalità, vittime disponibili alla persuasione di massa. L’inutilità permea e comprime i personaggi che si affacciano da un divieto X. La Sedia, mezzo mutante color azzurro, pelle e ruggine, è presa in prestito dal teatro di narrazione. Il Telecomandato geneticamente alterato e il Miracolo dell’urbanizzazione sono sculture mobili dipendenti. La carcassa del guerriero viene riproposta come presenza epica solo nella forma e nell’atteggiamento.
Flavia Mastrella

25 aprile – 4 maggio / 20 – 25 maggio 2013
SALA FASSBINDER
VIVA L’ITALIA
Le morti di Fausto e Iaio

di Roberto Scarpetti
regia di César Brie
musiche originali di Pietro Traldi
con Andrea Bettaglio, Massimiliano Donato, Federico Manfredi, Alice Redini, Umberto Terruso
luci Nando Frigerio
suono e programmazione video Giuseppe Marzoli
progetto video Boombang Design

Viva l’Italia ha debuttato all’Elfo Puccini il 18 marzo 2013, a trentacinque anni esatti dalla morte di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, uccisi al quartiere Casoretto. È stato in scena un mese, commuovendo e coinvolgendo spettatori di ogni generazione: dai parenti e i famigliari dei due giovani, a chi conserva vivo il ricordo di quei giorni del 1978, fino agli studenti che oggi, come allora Fausto e Iaio, frequentano le scuole, i concerti, i parchi e i teatri e vogliono essere liberi di immaginare il proprio futuro.
Il Teatro dell’Elfo ha fortemente voluto questo testo di Roberto Scarpetti (vincitore della Menzione speciale Franco Quadri al Premio Riccione per il Teatro nel 2011) e ha scelto di affidare la regia a César Brie, per la sua sensibilità poetica e perché proprio con lui aveva condiviso, in quegli anni a Milano, avventure artistiche e impegno politico.
In Viva l’Italia la Storia, quella destinata a diventare pubblica, è narrata in prima persona e in “presa diretta” dai personaggi che l’hanno vissuta: cinque vicende intime e personali che intrecciandosi ricostruiscono il quadro d’insieme. I protagonisti sono Fausto (interpretato qui da Federico Manfredi), Angela, la madre di Iaio (Alice Redini), Giorgio, uno dei tre assassini (Umberto Terruso), il commissario della Digos titolare dell’inchiesta, Salvo Meli (Andrea Bettaglio) e un giornalista dell’Unità, Mauro Brutto (Massimiliano Donato) che, ossessionato dalla vicenda, comincia a condurre indagini indipendentemente dalla polizia. Tutti e cinque sono ispirati a persone realmente esistite e le loro storie, su cui è stato creato un carattere di finzione, sono il risultato della rielaborazione di fatti realmente accaduti.

29 aprile – 18 maggio 2014
SALA SHAKESPEARE
LA DISCESA DI ORFEO
di Tennessee Williams
traduzione di Gerardo Guerrieri
drammaturgia e regia di Elio De Capitani
scene e costumi di Carlo Sala
musiche a cura di Alessandra Novaga
con Cristina Crippa, Elena Russo Arman, Edoardo Ribatto, Luca Toracca, Cristian Giammarini, Corinna Agustoni, Sara Borsarelli, Elio De Capitani/Federico Vanni, Debora Zuin, Marco Bonadei, Carolina Cametti e Alessandra Novaga (chitarra elettrica)
luci di Nando Frigerio
suono Giuseppe Marzoli

Con questo spettacolo, debuttato il 13 luglio 2012 al Festival dei Due Mondi, Elio De Capitani ha firmato la terza regia di Tennessee Williams e riallacciato il filo di un lavoro iniziato diciannove anni fa – quando Mariangela Melato e il teatro Stabile di Genova lo chiamarono a dirigere Un tram che si chiama desiderio – e ripreso nel 2011 con Improvvisamente, l’estate scorsa.
La discesa di Orfeo è riletta con gli occhi e con i corpi di chi ha assorbito il teatro e il cinema di Fassbinder, il suo melò sociale, sospeso tra realismo e aperture oniriche: unici attori e una chitarrista, totalmente coinvolti nel restituire a Williams e ai suoi personaggi la tragica tenerezza e il furore esistenziale che li consuma.

5 – 18 maggio 2014
SALA FASSBINDER
LA LEGGENDA DEL GRANDE INQUISITORE [RECENSIONE]
da I Fratelli Karamazov di Fëdor Michajlovič Dostoevskij

drammaturgia Pietro Babina, Leonardo Capuano, Umberto Orsini
regia Pietro Babina
scene Federico Babina, Pietro Babina
costumi Gianluca Sbicca
musiche Alberto Fiori
con Umberto Orsini e Leonardo Capuano
video effects Miguel Derrico
sound design Alessandro Saviozzi
scenotecnico Filippo Lezzi

«Vivo da quarant’anni col Grande Inquisitore di Dostoevskij – racconta Orsini – da quando cominciai ad occuparmene in occasione dello sceneggiato che alla fine degli anni sessanta fu realizzato da Sandro Bolchi per la Rai-TV e che fu seguito da più di venti milioni di persone per otto settimane di seguito. Qualcosa di inimmaginabile oggi. (…) Interpretavo il fratello Ivan e per anni mi sono sentito dire da generazioni di spettatori che venivano ad incontrarmi nei camerini dei teatri: “Ma quell’Ivan Karamazov! Ma cose così perché non ne fanno più?”, sentendo nella loro voce un rimpianto e soprattutto una memoria sorprendenti».

Umberto Orsini oggi, partendo da questa memoria, fa rivivere quel passaggio di Dostoevskij, calandosi nei panni di un immaginario Ivan Karamazov maturo. Si misura, attraverso uno specchio, con il se stesso giovane, quell’ideatore della leggenda che tra nostalgia e sofferenza srotola il suo personale nastro di Krapp. In scena, accanto al doppio personaggio, Leonardo Capuano, un Mefisto di eco faustiana con il quale l’Inquisitore si industria a classificare temi ossessivi quali fede, mistero, autorità, peccato e libertà. Un testo che è soprattutto un manifesto sulla autoprodotta mancanza di libertà degli uomini.

21 – 25 maggio 2014
SALA SHAKESPEARE
NON SI UCCIDONO COSÌ ANCHE I CAVALLI? [RECENSIONE] di Horace McCoy
traduzione e adattamento Giorgio Mariuzzo
regia Gigi Dall’Aglio
scrittura fisica Michela Lucenti
adattamento musicale / pianoforte Gianluca Pezzino
clarinetto / sax Paolo Panigari, contrabbasso Francesca Li Causi, batteria Gabriele Anversa, voce Carlo Massari
con Roberto Abbati, Alessandro Averone, Maurizio Camilli, Andrea Capaldi, Cristina Cattellani, Ambra Chiarello, Laura Cleri, Andrea Coppone, Paola De Crescenzo, Massimiliano Frascà, Francesco Gabrielli, Luchino Giordana, Francesca Lombardo, Michela Lucenti, Luca Nucera, Massimiliano Sbarsi, Emanuela Serra, Giulia Spattini, Chiara Taviani, Nanni Tormen, Marcello Vazzoler, Chantal Viola
costumi Marzia Paparini – luci Luca Bronzo

L’Ensemble Attori Teatro Due e Balletto Civile uniscono le forze per portare in scena Non si uccidono così anche i cavalli?, spettacolo tratto dall’omonimo romanzo di Horace McCoy del 1935, noto per la versione cinematografica che ne fece Sydney Pollack. Il film, interpretato da Jane Fonda, ebbe un grande successo di critica e pubblico, presentato fuori concorso al Festival di Cannes nel 1970 e premiato con un Oscar per il miglior attore non protagonista.
Il palcoscenico diventa una pista da ballo, circondata dagli spettatori (il pubblico reale) venuti per seguire la maratona: 22 performer e un quartetto di musicisti si esibiscono in un progetto corale, in cui i corpi, con la loro fatica, la loro sofferenza, la loro verità sono la scena. Teatro Due reagisce così alla crisi, ai tagli, alle sfide del nuovo pubblico: immaginando uno spettacolo che coinvolge tutte le energie artistiche possibili per portare in scena un testo mai rappresentato in Italia.

3 – 21 giugno 2014
SALA FASSBINDER
LOLA CHE DILATI LA CAMICIA
dall’autobiografia di Adalgisa Conti a cura di Luciano Della Mea
regia di Marco Baliani
drammaturgia Marco Baliani, Cristina Crippa e Alessandra Ghiglione
scene e costumi Carlo Sala
con Cristina Crippa e Patricia Savastano
luci di Nando Frigerio
suono Renato Rinaldi

Lo spettacolo diretto da Marco Baliani, Lola che dilati la camicia, dà nuovamente voce ad Adalgisa coinvolgendo gli spettatori in una sorta di intenso rito della memoria: Cristina Crippa è una protagonista intensa e commovente che ripercorre tra afasie e illuminazioni improvvise, parole smarrite e ritrovate, il labirinto della memoria di Adalgisa, destinato a sfociare in una disperata follia. Il regista ha reinventato un linguaggio fatto di gesti minimi, piccoli cenni, belbettii sommessi che esprimono tutta la vitalità della donna troppo a lungo repressa. Patricia Savastano è la sua infermiera-guardiana, ma anche sua sorella e custode, quasi ossessivo doppio delle visioni dell’altra. Le due attrici esplorano insieme il filo tenue che le unisce, la continua interdipendenza e reciprocità che le rende in definitiva una coppia.

info su www.elfo.org

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